Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15370 del 22/07/2015


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 15370 Anno 2015
Presidente: FORTE FABRIZIO
Relatore: SCALDAFERRI ANDREA

SENTENZA

sul ricorso 30799 2011 proposto da:

GROSSI PATRIZIA (C.F. GRSPRZ51S57E472J), GROSSI
CLAUDIA

(C.F.

GRSCLD54L60E472C),

elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA PASUBIO 2, presso

Data pubblicazione: 22/07/2015

l’avvocato FLAVIO MARIA POLITO, che le rappresenta
e difende, giusta procura a margine del ricorso;
2015
1069

GROSSI MASSIMO (C.F. GRSMSM55T03E4720), in proprio
e nella qualità di erede di GENNARO GROSSI, ORIETTA
GROSSI (C.F. GRSRTT64H67L117Y), RESIDENCE VALERY
S.R.L. IN LIQUIDAZIONE (C.F. 03605041007), EDILGEN

1

S.R.L.

IN

LIQUIDAZIONE

(C.F.

07221790582),

PA.CLA.MA.OR. S.R.L. (C.F. 02341470587), tutte e
tre in persona dei rispettivi legali rappresentanti
pro tempore, tutti elettivamente domiciliati i
ROMA, PIAllA DELL’UNITA’ 13, presso l’avvocato

giusta procura a margine del ricorso successivo;
– ricorrenti + ricorrenti successivi
contro

BANCA FIDEURAM S.P.A. (c.f./p.i. 00714540150), in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FALERIA 37,
presso l’avvocato MASSIMO EROLI, che la rappresenta
e difende, giusta procure a margine del
controricorso e del controricorso successivo;
e

controricorrente + controricorrente successivo

sul ricorso 16780-2014 proposto da:

GROSSI MASSIMO (C.F. GRSMSM55T03E4720), in proprio
e nella qualità di erede di GENNARO GROSSI e di

PAOLO PANNELLA, che li rappresenta e difende,

UMBRA ALLEGRETTI, ORIETTA GROSSI (C.F.
GRSRTT64H67L117Y),

COSTANZA

MATTEO

(C.F.

CSTMTT98C17F611Z), RESIDENCE VALERY S.R.L. IN
LIQUIDAZIONE (C.F. 03605041007), EDILGEN S.R.L. IN
LIQUIDAZIONE (C.F. 07221790582), PA.CLA.MA.OR.
S.R.L. (C.F. 02341470587), tutte e tre in persona

2

dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore,
tutti elettivamente domiciliati i ROMA, VIALE DELLE
MILIZIE 34, presso l’avvocato PAOLO PANNELLA, che
li rappresenta e difende, giusta procura in calce
al ricorso;

contro

BANCA FIDEURAM S.P.A. (c.f./p.i. 00714540150), in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FALERIA 37,
presso l’avvocato MASSIMO EROLI, che la rappresenta
e difende, giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente contro

GROSSI PATRIZIA, GROSSI CLAUDIA, BELLI MAURO;

intimati

avverso le sentenze n. 5401/2010 e n. 3263/2013
della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositate il

/14-1

– ricorrenti –

23/12/2010 e il 04/06/2013;
udita la relazione della causa svolta nella
pubblica udienza del 12/03/2015

dal Consigliere

Dott. ANDREA SCALDAFERRI;
udito, per le ricorrenti, l’Avvocato F.M. POLITO
che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

3

udito, per la controricorrente + controricorrente
C

successivo BANCA FIDEURAM, l’Avvocato M. EROLI che
e

ha chiesto l’accoglimento dei propri motivi;
udito, per i ricorrenti successivi e ricorrenti M.
GROSSI + altri, l’Avvocato P. PANNELLA che si

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ROSARIO GIOVANNI RUSSO che ha
concluso per l’estinzione del giudizio in
riferimento al ricorso di PATRIZIA e CLAUDIA GROSSI
e compensazione delle spese. Previa riunione,
inammissibilità o rigetto degli altri due ricorsi e
condanna alle spese.

l
i

riporta;

