Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15372 del 21/06/2017


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Cassazione civile, sez. III, 21/06/2017, (ud. 09/05/2017, dep.21/06/2017),  n. 15372

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21180/2015 proposto da:

Z.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PANAMA 74,

presso lo studio dell’avvocato IACOBELLI STUDIO, rappresentato e

difeso dagli avvocati ALESSANDRO PREDONZANI, FILIPPO ALESSI giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

B.A., A.I., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MARCO

VINCENTI, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati

MARIA ROSA GAMBI, PIERO FORNASARO DE MANZINI giusta procura in calce

al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

E.I.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 239/2015 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 02/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

09/05/2017 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza 2.4.2015 n. 230 la Corte d’appello di Trieste, confermando la decisione di prime cure, rigettava l’appello principale proposto da Z.T., rilevando quanto alle pretese restitutorie formulate dall’appellante nei confronti della ex coniuge A.I., della madre di lei E.I. e del figlio di lei, B.A., che:

– corretta era la qualificazione effettuata dal Tribunale come donazioni di modico valore delle elargizioni effettuate a favore del figlio “per sostegno agli studi svolti all’estero”, in considerazione tanto dell’ingente patrimonio del donante, quanto della entità dei singoli versamenti;

– corretta era la statuizione del Tribunale che aveva rigettato la pretesa restitutoria di Euro 1.900,00 corrisposte alla suocera a titolo di finanziamento per l’acquisto di mobilio (non specificamente indicato nel capitolato di prova orale, ritenuta quindi inammissibile per genericità), atteso che l’accipiens aveva contestato l’obbligo restitutorio e lo Z. non aveva fornito alcuna prova del titolo che giustificava la pretesa;

– che incerta era la domanda restitutoria formulata nei confronti dell’ex coniuge, per somme asseritamente alla stessa versate per “pagare il prezzo dell’immobile in (OMISSIS)” non avendo lo Z. neppure chiarito se si trattasse di somme anticipate all’ex coniuge per acquistare l’immobile che era stato posto all’asta giudiziaria, ovvero invece di rivendicazione della quota spettante dal ricavato della vendita del cespite immobiliare, in ogni caso non essendo stata fornita prova che le somme fosse di pertinenza dello Z. nè che l’immobile fosse di “sostanziale proprietà comune dei coniugi”.

La Corte territoriale in parziale riforma della decisione di prime cure accoglieva invece l’appello incidentale proposto dalla A. volto a conseguire la condanna dello Z. al pagamento delle somme, per Euro 121.270,00 oltre interessi, oggetto di ricognizioni di debito, in difetto della contraria prova della inesistenza del debito.

La sentenza di appello è stata ritualmente impugnata da Z.T. con quattro motivi.

Resistono con controricorso la A., in proprio e n.q. di erede di E.I., ed il B..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo è inammissibile.

Il ricorrente, senza alcuno sviluppo sistematico e coerente delle censure dedotte e della esposizione degli argomenti critici rivolti alla sentenza impugnata:

a) deduce cumulativamente plurimi e distinti vizi di legittimità -violazione dell’art. 783 c.c., violazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., nonchè dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 36 Cost.; “vizi di motivazione” per ragionamento “incompleto, illogico o contraddittorio”, ed ancora la violazione del diritto alla prova ex art. 115 c.p.c., senza che sia possibile enucleare dalla esposizione gli specifici argomenti critici che supportano ciascuna diversa censura di legittimità. Il motivo “formalmente unico” ma articolato in plurime censure di legittimità, si palesa infatti inammissibile tutte le volte in cui l’esposizione contestuale dei diversi argomenti a sostegno di entrambe le censure non consenta di discernere le ragioni poste a fondamento, rispettivamente di ciascuna di esse: in tal caso infatti le questioni formulate indistintamente nella esposizione del motivo e concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo ed in genere il merito della causa, costringerebbero il Giudice di legittimità ad operare una indebita scelta tra le singole censure teoricamente proponibili e riconducibili ai diversi mezzi d’impugnazione enunciati dall’art. 360 c.p.c., non potendo sostituirsi la Corte al difensore per dare forma e contenuto giuridici alle doglianze del ricorrente, al fine di decidere successivamente su di esse (cfr. Corte Cass. Sez. Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 1, Sentenza n. 21611 del 20/09/2013), trattandosi di compito riservato in via esclusiva alla parte interessata, come emerge dal combinato disposto dell’art. 360 c.p.c. e art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 18242 del 28/11/2003 id. Sez. 1, Sentenza n. 22499 del 19/10/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 5353 del 08/03/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 18421 del 19/08/2009; id. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 3248 del 02/03/2012).

