Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15376 del 20/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/07/2020, (ud. 10/02/2020, dep. 20/07/2020), n.15376

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. NICASTRO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 7356/2012 R.G. proposto da:

G.G. & C. S.N.C., in persona del legale

rappresentante, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale

in calce al ricorso, dall’avv. Giuseppe Maria Cipolla, con domicilio

eletto presso il suo studio in Roma, viale Giuseppe Mazzini, n. 134;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende come per legge;

– resistente –

avverso la sentenza n. 32/10/11 della Commissione Tributaria

regionale del Lazio depositata il 1 febbraio 2011;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10 febbraio 2020

dal Consigliere Pasqualina Anna Piera Condello;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, Dott. Umberto De Augustinis, che ha concluso chiedendo il

rinvio a nuovo ruolo;

udito il difensore della parte ricorrente, avv. Giuseppe Maria

Cipolla.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle entrate, con avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2003, rettificava, ai fini IRAP e I.V.A., il reddito d’impresa della società G.G. & C. s.n.c.

Secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, l’Ufficio applicava una percentuale di ricarico del 26 per cento al costo del venduto e prendeva in considerazione il maggior valore accertato per la cessione d’azienda emergente dall’avviso di rettifica e liquidazione che aveva, a sua volta, determinato un maggior valore di avviamento da Euro 100.000,00 ad Euro 200.651,00 (oggetto di impugnazione in separato giudizio).

La Commissione provinciale adita rigettava il ricorso proposto dalla contribuente e la sentenza veniva impugnata dalla società dinanzi alla Commissione regionale del Lazio che la confermava.

I giudici di appello osservavano che la contribuente, nella fase amministrativa, aderendo all’invito dell’Agenzia delle entrate, aveva prodotto diversi documenti (mod. Unico 2004, bilancio contabile, atto di cessione d’azienda, atto di accollo di mutuo, prospetto delle minusvalenze e delle plusvalenze relativo ai beni strumentali ceduti), sulla base dei quali l’Ufficio, operando un raffronto tra il costo del venduto e i ricavi di vendita, aveva accertato una percentuale di ricarico negativa del -33,32 per cento; in presenza di un reddito troppo esiguo dichiarato dalla contribuente, che esercitava attività di vendita di articoli di merceria e abbigliamento intimo, ritenevano legittima la determinazione induttiva di maggiori ricavi sulla scorta di una più elevata percentuale di ricarico desunta dai dati relativi allo specifico settore merceologico. Sottolineavano, poi, che l’Ufficio aveva accertato, per le annualità dal 1999 al 2001 (precedenti la cessione dell’azienda), che la percentuale di ricarico dichiarata non era mai stata inferiore al 26 per cento, con la conseguenza che, anche per l’anno 2003, era stata applicata la medesima percentuale; ritenevano, concordemente all’Ufficio, che la determinazione dei ricavi operata dalla società fosse inattendibile, poichè l’azienda aveva presentato per più esercizi risultati sempre positivi, mentre proprio nell’anno di cessione dell’azienda il reddito aveva assunto valori negativi, circostanza questa che lasciava ritenere che il comportamento della società non fosse improntato a criteri di economicità. Consideravano, altresì, non necessaria la vendita a stoccaggio delle rimanenze (del valore di Euro 150.000,00) sulla base di una fattura dell’importo di Euro 20.000,00, avendo la contabilità evidenziato rimanenze iniziali, alla data del 1 gennaio 2003, pari a Euro 190.500,00, e corretto l’operato dell’Ufficio anche in ordine alla rettifica della plusvalenza derivante dalla cessione d’azienda.

Avverso la suddetta decisione ricorre per la cassazione la G.G. & C. s.n.c., con cinque motivi, ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

L’Agenzia delle entrate ha depositato atto di costituzione al solo fine dell’eventuale partecipazione all’udienza di discussione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente censura la sentenza per omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Deduce che l’accertamento dell’Ufficio si articola su due rilievi: con il primo sono stati rettificati i ricavi derivanti dalla vendita di merce, applicando al costo del venduto una percentuale di ricarico del 26 per cento dichiarata dalla società per il triennio 1999-2001; con il secondo, invece, è stato rettificato l’ammontare della plusvalenza conseguita a fronte della cessione dell’azienda. Ad avviso della ricorrente, la Commissione regionale, nell’affrontare la censura mossa in ordine al primo recupero, avrebbe omesso di esplicitare la motivazione, trascurando di fornire indicazioni in merito all’asserita percentuale di ricarico desunta dal settore merceologico ed assunta a parametro di comparazione per stabilire la congruità dei ricavi dichiarati, nè avrebbe spiegato le ragioni per le quali il reddito dichiarato dalla contribuente sarebbe stato “troppo esiguo”, sebbene costituisse fatto controverso e decisivo l’attendibilità dei ricavi dichiarati.

2. Con il secondo motivo la contribuente censura la decisione impugnata per contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in quanto la Commissione regionale ha ritenuto legittimo il recupero operato applicando al costo del venduto una percentuale di ricarico desunta dalle dichiarazioni presentate dalla società, laddove la stessa Commissione sosteneva che la percentuale di ricarico applicata dall’Ufficio era stata ricavata dal settore merceologico di appartenenza.