4

Svolgimento del processo
1. Nel febbraio 1995 la Edilgen s.r.l. e la Residence
Valery s.r.l. convennero in giudizio Banca Fideuram s.p.a.

convenuta alle obbligazioni assunte con due contratti di
finanziamento in valuta estera (Yen) rispettivamente da
esse conclusi con la convenuta (con la quale le due società
intrattenevano già rapporti di c/c di corrispondenza)
rispettivamente nell’ottobre e novembre 1991. Inadempimento
che in particolare riferivano al reperimento della
provvista in yen, cui la banca non aveva provveduto (sì da
non subire poi le conseguenze del grave peggioramento del
cambio lira-yen verificatosi nel corso del rapporto in
corrispondenza con l’uscita della moneta nazionale dal
S.M.E.). Chiedevano altresì dichiararsi la nullità o
inefficacia delle iscrizioni di ipoteche in favore della
banca sugli immobili rispettivamente di proprietà di esse
attrici, delle quali chiedevano disporsi la cancellazione
unitamente alla condanna della banca al risarcimento dei
danni.
La Banca Fideuram si costituì chiedendo che, previa
autorizzazione alla chiamata in causa di Massimo Grossi,
Orietta Grossi e Gennaro Grossi, quali fideiussori delle

5

chiedendo che venisse accertato l’inadempimento della

e

due società ed il terzo anche in proprio (avendo anch’egli
concluso due contratti di finanziamento in Yen regolati nel
conto corrente a lui intestato), fossero rigettate le
domande di queste ultime e, in via riconvenzionale,

chiamati, al pagamento delle somme a debito dei rapporti
con la banca oltre interessi convenzionali con
capitalizzazione trimestrale. I fideiussori, chiamati in
causa, si costituirono chiedendo dichiararsi la nullità dei
contratti di fideiussione ex lege n.154/1992 e la nullità o in subordine la risoluzione per inadempimento o per
eccessiva onerosità sopravvenuta- dei contratti di
finanziamento in valuta estera.
2. Nel frattempo, nel giugno 1995 la Banca Fideuram
notificava alla Paclamaor s.r.l. decreto ingiuntivo di
pagamento di quanto residuato a suo debito su due analoghi
contratti di finanziamento in valuta estera (Yen) conclusi
nel marzo 1992, nonché del saldo debitore del c/c intestato
alla società stessa. Quest’ultima proponeva opposizione,
chiedendo pronunciarsi -per le ragioni già esposte
nell’altro giudizio dagli altri- la risoluzione dei
contratti per grave inadempimento della Banca Fideuram. La
quale si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto

,

6

condannate le stesse, rispettivamente in solido con i

a

dell’opposizione,

o in subordine la condanna della

opponente al pagamento della somma di cui alla ingiunzione.
3. Il Tribunale di Roma, riuniti i due giudizi ed espletata
consulenza tecnica d’ufficio, con sentenza depositata il 21

pronunciava la risoluzione dei contratti di finanziamento,
dichiarava nulle sia le iscrizioni ipotecarie (con ordine
di cancellazione) sia le fideiussioni rilasciate da Massimo
ed Orietta Grossi ed emetteva condanna generica della Banca
Fideuram al risarcimento dei danni.
4. Proponeva appello la Banca Fideuram, insistendo nelle
domande proposte nei confronti della Paclamaor, della
Edilgen, della Residence Valery,

di

Massimo e Orietta

Grossi, nonché degli eredi di Gennaro Grossi (deceduto nel
,

2004). Si costituivano in giudizio Massimo Grossi, Orietta
Grossi, Umbra Allegretti (coniuge di Gennaro Grossi), e le
tre società anzidette, chiedendo il rigetto dell’appello.
Si costituivano altresì tardivamente Patrizia Grossi e
Claudia

Grossi

eccependo

il

proprio

difetto

di

legittimazione passiva quali eredi del padre Gennaro
Grossi, alla cui eredità avevano rinunziato. Rimessa la
causa in decisione, la Corte d’appello di Roma con
ordinanza del 24.2.2010 dichiarava l’interruzione del
processo per morte di Umbra Allegretti. Alla riassunzione

.

