Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15380 del 26/07/2016


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Cassazione civile sez. III, 26/07/2016, (ud. 13/05/2016, dep. 26/07/2016), n.15380

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. CIRUILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21242-2013 proposto da:

C.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CASILINA 3, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO TORRIERO,

rappresentato e difeso dagli avvocati GRAZIELLA VITTORIA SIMONATI,

CARLO EMILIO TRAVERSO giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA SPA in persona del suo institore

L.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 19,

presso lo studio dell’avvocato ALDO LUCIO LANIA, rappresentata e

difesa dall’avvocato PAOLO GIUGGIOLI giusta procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

FERSERVIZI SPA;

– intimata-

avverso la sentenza n. 3386/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 26/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/05/2016 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito l’Avvocato CLAUDIO TORRIERO per delega;

udito l’Avvocato ALDO LANIA per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Roma con sentenza 26.6.2012 n. 3386 ha confermato la decisione di prime cure che aveva rigettato la domanda con la quale C.M. aveva chiesto pronunciarsi, ai sensi dell’art. 2932 c.c., il trasferimento a suo favore della proprietà dell’alloggio di edilizia residenziale pubblica delle Ferrovie dello Stato s.p.a., sito in (OMISSIS), e posto in vendita dalla mandataria Metropolis s.p.a., del quale l’attore era assegnatario in virtù del rapporto di lavoro subordinato intrattenuto con la predetta società, ed in ordine al quale aveva esercitato la prelazione legale prevista dalla L. n. 560 del 1993.

Il Giudice di appello conformandosi al precedente di questa Corte n. 18494/2007 alle cui argomentazioni in diritto, trascritte nella sentenza, aderiva integralmente, osservava che il Ministero dei Trasporti – Azienda Autonoma delle FF.SS., con provvedimento in data 26.6.1987, aveva revocato l’assegnazione dell’alloggio, essendo stato trasferito il dipendente per servizio a (OMISSIS), da (OMISSIS) -ove aveva conservato la residenza anagrafica-, a sua domanda, e che dalle risultanze istruttorie emergeva, da un lato, che lo stesso non aveva fornito al prova del requisito legale della “effettiva e diretta destinazione dell’immobile ad uso abitativo personale o del suo nucleo familiare”; dall’altro che -come risultava dalla documentazione prodotta, tra cui anche accertamenti svolti dalla Polizia di Stato- nè il dipendente, nè il suo nucleo familiare al tempo dell’esercizio della prelazione risiedevano nell’immobile in (OMISSIS).

La sentenza di appello, non notificata, è stata tempestivamente impugnata per cassazione da C.M. che ha dedotto con tre motivi plurime censure per violazioni di norme di diritto sostanziale e processuale nonchè vizio di motivazione.

Resiste con controricorso Rete Ferroviaria Italiana s.p.a..

Non ha svolto difese Ferservizi s.p.a. (già Metropolis s.p.a.).

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La “ratio decidendi” della sentenza di appello è fondata sul difetto nel caso di specie del requisito, previsto dalla L. 24 dicembre 1993, n. 560, art. 1, comma 6, della “residenza effettiva” nell’alloggio -al tempo di esercizio della prelazione – del dipendente assegnatario o del suo nucleo familiare. Il requisito in questione è stato ritenuto insussistente dalla Corte territoriale in quanto:

– con provvedimento in data 26.6.1987 era stata revocata l’assegnazione dell’alloggio al dipendente;

– il dipendente non aveva fornito prova della effettiva residenza nell’immobile;

– dai documenti prodotti in primo grado risultava accertato che nè il dipendente, nè suoi familiari risiedevano di fatto nell’immobile.

Tali gli argomenti motivazionali sostegno del decisum, osserva il Collegio quanto segue.

