Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15375 del 13/07/2011

Cassazione civile sez. III, 13/07/2011, (ud. 18/05/2011, dep. 13/07/2011), n.15375

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

C.E. (OMISSIS), G.R.

(OMISSIS), C.E. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMAr VIA DI VILLA GRAZIOLI 5, presso lo

studio dell’avvocato TONACHELLA AMEDEO, rappresentati e difesi

dall’avvocato MAURO MATTUCCI giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

e contro

COMUNE CITTADUCALE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1054/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA, e

Sezione Prima Civile, emessa il 24/10/2007, depositata il 10/03/2008;

R.G.N. 4357/2004.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/05/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LUCIANA BARRECA;

udito l’Avvocato VANIA SABETA per delega MATTUCCI MAURO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.- G.R., in proprio e nella qualità di esercente la potestà sui figli minori E. ed C.E., T. B., C.E. e C.A.M., rispettivamente nelle qualità di moglie, figli, madre e sorelle del defunto C.E., citarono in giudizio, dinanzi al Tribunale di Rieti, il Comune di Cittaducale per sentirlo condannare al risarcimento dei danni da loro sofferti per la morte del loro congiunto, avvenuta il 10 luglio 1994.

Dedussero le parti attrici che in tale ultima data, alle ore 18,30 circa, il predetto C. stava percorrendo alla guida del proprio autoveicolo Fiat Uno la strada bianca comunale denominata “Mezzamola”, quando era fuoriuscito dalla sede stradale precipitando nel canale di scarico delle acque della vicina centrale Enel, parallelo alla strada; era quindi deceduto in seguito al sinistro, la cui responsabilità si sarebbe dovuta addebitare al Comune convenuto per non aver ottemperato all’obbligo di eliminare ogni situazione di pericolo occulto sulla strada in cui si era verificato.

Si costituì in giudizio il Comune e contestò la domanda delle attrici, deducendo l’insussistenza di una situazione di insidia e/o pericolo occulto addebitabile all’ente territoriale; in subordine, chiese accertarsi il concorso nell’evento dannoso del defunto E. C., con le conseguenze di legge.

2.- Il Tribunale di Rieti, con sentenza del 24 febbraio 2004, accolse la domanda, ritenendo il concorso di colpa della vittima nella misura del 20%, e condannò il Comune al risarcimento dei danni, liquidati nelle diverse voci di danno patrimoniale, per perdita di reddito e per spese funerarie e danni all’autoveicolo, nonchè di danno morale, oltre interessi legali; compensò le spese processuali nella misura di 1/5, condannando il Comune al pagamento dei 4/5 in favore delle attrici.

3.- Proposto appello da parte del Comune ed appello incidentale degli appellati tutti, la Corte d’Appello di Roma, con sentenza pubblicata il 10 marzo 2008, accolse l’appello principale ed, in riforma della sentenza impugnata, rigettò la domanda di risarcimento proposta da tutte le parti attrici; dichiarò assorbiti i motivi dell’appello incidentale e compensò integralmente le spese di entrambi i gradi di merito.

4.- Avverso la sentenza della Corte d’Appello propongono ricorso per cassazione G.R., C.E. ed C. E., a mezzo di cinque motivi.

Non si è difeso con controricorso il Comune di Cittaducale.

All’udienza del 18 maggio 2011 è comparso l’avvocato del Comune, ma non risulta essere stata depositata la relativa procura speciale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo ed il terzo motivo di ricorso, che vanno esaminati congiuntamente poichè pongono questioni connesse, i ricorrenti denunciano il vizio di motivazione nei seguenti termini:

– col primo motivo i ricorrenti sostengono che la Corte d’Appello di Roma avrebbe omesso la valutazione probatoria di fatti storici emersi nel corso dell’istruttoria che -ove esaminati- sarebbero stati rilevanti al fine di riconoscere la responsabilità del Comune ex art. 2043 cod. civ.; si tratterebbe, in particolare, di fatti riferibili al dissesto stradale, all’assenza di barriere a protezione del margine della via ed all’assenza di segnaletica di pericolo;