7

A

aprile 2005 revocava il decreto ingiuntivo opposto,

-ut-v-

provvedeva la Banca notificando poi il ricorso anche a
Massimo, Orietta, Patrizia e Claudia Grossi quali eredi
della Allegretti, i quali (già altrimenti costituiti) non
si costituivano anche in tale qualità.

2010, la Corte, disattesa l’eccezione, sollevata da Massimo
e Orietta Grossi, di non integrità del contraddittorio in
appello (rilevando come i predetti avessero accettato il
contraddittorio non solo in proprio ma anche nella evocata
qualità di eredi di Gennaro Grossi), nonché l’eccezione di
carenza di legittimazione passiva sollevata da Patrizia e
Claudia Grossi (rilevando come esse, pur avendo rinunciato
alla eredità del padre Gennaro, fossero comunque eredi
e

della madre Umbra Allegretti, a sua volta erede del coniuge
Gennaro essendosi costituita in giudizio in tale qualità),
rigettava tutte le domande proposte dagli appellati e
confermava la sola revoca del decreto ingiuntivo opposto,
disponendo ulteriore istruttoria per l’esatta
quantificazione dei crediti azionati dalla banca. Riteneva
in particolare la Corte di merito, per quanto qui ancora
rileva: -che non vi era stato inadempimento (né tantomeno
violazione dell’obbligo di buona fede e correttezza) da
parte della banca ai contratti di finanziamento perché le
parti, nella esplicazione della loro autonomia privata,

e

8

Quindi, con sentenza parziale depositata il 23 dicembre

avevano determinato la prestazione a carico della predetta
non nell’approviggionamento materiale di yen, bensì nel
finanziamento di somme che sarebbero state erogate (nei
rispettivi c/c di appoggio) in lire, secondo il

dopo 18 mesi al controvalore del momento (con rischio delle
oscillazioni del cambio

medio tempore gravante dunque su

entrambe le parti); -che neppure era invocabile l’eccessiva
onerosità sopravvenuta perché l’oscillazione del cambio
rientra nell’alea normale del contratto di finanziamento in
valuta estera; -che, quanto alla misura degli interessi
passivi sulle somme a debito dei conti correnti, la banca,
dopo l’entrata in vigore della legge n.154/92 (che aveva
stabilito la nullità delle clausole di rinvio agli usi su
piazza), si era avvalsa dello

ius variandi previsto dai

contratti di c/c prevedendo direttamente i tassi di
interesse (che erano stati tacitamente accettati dai
correntisti), la cui capitalizzazione tuttavia aveva
illegittimamente applicato su base trimestrale, anziché su
base annuale (come peraltro richiesto dai debitori); -che
legittime erano le iscrizioni ipotecarie, cui la banca
aveva proceduto sulla base delle procure rilasciatele dalle
società proprietarie e nel rispetto delle clausole ivi
contenute, in presenza di esposizioni debitorie

9

controvalore in yen alla data di erogazione, da restituirsi

effettivamente esistenti; -che del pari legittime erano le
fideiussioni rilasciate dalle parti.
5. Avverso tale sentenza parziale proponevano ricorso per
cassazione, con atto spedito per la notifica il 20.12.2011,

spedito per la notifica il 30.1.2012, Massimo Grossi,
Orietta Grossi e le tre società Edilgen s.r.1., Residence
Valery s.r.l. e Paclamaor s.r.l.
6.

Nelle more la Corte d’appello -espletata c.t.u.

suppletiva e disposta l’integrazione del contraddittorio
nei confronti degli eredi di Umbra Allegretti, già
costituita quale erede di Gennaro Grossi- con sentenza
depositata il 4 giugno 2013 definiva il giudizio
condannando le tre società (Residence Valery, Edilgen,
Paclamaor) e gli eredi di Gennaro Grossi, in solido con i
rispettivi

fideiussori,

al

pagamento

delle

somme

rispettivamente dovute alla Banca Fideuram s.p.a. Anche
tale sentenza veniva impugnata per cassazione da Massimo
Grossi, Orietta Grossi, Matteo Costanza (figlio di Orietta
Grossi) e dalle tre società anzidette. Resisteva con
controricorso la Banca Fideuram s.p.a.
7. I ricorsi proposti contro la sentenza parziale e la
definitiva venivano quindi chiamati tutti alla odierna
udienza. Nel termine stabilito dall’art.378 cod.proc.civ.

