Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15375 del 21/06/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 21/06/2017, (ud. 22/12/2016, dep.21/06/2017),  n. 15375

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18697-2014 proposto da:

P.M., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO

QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO

PAGANELLI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

ANGELA LIQUINDOLI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

WIND TELECOMUNICAZIONI S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SISTINA 121, presso lo studio dell’avvocato MARCELLO BONOTTO,

rappresentata e difesa dall’avvocato MASSIMO BONOMI, giusta delega

in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 527/2013 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 20/02/2014 R.G.N. 472/11;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

22/12/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito l’Avvocato ANGELA LIQUINDOLI;

udito l’Avvocato MARCELLO BONOTTO per delega Avvocato MASSIMO BONOMI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 527 in data 18 dic. 2013 – 20 febbraio 2014 la Corte di Appello di Cagliari, in parziale accoglimento del gravame interposto da WIND TELECOMUNICAZIONI S.p.a. nei confronti P.M., avverso le pronunce del giudice del lavoro di Oristano, emesse il 21 marzo 2007 ed il 18 maggio 2011, riformando quest’ultima, revocava l’opposto decreto ingiuntivo, del 25-092005, e condannava la società WIND Telecomunicazioni S.p.A. al pagamento, in favore di P.M., della somma di Euro 27.675,66 lordi, oltre accessori dal 1 aprile 2005 fino al saldo. Compensava per la metà spese del giudizio di secondo grado e condannava la società appellante al rimborso della restante quota in favore dell’appellato, liquidata in euro 2750 del primo grado ed in Euro 3300 per il secondo.

Con l’anzidetta sentenza la Corte distrettuale riconosceva all’attore P.M. l’indennità per cessazione del rapporto di agenzia, avvenuta il 31 marzo del 2005 (rapporto iniziato il 30 marzo 2001), riducendo soltanto la quantificazione operata ex art. 1751 c.c. dal giudice di primo grado, adito dall’attore in via monitoria. Pertanto, la Corte distrettuale, nel revocare il decreto ingiuntivo, opposto dalla società, considerando altresì quanto ricevuto dal diretto interessato, condannava Wind Telecomunicazioni al pagamento della suddetta somma. Secondo la Corte, nella specie, valutate tutte le circostanze di fatto, non sussisteva il diritto dell’attore alla misura massima dell’indennità di cui al citato art. 1751, di modo che l’importo, precedentemente liquidato in Euro 77.284,56 (al lordo pure dei pagamenti già ricevuti), andava ridotto del 50%, con riferimento cioè ad un importo intermedio tra quanto percepito dall’agente nell’ultimo anno intero di attività 2004 e quanto presumibilmente costui avrebbe percepito a titolo di provvigioni nel corso del successivo intero anno 2005 (citando peraltro Cass. n. 16347/2007, richiamata pure dalla stessa appellante), con conseguenti successive detrazioni.

Avverso la sentenza di appello ha proposto tempestivo ricorso per cassazione P.M., con un solo motivo, cui ha resistito Wind Telecomunicazioni S.p.A. mediante controricorso notificato in data 1/5 agosto 2014 ed iscritto il 13 agosto successivo.

Il solo ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorrente ha lamentato violazione e falsa applicazione dell’art. 1751 c.c. (peraltro senza espressamente richiamare alcuna delle ipotesi contemplate dall’art. 360 c.p.c.). Si è doluto che la media di cui all’art. 1751 era stata operata soltanto in relazione agli ultimi due anni (2004/2005), però quelli in cui le provvigioni erano state inferiori, non già degli ultimi cinque anni, nei sensi di cui allo stesso art. 1751, comma 3. Ha contestato, altresì, la decisione, laddove aveva liquidato l’indennità al di sotto della misura massima, pure in base a ragionamento seguito dalla stessa Corte territoriale circa la perdita dei clienti procurati dall’agente, ciò che era dipeso in buona parte dalla stessa preponente. La circostanza relativa all’andamento decrescente delle provvigioni percepite, quale unica ragione per cui la Corte di merito aveva ritenuto di determinare l’indennità dovuta nel limite massimo previsto dall’art. 1751, era da un lato irrilevante ed in contrasto con la previsione di legge e dall’altro non adeguatamente valutata con riferimento al caso in esame, visto che l’agente non aveva alcuna responsabilità in relazione alla perdita della clientela (donde la perdita di provvigioni), da imputarsi invece molto probabilmente alla stessa preponente.

