Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15376 del 26/07/2016


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Cassazione civile sez. III, 26/07/2016, (ud. 12/05/2016, dep. 26/07/2016), n.15376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI AMATO Sergio – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10090-2012 proposto da:

C.L., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CELIMONTANA 38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIORGIO CUGOLA

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

DEBA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore

D.N.S.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL

TRITONE 102, presso lo studio dell’avvocato PAOLA DALLA VALLE, che

la rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

D.S.A.C., G.S., OSVALDO SNC;

– intimati –

nonchè da:

D.S.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CELIMONTANA

38, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che la

rappresenta e difende unitamente agli avvocati MIRCO GHIRLANDA,

ELENA RUFFO giusta procura speciale a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

DEBA SRL in persona del legale rappresentante pro tempore

D.N.S.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL

TRITONE 102, presso lo studio dell’avvocato PAOLA DALLA VALLE, che

la rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

C.L. (OMISSIS), G.S., OSVALDO SNC;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2112/2011 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 27/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/05/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato ALESSANDRO ARDIZZI per delega anche per la parte

D.S.;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso anche ex art. 360 bis c.p.c., n. 1 e condanna aggravata alle

spese; in subordine rimessione alle S.U. affinchè statuiscano

l’ambito di applicazione, anche ratione temporis, l’art. 96 c.p.c.,

e art. 385 c.p.c., comma 4.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con decreto ingiuntivo n. 2063/2005 il Tribunale di Verona ingiungeva alla società Osvaldo snc di G.S. e C.L. & C. nonchè ai soci illimitatamente responsabili della società, signori G.A. e C.L., ed alla signora D.S.A. (in qualità di delegata alla gestione dell’impresa sociale), il pagamento, in favore della DE.BA. srl, della somma di Euro 70.745,56 (di cui Euro 1.024,00 per spese condominiali ed Euro 69.721,56 per penale), oltre ad Euro 1.291,14 a titolo di penale per ogni giorni di ritardo.

Il decreto ingiuntivo, notificato sia alla società che ai soci ed alla D.S., veniva opposto da tutti i destinatari. L’opposta DE.BA. srl eccepiva la tardività dell’opposizione proposta da C.L. ed D.S.A..

2. Il Tribunale di Verona, con sentenza n. 1483/08, dichiarava inammissibile per tardività l’opposizione di queste ultime e, revocato il decreto ingiuntivo nei confronti della società, condannava la Osvaldo snc al pagamento della minore somma di Euro 1.024,00, oltre ad una penale di Euro 100,00 mensili dal 22/4/2005 al saldo effettivo ed oltre alle spese di lite ed accessori come per legge.

3. C.L. ed D.S.A. hanno proposto appello chiedendo la riforma della sentenza di primo grado quanto alla statuizione di inammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo da loro proposta.

Si è costituita l’appellata, resistendo al gravame.

Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 27 ottobre 2011, la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato l’appello, con condanna delle appellanti al pagamento delle spese del grado. La Corte d’appello, dato atto che l’opposizione a decreto ingiuntivo da parte delle appellanti era stata fatta con citazione depositata in cancelleria (per l’iscrizione a ruolo) oltre il quarantesimo giorno dalla notificazione del decreto (in giudizio regolato dal rito locatizio), ha ritenuto che la tempestività dell’opposizione avrebbe dovuto essere valutata in base alla data della notificazione del decreto ingiuntivo nei confronti di ciascuna delle opponenti, non potendosi queste avvalere del diverso termine relativo ad altro coobbligato cui il decreto era stato notificato in epoca successiva. Ha quindi ritenuto che nella specie il provvedimento monitorio fosse passato in giudicato nei confronti di entrambe le appellanti, delle quali ha perciò respinto il gravame.

4. Avverso la sentenza C.L. propone ricorso principale affidato ad un unico motivo. La DE.BA. srl si difende con controricorso.