– col terzo motivo, il vizio di motivazione è denunciato con riferimento ai criteri di valutazione della prova, per non avere la Corte d’Appello tenuto conto delle risultanze della perizia fatta in sede penale sulla velocità tenuta dal veicolo della vittima (risultanze, peraltro, non in contrasto con quelle della consulenza tecnica disposta in sede civile) ed avere invece fatto ricorso a delle presunzioni prive di qualsiasi supporto nelle emergenze processuali; più in particolare, rilevano i ricorrenti che, non solo la Corte di merito non avrebbe reputato utile la perizia del consulente del pubblico ministero, ma avrebbe taciuto in merito alla sussistenza delle relative risultanze, senza motivare nemmeno in ordine al criterio seguito per addivenire al proprio contrario convincimento. Ancora, il giudice d’appello non avrebbe adeguatamente motivato in merito alla larghezza della strada nel tratto in cui è avvenuto il sinistro mortale, pur trattandosi di elemento fattuale decisivo, utile e pertinente.

2.- I due motivi di ricorso non sono meritevoli di accoglimento.

Premesso che entrambi attengono alla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d’Appello, va richiamato il principio per il quale “non può essere considerato vizio logico della motivazione la maggiore o minore rispondenza alle aspettative della parte della ricostruzione del fatto nei suoi vari aspetti, o un miglior coordinamento dei dati o un loro collegamento più opportuno e più appagante in quanto tutto ciò rimane all’interno delle possibilità di apprezzamento dei Fatti e, non contrastando con la logica e con le leggi della razionalità, appartiene al convincimento del giudice senza renderlo viziato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5” (così Cass. n. 2948/01, nonchè Cass. n. 10052/01). Pertanto, non può certo questa Corte ripercorrere l’apprezzamento dei fatti che il giudice del merito ha svolto in motivazione, essendo il controllo limitato alla congruità di questa, anche in relazione alla decisività dei fatti addotti dai ricorrenti e che, secondo la prospettazione difensiva di cui sopra, sarebbero stati trascurati dal giudice di merito.

Quanto a tale secondo aspetto, va altresì richiamato l’insegnamento di questa Corte per il quale, ai fini della configurabilità del vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario che “il mancato esame di elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della pronuncia sia tale da invalidare, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia probatoria delle risultanze sulle quali il convincimento del giudice è fondato, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base, ovvero che si tratti di un documento idoneo a fornire la prova di un fatto costitutivo, modificativo o estintivo del rapporto giuridico in contestazione, e perciò tale che, se tenuto presente dal giudice, avrebbe potuto determinare una decisione diversa da quella adottata” (cfr. così Cass. n. 14304/2005, ma nello stesso senso, tra molte, anche Cass. n. 10156/2004, n. 5473/2006, n. 21249/2006, n. 9245/2007).

3.- Passando all’esame dei motivi, è da escludere che, come sostenuto dai ricorrenti, la Corte d’Appello non abbia considerato lo stato di dissesto della strada, la mancanza di barriere e di segnaletica di pericolo, in quanto ha ampiamente motivato su tali situazioni, ritenendole sussistenti proprio in base alle medesime fonti richiamate dai ricorrenti (verbale redatto dai Carabinieri e consulenza tecnica), ma non tali da risultare dotate di autonoma efficienza causale rispetto all’incidente: lo stato di dissesto perchè non così grave e decisivo come ritenuto dal Tribunale; la mancanza di barriere e di segnaletica perchè, pur riscontrata, non riguardava il tratto di strada che il C. avrebbe dovuto percorrere obbligatoriamente. Piuttosto, secondo la Corte d’Appello, è stata determinante la manovra di guida della vittima che “trovandosi nel senso opposto di marcia, non aveva alcuna necessità di portarsi interamente con l’autovettura sul lato opposto della strada e, in ogni caso, non aveva alcuna necessità di effettuare una manovra repentina verso il margine opposto …”.