Le doglianze sono infondate ed in parte anche inammissibili, laddove in effetti tendono a censuare nel merito, pure in questa sede di legittimità, le argomentazioni svolte dalla Corte distrettuale per determinare l’indennità in questione.

Invero, l’art. 1751 c.c. nel disciplinare l’indennità in caso di cessazione del rapporto, dovuta se ricorrono le condizioni ivi previste, al comma 3 in particolare si limita a stabilire, circa il quantum, che l’importo dell’indennità non può superare una cifra equivalente ad un’indennità annua calcolata sulla base della media annuale delle retribuzioni riscosse dall’agente negli ultimi cinque anni e, se il contratto risale a meno di cinque anni, sulla media del periodo in questione. Questa Corte con la sentenza n. 16347 del 03/04 – 24/07/2007, previa ampia disamina delle problematiche interpretative sottese alla disciplina de qua, ha affermato che in relazione ai criteri di quantificazione dell’indennità in caso di cessazione del rapporto di agenzia, l’art. 17 della direttiva 86/653/CEE del Consiglio del 18 dicembre 1986, relativa al coordinamento del diritto degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti – come interpretato dalla sentenza della Corte di giustizia Cee, 23 marzo 2006, in causa C-465/04 – non impone un calcolo in maniera analitica, bensì consente l’utilizzo di metodi di calcolo diversi e, segnatamente, di metodi sintetici, che valorizzino più ampiamente il criterio dell’equità e, quale punto di partenza, il limite massimo di un’annualità media di provvigioni previsto dalla direttiva medesima. Ne consegue che l’art. 1751 c.c. deve interpretarsi nel senso che l’attribuzione dell’indennità è condizionata non soltanto alla permanenza, per il preponente, di sostanziali vantaggi derivanti dall’attività di promozione degli affari compiuta dall’agente, ma anche alla rispondenza ad equità dell’attribuzione, in considerazione delle circostanze del caso concreto ed in particolare delle provvigioni perse da quest’ultimo (in senso conforme v. anche Cass. lav. n. 23966 del 22/09/2008, secondo cui l’art. 1751, anche nel testo successivo al D.Lgs. n. 65 del 1999, va interpretato in conformità alla disciplina comunitaria, nel senso che l’attribuzione dell’indennità è condizionata non soltanto alla permanenza, per il preponente, di sostanziali vantaggi derivanti dall’attività di promozione degli affari compiuta dall’agente, ma anche alla rispondenza ad equità dell’attribuzione; v. altresì Cass. lav. n. 15203 del 23/06/2010).

Inoltre, secondo Cass. n. 16347/07 cit., quanto alla portata degli artt. 17 e 19 della direttiva, l’art. 1751 c.c., comma 6, nel testo sostituito dal D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303, art. 4 di attuazione della medesima direttiva comunitaria, va inteso nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive. Di conseguenza, l’indennità contemplata dall’Accordo economico collettivo del 27 novembre 1992 rappresentava per l’agente un trattamento minimo garantito, che poteva essere considerato di maggior favore soltanto nel caso che, in concreto, non spettasse all’agente l’indennità di legge in misura inferiore (v. tra l’altro Cass. lav. n. 4056 del 19/02/2008, secondo cui ai fini della quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto spettante all’agente nel regime precedente all’accordo collettivo del 26 febbraio 2002 che ha introdotto l'”indennità meritocratica”, ove l’agente provi di aver procurato nuovi clienti al preponente o di aver sviluppato gli affari con i clienti esistenti – ed il preponente riceva ancora vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti – ai sensi dell’art. 1751 c.c., comma 1, è necessario verificare se – fermi i limiti posti dall’art. 1751 c.c., comma 3, – l’indennità determinata secondo l’accordo collettivo del 27 novembre 1992, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e, in particolare, delle provvigioni che l’agente perde, sia equa e compensativa del particolare merito dimostrato, dovendosi, in difetto, riconoscere la differenza necessaria per ricondurla ad equità. In senso analogo, Cass. lav. n. 486 del 14/01/2016, n. 18413 – 01/08/2013, Cass. 2 civ. n. 4149 del 15/03/2012, nonchè Cass. lav. n. 12724 – 01/06/2009).

