Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15381 del 26/07/2016

Cassazione civile sez. III, 26/07/2016, (ud. 19/05/2016, dep. 26/07/2016), n.15381

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14406-2013 proposto da:

V.A., (OMISSIS), T.M. (OMISSIS), V.D.

(OMISSIS), VO.AL. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA BARNABA TORTOLINI 29, presso lo studio dell’avvocato

VALERIA MARSANO, rappresentati e difesi dall’avvocato ARMANDO REGINA

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

GROUPAMA ASSICURAZIONI SPA, (già Nuova Tirrena Spa), in persona del

Procuratore Speciale dott. R.P., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA ORAZIO 3, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE

GRAZIOSI, che la rappresenta e difende giusta procura speciale in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

RE.AN., D.L., M.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 6/2013 della CORTE D’APPELLO DI LECCCE,

SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 02/01/2013, R.G.N.

424/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/05/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato ARMANDO REGINA;

udito l’Avvocato GIUSEPPE GRAZIOSI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluse per il rigetta del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di appello di Lecce, con sentenza 2.1.2013 n. 6, rigettava l’appello proposto da V.A., T.M., V.D. e V.A., n.q. di eredi di Vo.Do., confermando la sentenza di prime cure che aveva ritenuto quest’ultimo esclusivo responsabile del sinistro stradale verificatosi in (OMISSIS), nel quale lo stesso era deceduto, ed aveva condannato gli eredi al risarcimento dei danni subiti da Re.An., quale trasportata sul motoveicolo condotto dal Vo., liquidati nella misura dell’80% in considerazione del concorso della danneggiata, in mancanza di uso del casco, nella produzione delle conseguenze lesive.

La Corte territoriale, rilevava che il motoveicolo condotto dal V., scontratosi con una Lancia Thema condotta da M.F. ed assicurata per la r.c.a. con Nuova Tirrena Ass.ni s.p.a. (che ha successivamente assunto la denominazione di GROUPAMA Assicurazioni s.p.a.), procedeva a velocità non consona alla situazione dei luoghi sovraffollati ed alle circostanze di tempo (ore 22.00 circa del mese di agosto), avendo impegnato – percorrendo la corsia opposta a quella di pertinenza – la manovra di sorpasso di una serie di autovetture incolonnate, la prima delle quali si era fermata per consentire l’attraversamento dell’incrocio alla Lancia Thema che transitava a modestissima velocità.

Con atti notificati in data 27.5.2013 a GROUPAMA Ass.ni s.p.a. ed a M.F. nonchè ed in data 28.5.2013 a D.L., gli eredi di Vo.Do. hanno impugnato la sentenza, non notificata, con tre mezzi, deducendo vizi logici e violazione di norme di diritto.

Ha resistito la società assicurativa con controricorso.

Gli altri intimati non hanno svolto difese.

I ricorrenti e la società assicurativa hanno depositato memorie illustrative.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti deducono il “vizio di omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione su vari punti decisivi della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Il motivo si palesa inammissibile in ordine ai “punti della controversia” individuati nel ricorso alle lett. da A a D, ed alla lett. F, in quanto volti a veicolare un vizio di legittimità estraneo all’elenco tassativo contenuto nell’art. 360 c.p.c., intendendo far valere i ricorrenti, con l’improprio riferimento alla censura di “contraddittorietà” della motivazione (che attiene ad una incompatibilità logica intrinseca al testo motivazionale in quanto determinata dalla reciproca elisione di affermazioni oggettivamente contrastanti, non altrimenti risolvibile, che impedisce di discernere quale sia il diritto applicato nel caso concreto: cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 25984 del 22/12/2010), quello che invece era, anteriormente alla modifica della norma processuale indicata (disposta dal D.L. n. 83 del 2012 conv. in L. n. 134 del 2012), un vizio di “insufficienza” del percorso logico che dalle premesse in fatto perviene alla decisione, ipotesi che ricorre laddove si contesti al Giudice di merito di avere tratto dal materiale probatorio esaminato soltanto alcune delle conseguenze logiche che il complesso circostanziale avrebbe consentito di desumere, pervenendo ad un accertamento meramente parziale della res litigiosa, ovvero di non avere considerato elementi costituenti “fatti secondari” che – se pur non decisivi, da soli, a fornire la prova contraria favorevole al ricorrente tuttavia – erano idonei ad inficiare o quanto meno a revocare in dubbio la efficacia dimostrativa (dei fatti costitutivi della pretesa) attribuita a quegli elementi indiziari che il Giudice ha inteso utilizzare a sostegno della decisione, o ancora quando dal testo della motivazione emergono evidente incongruenze o lacune nello stesso ragionamento, in quanto non rispondente ai comuni criteri induttivo e deduttivo della logica formale.