Proprio quest’ultima è la ratio decidendi della sentenza impugnata, che entrambi i motivi di ricorso in esame si rivelano inadeguati a intaccare. Al fine di dimostrare l’ìncongruenza della motivazione relativamente alla condotta di guida della vittima, i ricorrenti avrebbero dovuto indicare elementi di prova non considerati dalla Corte d’Appello che, invece, se considerati, sarebbero stati idonei a dimostrare che la manovra del C., così come effettivamente compiuta, fosse stata conseguenza obbligata della situazione di dissesto, in modo da non potersi considerare comportamento anomalo, secondo quanto invece ritenuto dal giudice di merito.

3.1.- Orbene, effettivamente i ricorrenti sostengono che la manovra del C. non sarebbe stata ingiustificata come ritenuto dalla Corte di merito, ma sarebbe stata indotta proprio dalla situazione di dissesto della sede stradale, tale da comportare la necessità per il conducente di spostarsi con l’auto interamente sul lato opposto di carreggiata rispetto al proprio senso di marcia. Tuttavia, addivengono a tale deduzione mediante una lettura delle medesime risultanze istruttorie già valutate dal giudice di merito senza addurre alcun ulteriore elemento, che sarebbe stato trascurato dalla Corte, tale che, se questa lo avesse invece valutato, avrebbe concluso nel senso di una presenza di buche così profonde e numerose sul lato strada percorso dal conducente che non si sarebbero potute evitare se non percorrendo la semicarreggiata opposta.

La sentenza motiva sull’impossibilità di sostenere con certezza che vi fossero buche profonde e numerose; si tratta di un’anomalia della strada che avrebbe dovuto essere provata dal danneggiato ed allo scopo correttamente il giudice d’appello ha escluso che potessero trarsi elementi di prova da quanto riscontrato dal consulente tecnico dopo otto anni dal fatto. Parimenti, non risulta affatto trascurato l’accertamento svolto dai carabinieri, su cui insistono i ricorrenti:

nemmeno costoro riescono ad evidenziare un qualche elemento di fatto desumibile da tale accertamento idoneo, in sè, a ribaltare completamente il giudizio della Corte circa la mancanza di prove significative in merito ad anomalie della strada, se non quelle “normalmente presenti in una strada non asfaltata”.

3.2.- Quanto all’affermazione dei ricorrenti secondo cui la Corte avrebbe errato nel valutare la larghezza della strada nella misura media di mt. 5,50 piuttosto che in mt. 4,75, quale misurata dal consulente tecnico nel punto di fuoriuscita del veicolo -affermazione posta a sostegno sia del primo che del terzo motivo- il dato nella sua oggettività non è in sè talmente eclatante, nè è accompagnato da risultanze peritali tali, da invalidare l’apprezzamento di fatto della corte di merito per il quale comunque la larghezza della strada non avrebbe imposto lo spostamento completo dell’auto sul margine opposto della carreggiata, consentendo invece una manovra più prudente.

3.3.- Parimenti inadeguata è la critica rivolta dai ricorrenti all’ulteriore argomento della motivazione sopra richiamato, vale a dire l’affermazione della Corte d’Appello secondo cui non è risultato dall’istruttoria che il conducente avesse avuto alcuna necessità di uno spostamento “repentino” sul margine opposto (giudizio di repentinità che la Corte fonda espressamente sull’accertamento del consulente tecnico di primo grado);

nemmeno questo accertamento appare significativamente confutato da alcuno degli altri elementi menzionati dai ricorrenti.

Questi ultimi, infatti, insistono – sia nel primo che nel terzo motivo del ricorso – nella (ri)valutazione del calcolo della velocità del veicolo al momento del sinistro, in termini assoluti, laddove la Corte di merito ha valutato la velocità, giudicandola “eccessiva”, con riferimento alla manovra di spostamento del veicolo da un lato all’altro ed in relazione alla tipologia del “fondo stradale della strada bianca (con pietrisco)”, che offrendo minor aderenza ai pneumatici, “aveva fatto perdere al C. il controllo dell’autovettura”.