D.S.A. propone ricorso incidentale affidato a quattro motivi, a cui resiste la DE.BA. srl con altro controricorso.

Le ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ..

La resistente ha spedito per posta la sua memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

RICORSO PRINCIPALE. 1. Con l’unico motivo del ricorso principale C.L. deduce “omessa e contraddittoria decisione violazione di legge”, relativamente all’applicazione da parte del giudice di merito del principio di diritto secondo cui la tempestività della proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo deve essere determinata assumendo come dies a quo la data di notifica del decreto al debitore opponente, a nulla rilevando la solidarietà passiva con altri debitori.

La ricorrente sostiene che la questione sottoposta alla Corte d’appello sarebbe stata diversa in quanto la C. risponde quale socia della società debitrice principale, quindi le due obbligazioni non sarebbero autonome ma strettamente correlate e dipendenti, in quanto la responsabilità del socio è sussidiaria rispetto a quella della società; tanto è vero che -come evidenziato dalla dottrina richiamata in ricorso- non vi sarebbe la possibilità per il creditore di rivolgersi indifferentemente all’uno o all’altro debitore, come è nel caso della solidarietà passiva. Aggiunge che, sul piano processuale, ricorrerebbe un’ipotesi di litisconsorzio sostanziale necessario, con la conseguenza che la sentenza con la quale è stata decisa l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei confronti della società estenderebbe i suoi effetti a tutti i soci; laddove, ritenendo il contrario, si arriva all’inaccettabile conseguenza, verificatasi nella specie, che nei confronti del socio è azionabile un decreto ingiuntivo superiore a due milioni di Euro, quando la società è debitrice soltanto di 1.024,00.

1.1.- Il motivo, anche a voler prescindere dai profili di inammissibilità evidenziati dalla resistente (relativamente alle modalità di formulazione della censura, che si assume non conforme al disposto dell’art. 366 c.p.c., nn. 4 e 6), è infondato.

Va infatti applicato il principio di diritto richiamato nella sentenza, che qui si ribadisce, secondo cui la tempestività della proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo deve essere determinata esclusivamente assumendo come “dies a quo” la data della notifica del provvedimento monitorio al debitore opponente, a nulla rilevando, ai fini del computo del termine perentorio, la solidarietà passiva con altri condebitori. Ne consegue che, atteso il carattere di autonomia che caratterizza l’obbligazione solidale, il debitore solidale non può avvalersi, ai fini della tempestività dell’opposizione, del diverso termine relativo al debitore principale al quale il decreto sia stato notificato in data successiva (così Cass. n. 11867/08).

1.2.- Quanto alle contrarie considerazioni svolte dalla ricorrente, il collegio ritiene che l’orientamento giurisprudenziale richiamato operi anche nell’ipotesi in cui il decreto ingiuntivo sia stato ottenuto nei confronti del socio illimitatamente responsabile. E’ vero infatti che l’obbligazione di quest’ultimo è dipendente e sussidiaria rispetto all’obbligazione sociale, di talchè il socio risponde nei limiti in cui i crediti sussistano nei confronti della società ed, ai sensi dell’art. 2304 cod. civ., i creditori sociali possono richiederne il pagamento soltanto dopo aver escusso inutilmente il patrimonio sociale. Tuttavia, il rapporto di dipendenza, in situazioni processuali quale è quella di specie, è interrotto dalla formazione della preclusione pro-iudicato che consegue alla mancata tempestiva opposizione a decreto ingiuntivo.

Le considerazioni svolte dalla ricorrente sarebbero fondate se il creditore sociale si fosse limitato a rivolgere l’ingiunzione nei confronti della società. Infatti, in tale eventualità, il decreto ingiuntivo non opposto o tardivamente opposto varrebbe come titolo esecutivo anche nei confronti dei soci sui quali ricadrebbero gli effetti dell’inerzia della società, pur valendo nei loro confronti, in sede esecutiva, il beneficium excussionis di cui all’art. 2304 cod. civ. (cfr. Cass. n. 613/03, n. 19946/04, n. 1040/09, n. 6734/11, n. 11311/11); così come, la sentenza di accoglimento dell’opposizione a decreto ingiuntivo produrrebbe i suoi effetti anche nei confronti dei soci, quanto all’accertamento di un minor debito sociale o di inesistenza del debito.