b) non individua con la necessaria specificità le statuizioni della sentenza che intende criticare, contestando tanto gli argomenti in diritto svolti dal Tribunale nella sentenza di prime cure, quanto le conclusioni cui è pervenuta la Corte d’appello, per un verso, reiterando il motivo di gravame volto a contestare la qualificazione delle elargizioni al figlio dell’ex coniuge come donazioni di modico valore, omettendo tuttavia di evidenziare gli errori o le lacune nella rilevazione degli elementi costitutivi della fattispecie in cui sarebbe incorsa la Corte Territoriale; per altro verso, ritenendo anapoditticamente errata la decisione di rigetto della pretesa avanzata nei confronti della E., ed assumendo come decisiva la prova non ammessa, della quale tuttavia non viene data alcuna indicazione essendo omessa finanche la trascrizione delle circostanze di fatto capitolate -in palese violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6: ex multis Corte Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 17915del 30/07/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 13677 del 31/07/2012; id. Sez. 6-5, Ordinanza n. 48 del 03/01/2014, limitandosi inoltre il ricorrente a richiedere una inammissibile pronuncia di equità;

c) non intacca minimamente la “ratio decidendi” della sentenza di appello che è pervenuta a qualificare le elargizioni effettuate al figlio dell’ex coniuge come donazioni di modico valore, in considerazione della incontestata causa delle dazioni di denaro (sostegno alla attività didattica) ed in relazione all’esame di quelle stesse circostanze sintomatiche (ingente patrimonio del donante; entità delle singole donazioni) di cui, con il motivo di ricorso in esame, lo Z. viene erroneamente ad allegare la mancata valutazione, senza peraltro fornire elementi specifici di contestazione idonei ad escludere la sussunzione della fattispecie concreta nello schema dell’art. 783 c.c..

d) denuncia – senza indicare il “fatto storico decisivo” in ipotesi omesso dal Giudice di appello – un vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione della sentenza di appello che non trova riscontro nel tassativo elenco di cui all’art. 360 c.p.c., attesa la modifica del n. 5 della norma processuale introdotta dal D.L. n. 83 del 2012, conv. in L. n. 134 del 2012, applicabile “ratione temporis” al ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza depositata il 2.4.2015.

Con il secondo motivo di ricorso si denuncia il vizio di omessa pronuncia su un motivo di gravame, nonchè la violazione dell’art. 1322 c.c., per non aver ritenuto sussistente la Corte d’appello la esistenza di una intestazione fiduciaria all’ex coniuge – sembra da intendere – della quota di proprietà, spettante allo Z., di un immobile di prestigio.

Sostiene il ricorrente che realizzando la intestazione fiduciaria un negozio con effetti reali, avrebbe errato la Corte d’appello a riconoscere che allo Z. spettava esclusivamente un’azione di natura risarcitoria, anzichè attribuire allo stesso il diritto al controvalore del bene immobile, “solo fittiziamente intestato alla compagna ma acquistato con denaro proveniente dall’attività imprenditoriale” dello stesso Z..

Il motivo – che pecca di specificità, non consentendo di distinguere se sia rivolto a far valere la violazione di un “pactum fiduciae” o invece la “intestazione meramente fittizia” della proprietà dell’immobile – è inammissibile non attingendo alla “ratio decidendi” della statuizione impugnata.

Premesso che il Tribunale aveva ravvisato nella fattispecie un rapporto di natura fiduciaria, da ciò traendo la conseguenza della inammissibilità della pretesa restitutoria delle somme ricavate dalla vendita dell’immobile, in quanto dalla violazione del “pactum fiduciae” derivava allo Z. esclusivamente un’azione di condanna al risarcimento dei danni, la Corte d’appello ha, invece, fondato la propria decisione esclusivamente sul difetto di prova: 1) dell’impiego di somme di provenienza dello Z., tanto nel caso di acquisto quanto nel caso di riacquisto dell’immobile dagli organi della procedura esecutiva, 2) della esistenza di un accordo fiduciario tra gli ex coniugi, accordo che necessitava di forma scritta “ad substantiam” avendo ad oggetto l’obbligo di ritrasferimento di un immobile (cfr. Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10163 del 09/05/2011).