10

Patrizia e Claudia Grossi, e successivamente, con atto

venivano depositate memorie illustrative dai ricorrenti e
dalla resistente.
Motivi della decisione
1.

Innanzitutto, a norma dell’art.274 cod.proc.civ. si

aventi ad oggetto sentenze emesse nel medesimo giudizio di
merito.
2. In secondo luogo, con riguardo al ricorso principale
contro la sentenza parziale (n.30799/11 R.G.), si osserva
che, con atto notificato a Banca Fideuram spa il 3 aprile
2014, le ricorrenti Patrizia Grossi e Claudia Grossi hanno
dichiarato di rinunciare al ricorso avendo definito
transattivamente la controversia con la Banca, che con atto
depositato in Cancelleria ha dichiarato di accettare la
rinuncia con compensazione delle spese. Deve pertanto
provvedersi

in

conformità

dichiarando

estinto

il

procedimento suddetto con compensazione tra le parti delle
spese.
3.

Il ricorso successivo contro la stessa sentenza

parziale, proposto da Massimo e Orietta Grossi insieme alle
tre società, si basa su dieci motivi. Il primo attiene alla
mancata regolare instaurazione del contraddittorio in
appello per invalidità della notifica nei confronti di
Orietta Grossi quale erede di Gennaro Grossi. I motivi da

.

11

dispone la riunione dei procedimenti di impugnazione,

due

a

sei

investono

le

questioni

afferenti

l’interpretazione dell’oggetto dei contratti di
finanziamento in questione, il relativo adempimento della
banca, la nullità dei contratti stessi e la loro eccessiva

ad oggetto l’accertamento degli interessi dovuti: il
settimo sotto il profilo della nullità delle clausole del
contratto di conto corrente prevedenti, rispettivamente, il
rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di
interesse ed il diritto della banca di apportarvi
variazioni (ius varíandl),

l’ottavo sotto il profilo della

invalidità della capitalizzazione su base annuale. Il nono
ed il decimo motivo investono la questione della nullità
delle iscrizioni ipotecarie effettuate dalla banca su
procura delle due società proprietarie.
4. Il primo motivo è infondato. Rettamente la Corte
distrettuale ha ritenuto priva di fondamento la deduzione,
espressa nelle difese conclusive da Massimo e Orietta
Grossi, circa la non integrità del contraddittorio per il
fatto che questi ultimi, già costituiti in proprio nel
giudizio di primo grado ed evocati in appello anche nella
qualità di coeredi di Gennaro Grossi nel frattempo
deceduto, fossero stati raggiunti da unica notifica
dell’atto di appello nel domicilio da essi eletto in prime

12

onerosità sopravvenuta. Il settimo ed ottavo motivo hanno

cure. Il dedotto vizio di tale notifica è infatti privo di
rilevanza nella specie, dovendo ritenersi che l’atto ha
comunque raggiunto il suo scopo dal momento che entrambi
destinatari si sono costituiti nel giudizio di appello e

nella qualità di eredi di Gennaro Grossi (considerata anche
la sostanziale coincidenza delle rispettive linee di
difesa), ancorchè la sola Orietta -a differenza di Massimonon abbia precisato tale sua qualità, che del resto neppure

ha contestato. L’accettazione implicita del contraddittorio
in tal modo posta in essere ha dunque sanato, in base al
principio generale espresso dall’art.156 comma terzo
cod.proc.civ., il vizio di notifica successivamente
dedotto.
5. Parimenti infondati sono i motivi da due a sei,
esaminabili congiuntamente stante la stretta connessione.
5.1. L’interpretazione, espressa dalla Corte di appello,
della volontà contrattuale in ordine alla determinazione
dell’oggetto della prestazione della banca mutuante
(cfr.sopra)

resiste

alle

molteplici

critiche

dei

ricorrenti; che si mostrano inammissibili là dove dirette a
sostenere la erroneità di tale interpretazione riproponendo
in questa sede la tesi di merito secondo la quale contrariamente a quanto esposto in sentenza- detta