1.3.- Tuttavia, si è ammesso che il creditore della società di persone, malgrado il carattere sussidiario dell’obbligazione del socio illimitatamente responsabile, possa agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, sia per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di quest’ultimo, sia per poter agire in via esecutiva contro il medesimo, senza ulteriori indugi, una volta che il patrimonio sociale risulti incapiente o insufficiente al soddisfacimento del suo credito (così Cass. n. 1040/09 cit. e n. 28146/13, nonchè già Cass. n. 5434/98 citata anche dalla ricorrente). Questa pretesa del creditore sociale ovviamente può essere fatta valere anche mediante il ricorso alla tutela monitoria, chiedendo ed ottenendo perciò l’emissione di decreto ingiuntivo sia nei confronti della società che dei singoli soci illimitatamente responsabili.

In tale eventualità, la mancata opposizione al decreto ingiuntivo comporta che, nei confronti del socio non opponente, si formi non solo un titolo esecutivo autonomamente azionabile, ma anche un giudicato sostanziale che può risultare in contrasto col giudicato eventualmente venutosi a formare nei confronti della società, ove questa abbia proposto opposizione a decreto ingiuntivo e, come accaduto nella specie, l’opposizione sia stata accolta.

1.4.-Contrariamente a quanto si assume in ricorso (col richiamo di giurisprudenza non pertinente, perchè relativa alla normativa tributaria, od oramai superata), va qui ribadito che il rapporto di sussidiarietà che collega la responsabilità dei soci di società di persone rispetto alla responsabilità della società non esclude la natura solidale della relativa obbligazione, con la conseguenza, sul piano processuale, dell’esclusione del litisconsorzio necessario e della relativa inscindibilità delle cause (così, tra le più recenti, Cass. n. 20891/08 e n.19985/13 che ne hanno tratto la conseguenza che, ove la sentenza di primo grado sia stata notificata ai soci e questi l’abbiano impugnata tardivamente, il giudice di appello è tenuto a dichiarare l’inammissibilità di tale impugnazione, dovendosi applicare l’art. 332 e non l’art. 331 cod. proc. civ.).

Corollario delle norme e dei principi sopra richiamati è che una volta che si sia chiesta ed ottenuta la condanna in sede monitoria sia della società di persone che dei singoli soci illimitatamente responsabili, il decreto ingiuntivo acquista autorità di giudicato sostanziale nei confronti del socio che non proponga tempestiva opposizione e la relativa efficacia resta insensibile all’eventuale accoglimento dell’opposizione avanzata dalla società o da altro socio (cfr. Cass. n. 7881/03, nonchè già Cass. n. 11251/90 ed altra risalente giurisprudenza, per l’affermazione principio in riferimento alle obbligazioni solidali). Per la verifica della tempestività dell’opposizione a decreto ingiuntivo va assunta come “dies a quo” la data della notifica del provvedimento monitorio al socio opponente, a nulla rilevando, ai fini del computo del termine perentorio, la solidarietà passiva con la società e con gli altri soci. Poichè la Corte d’Appello di Venezia si è attenuta a questi principi, il ricorso principale va rigettato.

RICORSO INCIDENTALE:

2.- Col primo motivo del ricorso incidentale D.S.A. deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 40, 641, 645, 447 bise 156 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) – nullità della sentenza e del procedimento – violazione dei principi regolatori del giusto processo”.