A) Il primo motivo con cui si denuncia il vizio di omessa pronuncia -in violazione dell’art. 112 c.p.c. – sul motivo di gravame concernente la corretta qualificazione giuridica del provvedimento con il quale il C. era stato temporaneamente “distaccato” e non già “trasferito” presso l’Ufficio di (OMISSIS), nonchè si denuncia, in subordine, il vizio di omessa od insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è inammissibile in quanto:

1-non essendo stato trascritto lo specifico motivo di gravame con il quale sarebbe stata investita la decisione di prime cure sul punto, la censura si palesa priva di autosufficienza in ordine alla esposizione del fatto processuale, non consentendo la verifica in limine della asserita omissione (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 6361 del 19/03/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 9108 del 06/06/2012; id. Sez,. L, Sentenza n. 14561 del 17/08/2012; id. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 25299 del 28/11/2014);

2-la omissione di pronuncia del Giudice di appello non comporterebbe, comunque, il risultato di annullamento della sentenza di primo grado, stante la infondatezza della questione prospettata dal ricorrente: ed infatti alla luce dei principi di economia processuale e della ragionevole durata del processo come costituzionalizzato nell’art. 111 Cost., comma 2, nonchè di una lettura costituzionalmente orientata dell’attuale art. 384 c.p.c. ispirata a tali principi, una volta verificata l’omessa pronuncia su un motivo di appello, la Corte di cassazione può omettere la cassazione con rinvio della sentenza impugnata e decidere la causa nel merito allorquando la questione di diritto, posta con il suddetto motivo, risulti infondata, di modo che la pronuncia da rendere viene a confermare il dispositivo della sentenza di appello (determinando l’inutilità di un ritorno della causa in fase di merito), e sempre che si tratti di questione che non richiede ulteriori accertamenti di fatto (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 2313 del 01/02/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 15112 del 17/06/2013; id. Sez. 5, Sentenza n. 21968 del 28/10/2015). Nella specie la qualificazione giuridica del provvedimento di servizio come “trasferimento” o “distacco” dalla sede, se assume rilevanza ai fini del rapporto di lavoro, non ne riveste, invece, alcuna ai fini della integrazione del requisito legale di esercizio della prelazione, non essendo dato istituire alcuna derivazione logica necessitata della effettiva residenza di fatto del dipendente, nell’immobile sito in (OMISSIS), dalla qualificazione giuridica del provvedimento come “distacco” (tanto più in assenza di alcuna allegazione in ordine alla durata dello stesso ed all’effettivo rientro del dipendente nella originaria sede di servizio); 3-il vizio logico, denunciato in via subordinata, è da ritenersi inconferente rispetto alla statuizione impugnata, in quanto il Giudice di appello non ha fondato la decisione sul provvedimento amministrativo adottato dalle Ferrovie dello Stato, ma anzi, prescindendo finanche dal rilievo che l’assegnazione dell’immobile era stata comunque revocata (ed il provvedimento di revoca non era stato annullato a seguito di ricorso gerarchico, nè di impugnazione avanti il TAR della Campania: il giudizio amministrativo si è perento come riferisce la parte resistente nel controricorso, pag. 11), ha ritenuto che non fosse stata in ogni caso fornita prova della “residenza effettiva” del dipendente o dei suoi familiari nell’immobile in questione, sicchè l’elemento pretermesso concernente la tipologia del provvedimento di servizio (distacco e non trasferimento), appare del tutto privo dell’elemento della “decisività” richiesto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ai fini dell’accesso del motivo al sindacato di legittimità.

B) Il secondo motivo censura la sentenza di appello per vizio di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c.; in subordine per vizio di nullità della sentenza per carenza assoluta di motivazione ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4; in ulteriore subordine per vizio di omessa od insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; nonchè per violazione o falsa applicazione L. 17 maggio 1985, n. 210, art. 15 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Le censure si rivolgono alla omessa considerazione da parte della Corte territoriale della illegittimità del provvedimento di revoca dell’assegnazione dell’alloggio, in quanto, a seguito della trasformazione privatistica dell’ente pubblico economico FF.SS., il patrimonio immobiliare doveva ritenersi assoggettato al regime di diritto privato, e dunque sottratto all’esercizio della potestà autoritativa dell’ente, con la conseguenza che il Giudice ordinario avrebbe dovuto disapplicare tale provvedimento.