Orbene tale “ratio decidendi” non viene censurata con il motivo in esame che difetta, pertanto, del requisito di ammissibilità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Terzo motivo: violazione di legge per travisamento dei fatti; erronea valutazione della dichiarazione di debito ed inversione dell’onere probatorio; violazione degli artt. 1988 e 2697 c.c..

Lamenta il ricorrente che la Corte d’appello, riformando sul punto la sentenza del Tribunale, aveva ritenuto valide le dichiarazioni ammissive di debito, non disconosciute dallo Z., che l’ A. aveva azionato con la domanda riconvenzionale, senza tenere conto che le stesse erano state da lui sottoscritte in quanto costretto da una situazione di grave difficoltà economica.

Il motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Premesso che, ai sensi dell’art. 1988 c.c., la promessa di pagamento, come la ricognizione di debito, non costituisce fonte autonoma di obbligazione, ma spiega soltanto effetto confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, ed anche quando è titolata, cioè contenente il riferimento al rapporto giuridico che sta alla sua base, produce il mero effetto dell’astrazione processuale dalla “causa debendi”, dispensando il promissario dall’onere di provare l’esistenza del rapporto fondamentale che si presume fino a prova contraria, e deve essere, oltre che esistente, valido, con la conseguenza che viene meno ogni effetto vincolante della promessa se si accerti giudizialmente che il rapporto non è sorto, è invalido o si è estinto (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10574 del 09/05/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 27406 del 18/11/2008; id. Sentenza n. 11332 del 15/05/2009), osserva il Collegio che la Corte d’appello ha ritenuto che lo Z. fosse tenuto al pagamento delle somme indicate, in mancanza di qualsiasi prova idonea a vincere la presunzione di esistenza del debito (essendo stata ritenuta irrilevante e generica la richiesta di ordine di esibizione nei riguardi della banca con la quale l’ A. intratteneva rapporti, in quanto meramente esplorativa), ed in difetto – in particolare – della prova della coercizione del promittente, ovvero di altri elementi sintomatici di una simulazione.

Sul punto il ricorrente non svolge alcuna specifica critica, nè indica elementi fattuali – provati in giudizio – dai quali emergerebbe la causa del rapporto sottostante e la estinzione od invalidità od inesistenza dello stesso, od ancora elementi volti ad infirmare la ricognizione di debito, e contesta – peraltro – alla Corte d’appello un errore inesistente, laddove afferma che la “promessa veniva fatta nei confronti di due soggetti, uno dei quali non presente in giudizio” sicchè la condanna, in difetto di solidarietà attiva, avrebbe dovuto essere dimidiata. Indipendentemente dalla esatta portata semantica della indicata

espressione, è appena il caso di rilevare come la Corte d’appello abbia posto a fondamento della condanna due “dichiarazioni di debito”, entrambe rivolte a favore esclusivamente di A.I. (sentenza appello, in motiv. pag. 10 e 11), e dunque ha correttamente pronunciato la condanna al pagamento dell’intero importo indicato nei predetti atti sottoscritti dallo Z..

Quarto motivo: violazione e falsa applicazione del D.M. n. 127 del 2004, art. 5 e del D.M. n. 55 del 2014; insufficiente motivazione su un punto decisivo (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Il ricorrente ritiene ingiusta la liquidazione a suo carico delle spese di lite, atteso che la natura della lite avrebbe giustificato la compensazione. Inoltre deduce l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte d’appello liquidando due volte le medesime spese “una per l’accoglimento della domanda riconvenzionale e l’altra per la soccombenza”.

Il motivo è infondato.

La Corte d’appello rilevato che lo Z. era risultato integralmente soccombente in entrambi i gradi di giudizio, e che l’ A. era invece risultata vittoriosa in ordine alla domanda riconvenzionale, ha rideterminato il regolamento delle spese per l’intero giudizio, liquidando – in riforma del relativo capo della sentenza di prime cure – in complessive Euro 8.000,00 le spese concernenti il primo grado, ed in Euro 9.515,00 quelle di secondo grado.

Quanto alla richiesta di compensazione delle spese, la stessa è inammissibile in quanto non costituisce motivo di ricorso per cassazione, essendo riservato in via esclusiva al giudice di merito di valutare se ricorrano circostanze idonee a giustificare la compensazione in tutto o in parte delle spese di lite ex art. 92 c.p.c., non essendo sindacabile in sede di legittimità l’esercizio di tale potere discrezionale (cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5828 del 16/03/2006; id. Sez. 5, Sentenza n. 20457 del 06/10/2011).

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.

PQM

 

rigetta il ricorso principale.

Condanna il ricorrente al pagamento in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2017

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