13

non vi è motivo per dubitare che ciò abbiano fatto anche

prestazione

consisterebbe

(pag.40

“nella

ricorso)

erogazione effettiva di pezzi monetari in yen giapponesi

e

nella successiva negoziazione (cambio) degli stessi in
valuta corrente”,

tesi sulla quale non compete a questa

5.2. Quanto al resto, non può in primo luogo condividersi
la censura di violazione dell’art.112 cod.proc.civ., né
tantomeno quella di violazione dell’art.345 cod.proc.civ.:
la Corte di merito ha rettamente giudicato sulla censura
afferente la statuita risoluzione dei contratti di
finanziamento per inadempimento della banca esaminando la
questione relativa alla individuazione della prestazione
facente carico alla banca alla luce del contenuto dei
contratti sottoscritti dalle parti; e, avendo concluso che
l’interpretazione della volontà espressa nei contratti era
nel senso che l’erogazione della somma mutuata doveva
avvenire in lire, ha implicitamente ritenuto privo di
rilevanza l’accertamento di fatto in ordine al mancato
approvvigionamento da parte della banca dei pezzi monetari
in yen giapponesi, che gli odierni ricorrenti avevano
dedotto e la banca comunque contestato. Non è dato invero
individuare in cosa consisterebbe il denunciato vizio di
extrapetizione, che (cfr.ex multis Cass.n.455/01; n.
6757/11) ricorre quando il giudice del merito, interferendo

:

14

Corte di legittimità giudicare.

nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi
obiettivi dell’azione, “petitum” e “causa petendi”, e
sostituendo i fatti costitutivi della pretesa emetta un
provvedimento diverso da quello richiesto ovvero

conteso: l’illustrazione del motivo di ricorso si limita
infatti a far riferimento ad alcune difese (non già
eccezioni in senso stretto) espresse dalla banca in primo
grado in ordine alla suddetta questione di fatto,
evidentemente inidonee ad incidere sugli elementi obiettivi
della domanda di risoluzione delle controparti o di quella
di adempimento svolta in sede monitoria dalla banca stessa.
Né, conseguentemente, può dirsi che tali difese
precludessero a quest’ultima, a norma dell’art.345
cod.proc.civ., di censurare in appello le statuizioni del
Tribunale relative alla interpretazione dei contratti di
mutuo in questione con riguardo al relativo oggetto,
sollecitando una diversa interpretazione e qualificazione
giuridica che la Corte di merito ha condiviso.
5.3.

Va poi escluso che,

nel pervenire a tale

convincimento, la Corte stessa abbia violato le regole
ermeneutiche poste dal codice civile, se solo si considera
come la sentenza impugnata faccia puntuale riferimento al
contenuto inequivoco dell’art.4 dei contratti di

15

attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello

finanziamento (prevedente la erogazione, e la restituzione,
in lire delle somme mutuate), privilegiando quindi il
criterio letterale (art.1362 coma 1), cui i ricorrenti
contrappongono (oltre alla propria interpretazione) un
privo di specifici contenuti

concreti, al comportamento complessivo delle parti.
5.4. Del pari priva di contenuto apprezzabile si mostra la
critica alla statuizione di rigetto della eccezione di
nullità dei contratti in questione per violazione
dell’art.1322 cod.civ.,

che la Corte di merito ha

rettamente motivato rilevando, in sintonia con orientamenti
(cfr.ex

multis

Cass.n.16568/02) cui il Collegio aderisce, come

“rientri

già

espressi

nella autonomia
reciproca
estraneo

da

questa

Corte

privata convenire

la unilaterale o

assunzione di un prefigurato rischio futuro,
al tipo contrattuale

modificandolo e

prescelto,

a tal

stregua

rendendolo per tale aspetto aleatorio…”.

Rilievi cui i ricorrenti contrappongono le proprie
considerazioni sul carattere meramente speculativo che il
contratto, come interpretato dalla Corte di merito
(finanziamento in lire con clausola parametrica di
riferimento alla valuta straniera), finirebbe per rivestire
e sullo squilibrio nelle posizioni delle parti con riguardo
al rischio di svalutazione della lira rispetto allo yen cui

.