Richiamati, quanto al vizio di nullità processuale per omessa pronuncia, i rilievi di inammissibilità formulati sopra nel paragr. A), punto 1, osserva il Collegio che il provvedimento di revoca non ha costituito una delle “rationes decidendi” della sentenza di appello, sicchè la omissione contestata alla Corte territoriale anche in relazione alle altre censure di legittimità prospettate con il motivo in esame, non si palesa comunque dirimente:

1-la ipotizzata illegittimità/inefficacia del provvedimento di revoca non inficia, infatti, l’argomento decisivo, posto a fondamento della pronuncia, secondo cui “a prescindere da ogni considerazione sulla mancata contestazione della revoca della assegnazione, rilievo assorbente ha la mancata prova di una destinazione dell’immobile….alla soddisfazione di una effettiva e diretta esigenza abitativa…” (cfr. in motivazione, pag. 2);

2-infondata è altresì la censura per violazione della L. n. 210 del 1985, art. 15 atteso che, come questa Corte ha avuto modo di precisare in sede di riparto della giurisdizione, pur dopo la trasformazione privatistica dell’ente pubblico economico FF.SS., nell’ambito del patrimonio immobiliare della neocostituita società per azioni occorreva pur sempre distinguere tra ” alloggi di servizio (cfr. R.D.L. 7 aprile 1925 n. 405, artt. 33 e segg., all. n. 2)” ed “alloggi realizzati nel quadro dell’edilizia residenziale pubblica per sopperire alle esigenze abitative dei dipendenti (R.D. 28 aprile 1938, n. 1165, parte seconda, titolo 2)”, rilevando tale distinzione “sia ai fini della possibilità o meno del dipendente di esercitare il diritto alla cessione in proprietà prevista da norme sugli alloggi economici e popolari (Cass. n. 575/1975, Cass. S. U. 3983/1983), sia ai fini dell’individuazione della giurisdizione competente in caso di controversie”, con la conseguenza che “per quanto riguarda l’assegnazione o il rilascio dell’alloggio di servizio, la controversia investe il rapporto di lavoro e, stante la natura privatistica di quest’ultimo a seguito della L. n. 210 del 1985 (istitutiva dell’ente Ferrovie dello Stato), essa è devoluta al giudice ordinario (Cass. S. U n. 13166/1991, 5116/1995, 2094/2002). Nel caso invece in cui l’utilizzazione del bene sia stata concessa in relazione alle generiche esigenze abitative del lavoratore, siamo nell’ambito della concessione di un bene pubblico, con devoluzione della relativa controversia al giudice amministrativo, a norma della L. n. 1034 del 1971, art. 5, comma 1, (come confermato dalla citata sentenza n. 13166/1991; cfr. Cass. S. U. n. 424/1989 relativamente a controversia sulla formazione delle graduatorie)” (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 20597 de 30/07/2008).

Ne segue che vertendosi nella specie in materia di immobile assegnato al dipendente per esigenze abitative, trattandosi di bene realizzato nell’ambito dei programmi di edilizia residenziale pubblica, viene meno l’assunto difensivo che vorrebbe assoggettato esclusivamente al regime vincolistico delle locazioni, disciplina legislativa dalla quale la predetta categoria di immobili risulta, invece, espressamente esclusa L. n. 392 del 1978, (art. 26, comma 1, lett. b); L. n. 431 del 1998, art. 1, comma 2, lett. b)).

C) Il terzo motivo concerne il vizio di motivazione insufficiente, illogica e contraddittoria ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5nonchè il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il motivo è privo di fondamento.

Il ricorrente equivoca tra la nozione giuridica della “destinazione d’uso” dell’immobile “a fine abitativo”, ed il fatto – oggetto di prova – dell’effettivo e concreto utilizzo residenziale del bene a destinazione abitativa: oggetto della decisione impugnata è stato evidentemente soltanto quest’ultimo, avendo statuito la Corte territoriale che non era stata offerta la prova dell’effettivo uso abitativo, e non anche la potenziale destinazione d’uso o la astratta esigenza abitativa posta a base della motivazione del provvedimento di assegnazione dell’alloggio.

Tanto premesso alcuna contraddittorietà è ravvisabile tra la statuizione della sentenza di appello che ha ritenuto non provata la effettiva destinazione ad esigenze abitative del dipendente ed il provvedimento istruttorio del Giudice di merito che non ha ammesso la prova orale in quanto “generica e valutativa”, atteso che proprio la ritenuta inidoneità del capitolato della prova orale a fornire la rappresentazione del fatto-residenza, costituisce la logica premessa della indicata “ratio decidendi”.