3. Con il terzo motivo deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio sotto un ulteriore profilo, in quanto la Commissione, senza chiarire le ragioni per le quali dopo un ciclo economico positivo un’impresa non potesse accusare delle perdite, aveva sostenuto essere antieconomico il comportamento tenuto dalla società per avere chiuso tre esercizi in utile e avere, invece, chiuso in perdita l’esercizio in cui era stata ceduta l’azienda.

4. Con il quarto motivo la ricorrente deduce insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) nella parte in cui la sentenza impugnata, con riguardo alla fattura prodotta, ha ritenuto non valida la necessità di effettuare una vendita a stoccaggio. La fattura era stata emessa il 31 marzo 2003, mentre il dato temporale di riferimento delle rimanenze iniziali era il 1 gennaio 2003; la circostanza che fossero state contabilizzate rimanenze iniziali pari a Euro 190.500,00 di per sè non escludeva che buona parte di tali rimanenze fossero state successivamente alienate ad un prezzo inferiore, atteso che proprio la vendita a stoccaggio giustificava la determinazione del corrispettivo in Euro 20.000,00.

5. Con il quinto motivo la ricorrente, deducendo la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, degli artt. 2727,2729 e 2697 c.c., sostiene che l’Ufficio non ha assolto l’onere di provare che la società avesse conseguito una plusvalenza maggiore di quella dichiarata, in quanto il valore di avviamento era stato determinato dall’Amministrazione applicando una indimostrata percentuale di redditività media del 12 per cento riferita al settore economico di appartenenza dell’azienda ceduta ai ricavi medi dichiarati dalla cedente nei tre anni precedenti la cessione. La ricostruzione analitico-induttiva effettuata dall’Ufficio era dunque basata su presunzioni prive dei requisiti della gravità, precisione e concordanza.

6. In via preliminare va rilevato che il processo è viziato, sin dal primo grado, dall’assenza dei soci G.G. e V.L., litisconsorti necessari pretermessi.

Infatti, sebbene nello stesso ricorso per cassazione la società contribuente abbia evidenziato che a seguito dell’accertamento a suo carico, l’Amministrazione ha notificato anche ai due soci distinti avvisi di accertamento ai fini Irpef, dalla sentenza d’appello impugnata in questa sede non si evince la presenza in giudizio dei soci, ma solo della s.n.c..

Come è stato chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. Sez. U, 20 giugno 2012, n. 10145), l’Irap è imposta assimilabile all’Ilor, in quanto è un’imposta a carattere reale, non deducibile dalle imposte sui redditi, e proporzionale (D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 16), poichè si applica sul valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata nel territorio della regione, e l’equiparabilità tra le due imposte si desume dal D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 17, comma 1, e art. 44.

In ragione di tali considerazioni si ripropone rispetto all’IRAP la medesima situazione di litisconsorzio necessario tra soci e società di persone, già affermata dalle Sezioni Unite riguardo all’ILOR con la sentenza n. 14815 del 4 giugno 2008, sussistendo una sostanziale coincidenza degli elementi economici che costituiscono i presupposti rispettivamente dell’imposta accertata a carico della società (IRAP) e dell’imposta a carico dei soci (IRPEF), che vincola il tributo dovuto dai soci dal giudicato sull’imposta a carico della società (Cass. Sez. U, n. 10145/12, cit.). Infatti, la base imponibile dell’IRAP per le società di persone è costituita dalla differenza tra ricavi e costi, allo stesso modo della base imponibile dell’imposta a carico dei soci, e questo stretto collegamento tra la pretesa tributaria ai fini IRAP nei confronti della società, in ragione dei maggiori ricavi, e la pretesa tributaria ai fini IRPEF nei confronti dei soci, in ragione dei maggiori utili distribuiti, giustifica, sul piano razionale e dell’intrinseca ragionevolezza, il litisconsorzio tra la società e tutti i soci nel giudizio di accertamento dell’Irap dovuta dalla società.

Nella fattispecie in esame il vizio rilevato si estende anche all’accertamento di maggior imponibile I.V.A. a carico della società, atteso che l’Agenzia delle entrate ha adottato un unico atto impositivo per l’IRAP e I.V.A. sottratte a tassazione, sulla base di elementi sostanzialmente comuni. Da ciò deriva che neppure il profilo dell’imposizione sul valore aggiunto si sottrae al vincolo del simultaneus processus, attesa la concreta inscindibilità logica delle due situazioni (Cass. 19 maggio 2010, n. 12236; Cass. Sez. U, 29 maggio 2017, n. 13452).

Dal rilevato litisconsorzio non può che farsi discendere l’annullamento dell’intero giudizio con rimessione delle parti innanzi al giudice di primo grado.

La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata anche con declaratoria di nullità del giudizio di primo grado e rinvio alla Commissione tributaria provinciale di Roma, cui è demandata anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sul ricorso, cassa la sentenza impugnata; dichiara la nullità del giudizio di primo grado; rinvia alla Commissione tributaria provinciale di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 10 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2020

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