Ed infatti trova applicazione alla presente controversia l’art. 360 c.p.c., comma 1, nella nuova formulazione introdotta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134 (recante “Misure urgenti per la crescita del Paese”), che ha sostituito l’art. 360 c.p.c., comma 2, n. 5 (con riferimento alle impugnazioni proposte avverso le sentenze pubblicate successivamente alla data dell’11 settembre 2012), limitando la impugnazione delle sentenze in grado di appello o in unico grado per vizio di motivazione alla sola ipotesi di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, rimanendo, pertanto, circoscritto il controllo del vizio di legittimità (fino ad allora esteso anche al processo logico argomentativo fondato sulla valutazione dei fatti allegati assunti come determinanti in esito al giudizio di selezione e prevalenza probatoria, potendo essere censurata la motivazione della sentenza, oltre che per “omessa” considerazione di un fatto controverso e decisivo dimostrato in giudizio, anche per “insufficienza” e per “contraddittorietà” della argomentazione) al “minimo costituzionale” prescritto dall’art. 111 cost., comma 6, ed individuato “in negativo” dalla consolidata giurisprudenza della Corte – formatasi in materia di ricorso straordinario – secondo cui tale requisito minimo non risulta soddisfatto soltanto qualora ricorrano quelle stesse ipotesi (mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale; motivazione apparente; manifesta ed irriducibile contraddittorietà; motivazione perplessa od incomprensibile) che si convertono nella violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 e che determinano la nullità della sentenza per carenza assoluta del prescritto requisito di validità. Al di fuori delle ipotesi indicate (attinenti alla “esistenza” del requisito motivazionale del provvedimento giurisdizionale) residua soltanto l’omesso esame di un “fatto storico” controverso, che è stato oggetto di discussione ed appaia “decisivo” ai fini di una diversa decisione, non essendo più consentito impugnare la sentenza per criticare la sufficienza del discorso argomentativo giustificativo della decisione adottata sulla base di elementi fattuali acquisiti al rilevante probatorio ritenuti dal Giudice di merito determinanti ovvero scartati in quanto non pertinenti o recessivi (cfr. Corte cass. SS.UU. in data 7.4.2014 n. 8053).

Le censure svolte non evidenziano, infatti, specifici fatti storici non considerati dal Giudice di appello, ma piuttosto si risolvono in una inammissibile richiesta alla Corte di una nuova rivalutazione nel merito dei fatti, non consentita in sede di legittimità (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5024 del 28/03/2012; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014), come emerge dalla seguente breve disamina:

Lett. A-) l’assunto dei ricorrenti secondo il Giudice di appello avrebbe ritenuto provato, sulla scorta delle mere dichiarazioni rilasciate alla Polizia stradale dallo stesso M., che la Lancia Thema aveva impegnato l’incrocio in quanto un veicolo, proveniente dalla stessa direzione del motoveicolo si era fermato per consentirgli l’attraversamento, non considera che la Corte territoriale ha, invece, ricercato ed individuato i riscontri oggettivi di tali affermazioni, desumendoli dalla convergenza di una serie di elementi circostanziali: 1) nella notoria formazione di incolonnamenti di auto ferme lungo la strada percorsa dal motoveicolo, a causa della regolamentazione semaforica di altro incrocio posto poco più avanti di quello in cui si è verificato il sinistro; 2) nella modestissima velocità dell’automobile (circa 10/20 Km/h) rilevata in esito alla c.t.u. sulla dinamica del sinistro, sintomatica di un attraversamento lento compatibile con la intersezione di altri veicoli; 3) nel punto di impatto tra i mezzi verificatosi nella corsia opposta al senso di marcia del motoveicolo, che si trovava quindi in fase di sorpasso di altri autoveicoli che procedevano incolonnati; 4) nei danni materiali riportati dai due mezzi (spigolo anteriore dx dell’auto; fiancata dx della moto) ritenuti compatibili con la fase di ultimazione della curva a sinistra eseguita dal conducente dall’autoveicolo.