16

generico riferimento,

la banca non sarebbe esposta: tali considerazioni,
tuttavia, non conducono a diverse conclusioni in ordine
alla applicazione nella specie del criterio della
meritevolezza di cui all’art.1362 comma 2 cod.civ., tanto

circa lo squilibrio nelle posizioni delle parti non pare
tener conto del rischio, a carico della banca, della
svalutazione della moneta straniera rispetto alla lira che
si fosse verificata tra l’erogazione e la restituzione
della somma mutuata.
5.5. Neppure possono condividersi le doglianze dei
ricorrenti circa la ritenuta inapplicabilità nella specie
del rimedio di cui all’art.1467 cod.civ. e circa la
ritenuta insussistenza di violazione, da parte della banca,
dei doveri di correttezza e buona fede per il mancato
invito dei mutuatari alla rinegoziazione dei contratti di
finanziamento e per la mancata informativa dopo la prima
svalutazione della lira rispetto allo yen. Sul primo punto,
questa Corte ha già avuto modo di affermare
(cfr.Cass.n.11200/03) che “l’alea normale del contratto”,
cui fa riferimento l’art. 1467 comma 2 cod.civ., dovendo
essere valutata in concreto e segnatamente in relazione
all’oggetto del contratto, rientra nella valutazione del
giudice di merito e non è censurabile in sede

17

di

più che l’affermazione (sulla quale paiono incentrarsi)

legittimità, se adeguatamente motivata. Nella fattispecie,
con motivazione immune da censure nei limiti in cui esse
possono essere fatte valere in questa sede, la Corte di
merito ha ritenuto che è nel rischio normale del creditore

del ben noto -e relativamente frequente- fenomeno di
oscillazioni anche ampie del rapporto di cambio: che,
ovviamente, a seconda della direzione dell’oscillazione,
possono giovare al creditore o al debitore (cfr. in tal
senso anche Cass. n. 9263/11). Sul secondo punto, la Corte
di merito ha escluso l’obbligo di informativa ai mutuatari
delle variazioni intervenute negli importi da restituire
rilevando come tali variazioni non derivassero da modifiche
unilaterali da parte della banca bensì da

fenomeni

oggettivi di svalutazione il cui rischio i mutuatari si
erano già (validamente) accollati in contratto: tali
rilievi si mostrano conformi all’orientamento già espresso
da questa Corte in casi analoghi (cfr.Cass.n.16568/02;
n.8548/12), cui il Collegio aderisce non indicando il
ricorso elementi idonei ad una modifica. Il che vale anche
per il preteso diritto alla rinegoziazione dei contratti di
finanziamento, che la Corte di merito ha rettamente escluso
rilevando tra l’altro -senza ricevere censura specifica al
riguardo- come il contratto prevedesse già la possibilità

18

e del debitore di prestiti in valuta estera il verificarsi

di modificare la valuta del finanziamento alla scadenza del
periodo di interessi con preavviso di tre giorni
lavorativi.
6. Anche in ordine alla determinazione delle somme dovute a

titolari dei conti sui quali sono state accreditati i
finanziamenti in questione, le censure espresse con il
settimo e ottavo motivo non colgono nel segno, dal momento
che la Corte di merito ha rettamente considerato: a)che la
norma dell’art.4 della legge n.152/1992, prevedente la
nullità delle clausole di rinvio agli usi correnti su
piazza, non ha efficacia retroattiva in relazione ai
contratti conclusi prima della sua entrata in vigore, da
essa derivando solo l’inefficacia di tali clausole per il
periodo successivo alla legge stessa (cfr.tra le tante:
Cass.n.6550/13; n.17854/07; n.4094/05; n.13739/03); b)che
tale inefficacia risulta tuttavia superata dal fatto
pacifico che la banca, con lettere del 9.2.1992, ha
legittimamente esercitato il c.d.ius varlandi previsto dai
contratti di conto corrente (e del resto confermato
dall’art.118 T.U.B.) comunicando ai correntisti i nuovi
tassi di interesse specificamente determinati, senza
ricevere alcuna contestazione né dichiarazioni di recesso;
c)che la capitalizzazione degli interessi debitori su base