Si tratta di una valutazione di fatto che non può essere nuovamente compiuta da questa Corte sulla base delle risultanze peritali richiamate dai ricorrenti, non risultando essa in contrasto con tali risultanze (relative, come detto, alla velocità valutata, in termini assoluti e probabilistici, non superiore ai 37 km/h o comunque compresa tra i 30 ed i 40 km/h, ma non valutata in relazione al tipo di manovra compiuta dal conducente, così come fatto dal giudice di merito, con apprezzamento incensurabile in questa sede).

4.- Nel trarre le conseguenze in diritto dalle valutazioni di cui sopra il giudice d’appello si è attenuto ai principi più volte affermati da questa Corte in merito alla sussistenza del nesso causale tra fatto ed evento dannoso ed al riparto dell’onere della prova, nel caso di asserita responsabilità della p.a. per il difetto di manutenzione delle strade pubbliche:

– ove, come nel caso dei motivi di ricorso in esame, venga invocata la regola generale dettata dall’art. 2043 c.c., grava sul danneggiato l’onere della prova dell’anomalia della strada, fatto di per sè idoneo – in linea di principio -a configurare anche come colposo il comportamento della P.A. (fornendo quindi implicitamente la prova dell’elemento soggettivo ex art. 2043 cod.civ., comunque necessaria:

cfr. Cass. n. 390/08) e ricade sulla convenuta l’onere della prova dei fatti impeditivi;

– tanto in ipotesi di responsabilità oggettiva della P.A. ex art. 2051 c.c., quanto in ipotesi di responsabilità della stessa ex art. 2043 c.c., il comportamento colposo del soggetto danneggiato nel servirsi della strada (che sussiste anche quando egli abbia usato il bene senza la normale diligenza o con affidamento soggettivo anomalo) esclude la responsabilità della p.a., se tale comportamento è idoneo ad interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso (cfr. già Cass. n. 15383/06);

– va quindi compiuto, alla stregua dei fatti dedotti in giudizio, l’accertamento della derivazione eziologica, in tutto o in parte, dell’evento dannoso dal comportamento dello stesso danneggiato e va compiuta la valutazione del relativo eventuale apporto causale;

l’interruzione del nesso di causalità può essere l’effetto del comportamento sopravvenuto del danneggiato, quando il fatto di costui si ponga come unica ed esclusiva causa dell’evento di danno, sì da privare dell’efficienza causale e da rendere giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell’autore dell’illecito (cfr. Cass. n. 6640/98; n. 18094/05; n. 8096/06);

– nel caso di responsabilità ex art. 2043 cod. civ., anche in ipotesi quale quella in esame, viene in rilievo, altresì, la norma dell’art. 1227 cod. civ., comma 1, (cfr. Cass. n. 5445/06, 18713/10);

in conclusione, quanto più la situazione di possibile pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso.

Ed è ciò che è accaduto nella specie, secondo gli accertamenti della Corte di merito, che ha concluso nel senso che la vittima tenne “un comportamento del tutto anomalo, che non trova giustificazione sulla base dello stato dei luoghi … autonomamente causativo dell’evento”. Dato quanto sopra, sono irrilevanti le censure svolte nel primo e nel terzo motivo di ricorso riguardo all’insufficienza della motivazione sulla mancanza di barriere protettive e di adeguata segnaletica di pericolo: la relativa efficienza causale è stata espressamente e motivatamente esclusa dal giudice del merito che ha ritenuto provata la condotta abnorme dell’utente, tale che lo indusse a percorrere il tratto di strada, in sè pericoloso, ma sul quale egli non si sarebbe dovuto trovare e non si sarebbe effettivamente trovato, se avesse tenuto una regolare condotta di guida.