Lett. B-) la violazione della norma del Codice della Strada, oggetto di irrogazione della sanzione amministrativa nel rapporto della Polstrada, non inficia la ricostruzione del nesso di causalità del sinistro operata dal Giudice di appello, trattandosi di condotte, quella violativa della prescrizione di condotta e quella causativa dell’evento lesivo oggetto di giudizi distinti: ed infatti l’infrazione alle norme sulla circolazione dei veicoli da parte di un conducente, pur importando responsabilità sotto altro titolo per la cennata trasgressione, non può dar luogo “ex se” a responsabilità civile qualora l’evento dannoso non sia ricollegabile, con nesso di causalità, alla trasgressione medesima (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 2003 del 10/07/1973; id. Sez. 3, Sentenza n. 1539 del 23/04/1977). La Corte territoriale ha escluso qualsiasi rilevanza causale alla dedotta violazione del Codice della strada, affermando che l’assenza di tracce di frenata sul luogo del sinistro confermava l’assunto per cui la Lancia Thema aveva impegnato l’incrocio procedendo lentamente, sicchè causa esclusiva dell’evento era stata la manovra azzardata del V. (sentenza, in motiv., pag. 7) Lett. C-) la doglianza della valorizzazione da parte del Giudice di appello, tra le diverse risultanze probatorie, dell’elemento della modestissima velocità dell’autovettura, viene ad impingere nel “prudente apprezzamento” rimesso in via esclusiva al Giudice di merito nella valutazione degli elementi di prova in funzione del raggiungimento del proprio convincimento (art. 116 c.p.c., comma 1), e non può costituire oggetto di sindacato di legittimità, salvo che non ridondi nel vizio di omessa motivazione come sopra definito dall’art. 360 c.p.c., comma 11, n. 5 nel testo riformato.

Lett. D-) la considerazione da parte del Giudice di appello della velocità del motoveicolo (circa 30-35 Km/h) come non consona allo stato dei luoghi ed alle condizioni del traffico è strettamente correlata alla manovra di sorpasso effettuata con invasione della corsia opposta di marcia, circostanza quest’ultima desunta dal luogo dello scontro – accertato nel rapporto Polstrada – ed in base alla quale, oltre che in considerazione degli altri indizi sopra indicati, la Corte territoriale è pervenuta a ritenere provata la esistenza di un incolonnamento di auto: tale percorso logico della motivazione non è inficiato dalla generica doglianza svolta nel motivo in relazione alla adeguatezza o meno della velocità.

Lett. F-) l’argomento svolto a confutazione della erroneità della motivazione non trova riscontro nella lettura delle sentenza: la Corte territoriale non ha affatto correlato la modesta velocità della Lancia, consona alle condizioni della circolazione, alla velocità della moto invece “non commisurata al traffico”, ma ha ritenuto che la presenza di altri veicoli in marcia nella stessa direzione della moto, imponeva necessariamente alla Lancia di procedere a modestissima andatura.

Quanto alle censure svolte dai ricorrenti alle lett. E-), G-) ed H-) del primo motivo di ricorso, le stesse hanno per oggetto la omessa considerazione da parte del Giudice di appello delle prove testimoniali assunte in primo grado. I testi D.T., S. e L., che hanno assistito al sinistro, hanno concordemente riferito circostanze favorevoli al V.: in particolare che il motoveicolo procedeva sulla corsia di pertinenza; che non era in fase di sorpasso poichè sulla strada non vi erano incolonnamenti di auto; che non si era fermata alcuna auto all’incrocio per consentire l’attraversamento della Lancia Thema.

La Corte d’appello, investita da specifico motivo di gravame (indicato al punto 2 b. ed interamente trascritto nel ricorso: pag. 39 e 47-50), non ha esaminato partitamente dette prove orali implicitamente ritenendole inidonee ad inficiare la diversa ed incompatibile ricostruzione della dinamica di sinistro accolta nella sentenza impugnata, implicitamente confermando, sulla inattendibilità delle dichiarazioni testimoniali, le argomentazioni della decisione di primo grado.