Orbene, tenuto pure conto degli anzidetti condivisi principi di diritto, in ordine alla valutazione equitativa in parola, ne deriva che l’art. 1751, comma 3 per quanto testualmente ivi stabilito, delinea soltanto il limite massimo consentito dalla legge per determinare l’importo dell’indennità in questione, da commisurarsi con riferimento alla media annuale delle retribuzioni percepite dall’agente nell’ultimo quinquennio (ovvero, se il contratto di agenzia dura da meno di cinque anni, alla media del corrispondente minor arco temporale). Ne deriva che è infondata la pretesa dell’attore di ottenere, comunque, il calcolo dell’invocata indennità con riferimento al limite massimo consentito della media quinquennale, atteso che sul punto il testo della norma non consente una sua lettura in termini di misura comunque dovuta in favore dell’agente interessato, dovendo invece essere intesa nel senso di limite massimo in ogni caso insuperabile (art. 1751 c.c., comma 3 a differenza invece di quello minimo ex 4 comma, quest’ultimo in particolare nei sensi indicati dalla succitata giurisprudenza, per cui l’importo determinato dal giudice deve prevalere su quello, eventualmente inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, individuali o collettive, così da assicurare all’agente il risultato migliore). Dunque, fermo il limite massimo, individuato dall’art. 1751, comma 3 l’inderogabilità fissata dal successivo sesto comma non si riflette evidentemente sull’anzidetto limite insuperabile, ma unicamente sul miglior risultato possibile, come tale da preferire a quello derivante dall’applicazione di altri criteri, diversamente pattuiti (cfr. in particolare la motivazione della succitata sentenza di questa Corte n. 15203 in data 20 aprile – 23 giugno 2010).

Orbene, anche nel caso qui in esame la Corte di merito risulta aver correttamente applicato i principi d legge che regolano la materia, laddove, dopo aver disatteso le prime argomentazioni della società appellante, accertando in particolare il presupposto dell’ampliamento significativo della clientela, richiesto dall’art. 1751, in quanto la perdita di gran parte dei clienti era riconducibile alla stessa preponente, riteneva la suddetta normativa astrattamente applicabile al caso in esame, non potendo la relativa disciplina essere derogata in pejus neanche dalla contrattazione collettiva, di modo che il confronto tra il trattamento di fine mandato ex art. 1751 e quello disciplinato dall’accordo economico collettivo andava fatto in concreto, al fine di individuare il più favorevole all’agente avente diritto. Tuttavia, secondo la Corte territoriale, l’interposto gravame risultava fondato, laddove aveva sostenuto che l’indennità non andava necessariamente fissata nella misura massima di legge, in relazione a quanto sul punto previsto dall’art. 1751, comma 3 così come invece preteso dal P., dovendo per contro la stessa essere determinata tenendo conto della perdita delle provvigioni e di ogni altra circostanza del caso, tra cui in particolare l’andamento degli affari realizzati dall’agente (a parte la diminuzione di clienti in corso di rapporto, di cui si era già detto). A tal proposito la Corte d’Appello ha evidenziato il tendenziale decremento delle provvigioni liquidate nel corso degli anni dal 2002 sino al primo trimestre 2005, con conseguente proiezione in futuro di tale dato parziale al 31 dicembre di tale anno. Dunque, la Corte cagliaritana ha ritenuto la possibilità di molteplici ragioni di questo progressivo calo, reputando tuttavia assai verosimile che le provvigioni perse dall’agente a causa del recesso da parte della società non ammontassero a 77.284,56 Euro, ma ad una somma decisivamente inferiore, congruamente stimata in ragione del 50% di quella invocata, corrispondente a 38.642,28 Euro, quale importo intermedio tra quanto percepito nell’ultimo anno intero di attività (2004) e quanto probabilmente l’agente avrebbe ottenuto nell’anno seguente (a detrarsi poi quanto già corrisposto da ENASARCO ex art. 10 dell’AEC e quanto già pagato anche da WIND).

Dunque, non soltanto non sono ravvisabili gli errori di legge, ipotizzati da parte ricorrente, ma neanche sono ammissibili le censure di asserita illogicità contestualmente prospettate, siccome non consentite neanche in base al previgente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto attinenti al merito delle valutazioni, peraltro sufficientemente motivate, operate da parte della competente Corte territoriale.

Pertanto, il ricorso va respinto, con conseguente condanna alle spese del soccombente, tenuto altresì come per legge al versamento dell’ulteriore contributo unificato.

PQM

 

la Corte RIGETTA il ricorso. Condanna ilif ricorrente al pagamento delle spese, che si liquidano a favore della controricorrente in Euro 4000,00 (quattromila/00) per compensi professionali ed in 100,00 (cento/00) euro per esborsi, oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2017

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