La ricorrente sostiene che la domanda monitoria sarebbe stata rivolta nei confronti di una pluralità di soggetti sulla base di titoli giuridici diversi: in particolare, mentre nei confronti della società e dei soci illimitatamente responsabili sarebbe venuto in rilievo il contratto di affitto di azienda stipulato tra gli stessi e la DE.BA srl, a questo non aveva partecipato la D.S.; quest’ultima, pertanto, è stata destinataria dell’ingiunzione, ma non sarebbe stato addotto alcun titolo a fondamento del suo obbligo, atteso che nel ricorso per decreto ingiuntivo si è fatto riferimento soltanto alla sua qualità di “delegata alla gestione”. Dato ciò, la ricorrente assume che la causa di opposizione a decreto ingiuntivo avrebbe dovuto essere trattata secondo il rito ordinario di cognizione, sulla base dell’art. 40 c.p.c., comma 3 (poichè l’unica domanda sottoposta al rito locatizio sarebbe stata quella rivolta contro la società, nella qualità di affittuaria di azienda), con la conseguenza che la data rilevante ai fini della verifica della tempestività dell’opposizione a decreto ingiuntivo proposta con citazione avrebbe dovuto essere quella della notificazione dell’atto e non, come ritenuto dalla Corte d’appello, quella del suo deposito in cancelleria per l’iscrizione a ruolo.

2.1.- Il motivo ha ad oggetto una questione della quale il giudice di appello non si è occupato e che appare nuova, così come eccepito dalla resistente.

E’ vero infatti che, così come replicato nella memoria di parte ricorrente, con l’atto di appello la D.S. aveva contestato la statuizione di inammissibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo ritenuta dal tribunale come proposta oltre il termine di legge. Tuttavia, a fondamento del motivo di gravame (concernente il fatto che, trattandosi di decreto emesso nei confronti di più debitori, il termine per la proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo avrebbe dovuto essere computato dall’ultima delle notificazioni) non risulta affatto che fosse stata posta (anche) la questione circa il rito al quale avrebbe dovuto essere assoggettata la controversia, risultando anzi che la doglianza dell’appellante presupponesse come applicabile il rito di cui all’art. 447 bis cod. proc. civ..

La relativa questione -non affrontata perciò dal giudice di appello- non può certo essere trattata per la prima volta dinanzi a questa Corte poichè involge accertamenti in fatto che sono preclusi in sede di legittimità. In particolare, involge la qualificazione del rapporto sulla base del quale è stata chiesta ed ottenuta l’ingiunzione nei confronti della D.S., tenuto conto di quanto in proposito dedotto col ricorso per ingiunzione: accertamento, quindi, relativo all’interpretazione ed alla qualificazione della domanda giudiziale che è istituzionalmente riservato al giudice di merito.

Va allora fatta applicazione del principio per il quale nel giudizio di cassazione, che ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o, nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (Cass. n. 4787/12; cfr. anche Cass. n. 14590/05 e n. 20518/08, secondo cui nel giudizio di cassazione, preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, perchè allo stesso non sollecitati. Ove una determinata questione che implichi un accertamento di fatto non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimità ha l’onere di indicare in quale atto del giudizio di merito l’abbia dedotta, così da permettere alla S.C. di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di ogni altro esame).

In conclusione, il primo motivo del ricorso incidentale è inammissibile.

3.- Col secondo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione di norme di diritto: art. 641, 645 e 447 bis c.p.c., art. 12 preleggi (art. 360 c.p.c., n. 3)- violazione dei principi regolatori del giusto processo”.