Orbene costituisce affermazione consolidata nella giurisprudenza di legittimità quella secondo cui spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova, atteso che il Giudice non è tenuto ad evidenziare per ciascun elemento di prova le ragioni che hanno indotto a ritenerlo recessivo o non conducente ai fini della ricostruzione della fattispecie concreta, non essendo necessario che nella motivazione vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma è sufficiente che il giudice indichi le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (inter alias: Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 16034 del 14/11/2002; id. Sez. 3, Sentenza n. 14972 del 28/06/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 9245 del 18/04/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 18644 del 12/09/2011). Ne segue che anche in questo caso la censura dedotta dai ricorrenti venga a ricadere nell’ambito del vizio di insufficiente motivazione non più denunciabile avanti al Corte di legittimità. Osserva tuttavia il Collegio che, anche nel caso in cui si intendesse ricondurre la censura in esame sotto lo schema del vizio di “omessa motivazione” contemplato dalla nuova norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, tenuto conto, da un lato, dell’obiettivo contrasto tra le dichiarazioni testimoniali – convergenti ad escludere la presenza della fila di autovetture e la invasione della corsia opposta di marcia da parte del motoveicolo – e la contraria conclusione affermata invece dal Giudice di appello esclusivamente fondata sul rapporto della Polizia stradale sugli atti del procedimento penale definito con decreto di archiviazione, e tenuto conto, dall’altro, della materiale assenza di qualsiasi riferimento contenuto nella sentenza di appello alla prova testimoniale assunta in primo grado, lacuna che renderebbe prospettabile il vizio motivazionale della sentenza per “omessa” considerazione da parte della Corte territoriale dei “fatti storici” oggetto di prova orale, in conformità quindi al parametro legale per il quale è consentito il sindacato di legittimità, ebbene tutto ciò premesso osserva il Collegio che il motivo risulterebbe egualmente infondato in quanto i fatti riferiti nelle dichiarazioni testimoniali non sono tali da rivestire il carattere indispensabile della “decisività”, tanto in considerazione della assenza di elementi di riscontro attinenti alla fonte di prova, quanto di elementi che inficiano intrinsecamente la capacità dimostrativa delle dichiarazioni.

Dalla lettura dell’atto di appello degli eredi V. (interamente trascritto alle pag. 18-55 del ricorso) risulta che il Tribunale in primo grado aveva ritenuto inattendibili tali prove orali in quanto contrastanti con le risultanze degli accertamenti peritali svolti in sede penale: inattendibilità corroborata dal fatto – riferito dagli stessi appellanti – che la strada cittadina percorsa dalla moto era priva della linea di mezzeria, venendo quindi a risolversi la percezione dei testi (secondo cui la moto viaggiava all’interno e non all’esterno della propria corsia) in apprezzamento soggettivo non avallato da alcun riferimento obiettivo: gli stessi ricorrenti, nell’atto di appello, con argomento evidentemente controproducente rispetto all’assunto difensivo che intendevano sostenere (nel tentativo di mostrare la compatibilità delle dichiarazioni testimoniali con i rilievi planimetrici della Polstrada e della perizia svolta in sede penale), dichiarano che “….la percezione dei testi è di fatto limitata dall’assenza sulla via (OMISSIS), all’altezza dell’incrocio con la via (OMISSIS), della linea di mezzeria, cosicchè è impossibile determinare ad occhio nudo l’esatto punto d’impatto (corsia di pertinenza del (OMISSIS) oppure quella opposta) laddove l’urto si verifichi in prossimità del centro strada” (cfr. atto di appello, trascritto nel ricorso a pag. 38).

Tale considerazione, fondata sull’elemento oggettivo della assenza della linea di mezzeria, incrina irrimediabilmente la capacità dimostrativa delle dichiarazioni rese dai testi, unitamente all’ulteriore elemento di inattendibilità della fonte desunto dalla omessa indicazione di testimoni oculari nel rapporto della Polstrada, rende la prova priva del necessario carattere della “decisività”.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

I ricorrenti contestano che la Corte d’appello abbia fondato il proprio convincimento sulla ricostruzione della fattispecie concreta su un elemento privo dei caratteri del notorio ex art. 115 c.p.c., comma 2, assumendo che costituiva “dato di comune esperienza” la presenza di veicoli incolonnati lungo la via percorsa dalla moto, causata da un semaforo posto poco più avanti dell’incrocio in cui si era verificato il sinistro.

Il rilievo, in astratto condivisibile, è da ritenere infondato in quanto si basa sulla estrapolazione di una proposizione della motivazione della sentenza impugnata dal contesto nel quale deve, invece, essere calata.