Infondata è poi la censura di violazione della regola di riparto probatorio ex art. 2697 c.c., dovendo il relativo onere essere verificato in relazione al rapporto controverso: nella specie il dipendente aveva agito in giudizio sostenendo di essere titolare e di aver validamente esercitato il “diritto di prelazione legale” attribuito all’assegnatario ed ai suoi familiari dalla L. 24 dicembre 1993, n. 560, art. 1, comma 6 della (“Hanno titolo all’acquisto degli alloggi di cui al comma 4 gli assegnatari o i loro familiari conviventi, i quali conducano un alloggio a titolo di locazione da oltre un quinquennio e non siano in mora con il pagamento dei canoni e delle spese all’atto della presentazione della domanda di acquisto. In caso di acquisto da parte dei familiari conviventi è fatto salvo il diritto di abitazione in favore dell’assegnatario”), e dunque la prova dei requisiti legittimanti il titolo di prelazione non poteva che ricadere su colui che ha agito in giudizio facendo valere quel diritto, ed in quanto tale onerato ai sensi dell’art. 2697 c.c. della prova dei relativi fatti costitutivi (tra cui appunto la effettività della residenza abitativa).

La circostanza che tale prova possa essere fornita anche per presunzioni ex artt. 2727 c.c. e ss., non consentiva per ciò stesso al C. di avvalersi di una presunzione di continuità della residenza fondata sulla pregressa abitazione dell’immobile, tenuto conto della specificità del caso che evidenziava una serie di circostanze precise e convergenti, sintomatiche del definitivo abbandono del luogo dell’immobile come centro di interessi e dei propri affari (provvedimento di distacco ad altro ufficio geograficamente distante; revoca della assegnazione dell’alloggio; mancato utilizzo dell’immobile da parte dei familiari, trasferitisi a (OMISSIS) – come riferisce nel controricorso la parte resistente -; sporadica presenza nell’immobile del dipendente), e tali da escludere la effettiva protrazione dell’uso residenziale dell’immobile nei cinque anni precedenti la domanda di acquisto del bene, come richiesto dalla L. n. 560 del 1993 per il riconoscimento del diritto di prelazione, secondo la interpretazione che della norma dell’art. 1, comma 6 legge cit. ha fornito questa Corte e che il Collegio, in difetto di ulteriori ragioni addotte dal ricorrente per indurre ad una nuova riflessione, intende confermare. Il diritto di prelazione previsto dalla norma speciale, in quanto “istituto incidente sul generale principio della libertà e della autonomia negoziale, presuppone una ratio legis fondata sull’intento di perseguire un interesse sociale meritevole di protezione, quale quello di agevolare la legittima aspirazione dei meno abbienti al conseguimento di una stabile dimora. E tale intento certamente non è realizzato se con in presenza del requisito della reale e duratura utilizzazione abitativa dell’alloggio in vendita da parte del richiedente. Se il titolo alla prelazione consistesse nella sola avvenuta stipula del contratto di locazione, senza l’uso effettivo dell’immobile ad abitazione del locatore, si realizzerebbe non già il predetto intento sociale, ma un risultato ad esso estraneo e solamente speculativo. Cosicchè l’espressione “conducano un alloggio a titolo di locazione”, contenuto nel predetto comma 6, non può significare, alla luce di quanto già detto, se non un rapporto di fatto e di diritto ultraquinquennale tra il richiedente e il bene; rapporto che, sul versante del diritto, consta di valido contratto di locazione ad uso abitativo, e, sul versante del fatto consta della effettiva personale utilizzazione del bene da parte del locatore e di coloro che con lui convivono.” (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 18494 del 03/09/2007).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che dispone l’obbligo del versamento per il ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nel caso in cui la sua impugnazione sia stata integralmente rigettata, essendo iniziato il procedimento in data successiva al 30 gennaio 2013 (cfr. Corte cass. SU 18.2.2014 n. 3774).

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.500,00 per compensi, 200,00 per esborsi, oltre gli accessori di legge;

– dichiara che sussistono i presupposti per il versamento della somma prevista dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2016

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