La ricorrente critica l’orientamento giurisprudenziale che ha esteso all’opposizione a decreto ingiuntivo in materia locatizia l’interpretazione seguita per l’appello nelle controversie regolate dal rito del lavoro, secondo cui qualora per errore l’impugnazione sia stata proposta con atto di citazione invece che con ricorso, essa è tempestiva soltanto se l’atto di citazione sia stato depositato nella cancelleria del giudice dell’impugnazione nei termini previsti per il gravame. Assume che tra le due fattispecie vi sarebbero delle differenze rilevanti in quanto il principio di ultrattività del rito si giustificherebbe soltanto quando si sia già celebrato un grado di giudizio, mentre così non è nell’ingiunzione di pagamento, sicchè andrebbe sottoposto a revisione critica l’orientamento giurisprudenziale -definito in ricorso come “attualmente prevalente”- in quanto non idoneo ad assicurare certezza sul piano operativo e uniformità interpretativa, con conseguente incertezza del diritto.

3.1.- Col terzo motivo si deduce “violazione di norme di diritto: art. 641 c.p.c. e art. 159 c.p.c. – violazione dei principi del giusto processo”, perchè, anche a voler seguire l’orientamento per il quale l’opposizione a decreto ingiuntivo in materia locatizia si propone con ricorso, una corretta applicazione del principio di sanatoria delle nullità per raggiungimento dello scopo dovrebbe comportare, a detta della ricorrente, che la nullità sarebbe sanata perchè anche la citazione sarebbe idonea ad impedire il decorso del termine di decadenza dell’art. 641 cod. proc. civ..

3.2.- Entrambi i motivi -che vanno trattati congiuntamente perchè riferiti alla stessa questione di diritto- sono inammissibili. L’inammissibilità consegue oltre che alla novità della questione posta (per ragioni analoghe a quelle esaminate trattando del primo motivo), anche all’applicazione dell’art. 360 bis c.p.c., n. 1. Il giudice d’appello, pur non avendo affrontato espressamente la questione (ciò che conferma il carattere di novità rispetto all’unico motivo d’appello), nel dare per scontato il mancato rispetto del termine di legge per proporre l’opposizione, ha presupposto una soluzione della questione di diritto, posta dal ricorso, conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per mutare l’orientamento da tempo consolidato.

Questo si esprime nella massima secondo cui l’opposizione a decreto ingiuntivo concesso in materia di locazione e quindi soggetta al rito del lavoro deve essere proposta con ricorso e, ove proposta erroneamente con citazione, questa può produrre gli effetti del ricorso solo se sia depositata in cancelleria entro il termine di cui all’art. 641 cod. proc. civ., non essendo sufficiente che entro tale data sia stata comunque notificata alla controparte (così Cass. n. 8014/09, ma cfr. già Cass. S.U. n. 2714/91, nonchè,tra le più recenti, Cass. n. 797/13).

I motivi secondo e terzo sono perciò inammissibili.

4.- Col quarto motivo, intitolato come “omessa e contraddittoria motivazione – violazione di legge”, si riproducono le censure già svolte con l’unico motivo del ricorso principale, sostenendosi che l’obbligazione della D.S. non sarebbe autonoma, rispetto a quella della società, ma, in quanto l’ingiunta sarebbe stata chiamata a rispondere di un debito di quest’ultima, la sua obbligazione sarebbe dipendente e succedanea, pertanto la sentenza del Tribunale di Verona che ha revocato il decreto ingiuntivo nei confronti della società dovrebbe estendere i propri effetti anche verso la D.S..

4.1.- Il motivo è infondato per le ragioni già esposte trattando del ricorso principale, da intendersi qui integralmente richiamate.

In conclusione, anche il ricorso incidentale va rigettato.

5.-Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, per ciascuna delle ricorrenti, tenuto conto dell’attività difensiva della resistente consistente alla notificazione di distinti controricorsi. Non vi è alcun altra attività difensiva da considerare, atteso che il difensore non ha partecipato alla discussione in udienza e che non è ammissibile la spedizione a mezzo posta della memoria ex art. 378 cod. proc. civ. (così, da ultimo, Cass. n. 7704/16).

PQM

La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, li rigetta. Condanna ciascuna delle ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore della resistente, nell’importo di Euro 5800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali, IVA e CPA come per legge, per ciascuna delle ricorrenti.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 26 luglio 2016

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