Se, infatti, il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio – in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati nè controllati -, va inteso in senso rigoroso, risultando tale soltanto quel fatto che è acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 6299 del 19/03/2014), osserva il Collegio che non appartiene alla nozione normativa di “notorio” ex art. 115 c.p.c., comma 2, la affermazione del Giudice di appello secondo cui “è dato di comune esperienza, almeno per chi vive in città, che l’incrocio in parola è normalmente occupato da vetture in fila nella via (OMISSIS)”, atteso che il fatto (incolonnamento di vetture) viene ad essere connotato da un elemento statistico (“normalmente”), che esclude proprio quel grado di univocità e sicura percezione da parte della collettività volto a rendere indubitabile ed incontestabile il fatto nel suo accadimento fenomenico. Il “notorio”, infatti, esonera dalla necessità di fornire gli elementi dimostrativi del fatto, proprio perchè questo deve ritenersi sicuramente accertato nel suo avvenimento storico (accadimento passato, fatto verificatosi in un dato luogo e in dato tempo) ovvero nel suo accadimento futuro in dato luogo e tempo (in questo caso la comune conoscenza che produce il “notorio” si identifica con le leggi naturali assolute od universali, acquisite alla collettività in dato momento storico, e che rispondono alle regole della causalità scientifica: es. il sole sorge ogni giorno), e dunque non può essere condizionato a criteri di ricorrenza statistica, qual è invece quello della “normalità” di un accadimento che ipotizza, non un fatto storico certo, ma una possibile reiterazione di fatti storicamente indeterminati in quanto il loro accadimento non è riferibile con certezza ad un dato luogo e tempo.

La indicata affermazione, contenuta della motivazione della sentenza impugnata, diversamente da quanto ipotizzato dai ricorrenti, non riveste il carattere determinante di “ratio decidendi” della sentenza, atteso che la ricostruzione della dinamica del sinistro (basata sulla presenza di altre autovetture sulla strada percorsa dalla moto, e sulla manovra di sorpasso eseguita fuori della corsia di pertinenza) viene consegnata dal Giudice di appello ad altri decisivi elementi probatori, tratti dal rapporto della Polstrada e dagli atti del procedimento penale (perizia cinematica), rispetto ai quali l’indicato “dato statistico” costituisce mera indiretta conferma e non presupposto logico.

Con il terzo motivo, proposto in via subordinata, i ricorrenti censura la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Sostengono i ricorrenti che, anche accertata la “esclusiva” responsabilità del V. nella causazione del sinistro, l’art. 2054 c.c., comma 2 imponeva al Giudice di merito, per mandare assolto il conducente della Lancia da concorso causale, di accertare che fosse stata da quello fornita la prova liberatoria dalla presunzione legale di responsabilità, prova in concreto negata dalla contestazione a tale conducente della infrazione della norma relativa all’obbligo di dare la precedenza.

Il motivo è infondato.

In tema di responsabilità civile per i sinistri occorsi nella circolazione stradale, la presunzione di colpa prevista in egual misura a carico dei conducenti dall’art. 2054 c.c., comma 2, ha funzione meramente sussidiaria, operando solo quando è impossibile determinare la concreta misura delle rispettive responsabilità, sicchè, ove risulti accertata l’esclusiva colpa di uno di essi, l’altro conducente è esonerato dalla presunzione, nè è tenuto a provare di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 29883 del 19/12/2008; id. Sez. 3, Sentenza n. 4055 del 19/02/2009; id. Sez. 3, Sentenza n. 18631 del 22/09/2015).

Nella specie la Corte territoriale ha accertato la esclusiva responsabilità del V. nella produzione del sinistro, ritenendo che il M. avesse adottato tutte le cautele richieste dalle circostanze del caso, avendo impegnato l’incrocio a velocità modestissima, dopo aver ottenuto la precedenza di fatto da altra vettura che proveniva dalla sua sinistra, e giungendo a collisione con la moto quando aveva quasi completato la curva a sinistra. tale accertamento in fatto, fondato sul punto d’impatto dei veicoli desunto dai danno riportati dai due mezzi, ha indotto il Giudice di merito ad escludere che “il M. abbia impegnato l’incrocio a velocità sostenuta e rende inoperante la circostanza della pretesa precedenza”.

All’accertamento della “esclusiva” responsabilità del V. è corrisposto, pertanto, il contrario accertamento di condotte ascrivibili a colpa specifica o generica del M. che, in conseguenza, non era chiamato a fornire ulteriori prove liberatorie per superare la presunzione legale ex art. 2054 c.c., comma 2.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato, e le parti ricorrenti condannate alla rifusione in favore della parte resistente GROUPAMA Ass.ni s.p.a. delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che dispone l’obbligo del versamento per il ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nel caso in cui la sua impugnazione sia stata integralmente rigettata, essendo iniziato il procedimento in data successiva al 30 gennaio 2013 (cfr. Corte cass. SU 18.2.2014 n. 3774).

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione in favore di GROUPAMA Assicurazioni s.p.a. delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre gli accessori di legge;

– dichiara che sussistono i presupposti per il versamento della somma prevista dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2016

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