5.- Col secondo motivo, i ricorrenti muovono censure alla motivazione della sentenza nella parte in cui ha ritenuto l’insussistenza di una situazione di pericolo occulto e sostengono che la Corte di merito non avrebbe considerato il carattere intrinsecamente insidioso della situazione dei luoghi in cui avvenne il sinistro e non avrebbe considerato la mancanza di prove in merito al fatto, affermato in sentenza, secondo cui detta situazione sarebbe stata perfettamente nota al C., non potendosi ciò desumere soltanto dalla sua residenza in una frazione di Cittaducale.

Il motivo non è meritevole di accoglimento.

La ratio decidendi della sentenza impugnata di cui si è detto sopra è, infatti, riscontrata e completata dalla parte di motivazione oggetto della censura in esame, sicchè tra questa e la motivazione oggetto delle censure di cui ai due motivi di ricorso già esaminati non vi è contraddizione alcuna.

Ed invero, una volta precisato che la cd. insidia non è un concetto giuridico, ma un mero stato di fatto, che, per la sua oggettiva invisibilità e per la sua conseguente imprevedibilità, integra una situazione di pericolo occulto e che tale situazione, pur assumendo grande importanza probatoria, in quanto può essere considerata dal giudice idonea a integrare una presunzione di sussistenza del nesso eziologico con il sinistro e della colpa del soggetto tenuto a vigilare sulla sicurezza del luogo, non esime il giudice dall’accertare in concreto la sussistenza di tutti gli elementi previsti dall’art. 2043 cod. civ. (cfr. Cass. n. 20943/09), deve per contro affermarsi che la possibilità in cui l’utente si sia trovato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza l’anomalia, quindi l’esclusione dell’insidia, intesa come sopra, valga altresì ad escludere la responsabilità della p.a..

Orbene, proprio in merito a detta possibilità motiva la Corte d’Appello di Roma quando argomenta in punto di visibilità ed evitabilità del pericolo che escludeva, nel caso di specie, il carattere insidioso del tratto di strada percorso dal C..

Si tratta di un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, insindacabile se congruamente e logicamente motivato (cfr.

Cass. n. 24428/08): nessuna incongruenza è riscontrabile nella motivazione della sentenza impugnata, poichè l’insussistenza dell’insidia non è stata soltanto presunta per la ritenuta conoscibilità dei luoghi da parte della vittima, ma è stata fondata sull’ulteriore valutazione del loro concreto stato di fatto, tale che il pericolo sarebbe stato comunque evitabile se il conducente dell’auto avesse tenuto il “comportamento improntato a comuni canoni di prudenza” richiamato dalla Corte d’Appello di Roma.

6.- I motivi quarto e quinto prima ancora che infondati (poichè la ratio decidendi della sentenza impugnata indurrebbe comunque all’esclusione della responsabilità ex art. 2051 c.c., essendo integrato il caso fortuito anche dal comportamento del danneggiato:

cfr., tra le tante, Cass. n. 24419/09; n. 8229/10) sono inammissibili poichè vengono dedotti, rispettivamente, il vizio di motivazione e la violazione di legge con riferimento alla norma dell’art. 2051 cod. civ., sostenendo i ricorrenti che vi sarebbe stata una “parte” dell’appello incidentale riguardante il profilo di responsabilità dell’amministrazione comunale ex art. 2051 cod. civ..

Dal momento che nulla è detto in sentenza, sarebbe stato onere dei ricorrenti riportare in ricorso i motivi dell’appello incidentale relativi alla domanda che sarebbe stata proposta ai sensi dell’art. 2051 cod. civ. e dedurne l’avvenuta proposizione già nel primo grado di giudizio. In mancanza, questa è da ritenersi nuova, quindi inammissibile in questa sede.

7.- Non sussistono i presupposti per la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, non essendosi il Comune di Cittaducale validamente difeso dinanzi a questa Corte.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 18 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2011

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