19

titolo di interessi sulle somme a debito dei correntisti

annua -anziché trimestrale come previsto nei contratticorrisponde a quanto richiesto sin dall’inizio dagli stessi
odierni ricorrenti nelle proprie difese di merito, sì che dovendo il principio della rilevabilità d’ufficio della

attribuirsi più di quanto chiesto dalle parti.
7. Né, infine, meritano accoglimento le doglianze dei
ricorrenti in ordine alla ritenuta validità ed efficacia
delle ipoteche iscritte dalla banca su procure rilasciatele
dalle due società proprietarie a garanzia delle esposizioni
a loro carico maturate nei confronti della banca stessa,
tenendo presente: a)che, quanto alla violazione
dell’art.1388 cod.civ., la Corte di merito ha rettamente
(in conformità al combinato disposto degli artt.1350, 1392
e 2725 cod.civ.) respinto la tesi degli odierni ricorrenti
secondo cui la banca avesse assunto obblighi non indicati
nelle scritture di conferimento della procura: la denuncia
al riguardo di un vizio di motivazione si mostra
inammissibile in quanto diretta in effetti a sollecitare
questa Corte ad un riesame del merito della (piana)
interpretazione del contenuto delle scritture esposta nella
sentenza impugnata; b)che la denuncia della violazione
dell’art.1395 cod.civ. si fonda su una pretesa
indeterminabilità della esposizione debitoria delle società

20

nullità coordinarsi con il principio della domanda- non può

mandanti verso la banca, tale da rendere priva di efficacia
la espressa autorizzazione conferita alla banca stessa ai
sensi di detta norma: indeterminabilità che, da un lato,
non risulta esser stata utilmente allegata in sede di

circostanza pacifica, evidenziata dalla Corte di merito
(senza ricevere censure che possano essere fatte valere in
questa sede), della ricezione da parte delle società degli
estratti conto dai quali desumere le loro molteplici
esposizioni debitorie.
8. Il rigetto del ricorso avverso la sentenza parziale si
impone dunque.
9.

Il ricorso avverso la sentenza definitiva (n.16780/14

R.G.) si basa su sette motivi. I primi quattro pongono
questioni riguardanti la costituzione del contraddittorio
nei confronti di tutti gli eredi di Umbra Allegretti
deceduta nel corso del giudizio di appello; i successivi
tre motivi pongono questioni riguardanti l’accertamento
delle somme dovute.
9.1.

I

motivi

dal

primo

al

quarto,

esaminabili

congiuntamente perché connessi, sono privi di fondamento.
La statuizione fondamentale

(ai

fini della verifica del

contraddittorio) adottata nella impugnata sentenza
definitiva, circa la qualità di eredi di Umbra Allegretti

21

merito, dall’altro appare comunque smentita dalla

rivestita dai figli di lei Massimo, Orietta, Claudia e
Patrizia Grossi, si sottrae alle censure rivolte dai
ricorrenti nel terzo motivo. La Corte di merito, con
motivazione chiara e coerente (da esaminare peraltro alla

applicabile ad una sentenza depositata nel giugno 2013), ha
ravvisato un atto di accettazione tacita dell’eredità
(art.476 cod.civ.) nella partecipazione dei predetti, nella
dichiarata qualità di eredi del socio unico Umbra
Allegretti, alla riunione dell’assemblea della Valery
s.r.l. presieduta da Massimo Grossi e nella conseguente .
partecipazione (senza peraltro esprimere alcuna riserva)
alla votazione delle deliberazioni ivi assunte, concernenti
l’approvazione del bilancio di esercizio e la destinazione
a riserva straordinaria degli utili maturati. In tal modo ha rilevato la Corte di merito- essi non solo hanno speso
espressamente il nome di eredi ma hanno effettivamente
esercitato poteri non meramente conservativi (che l’art.460
cod.civ. consente al chiamato all’eredità) bensì
dispositivi, che potevano espletare solo nella qualità di
eredi del socio unico. In tali considerazioni, che non
possono essere oggetto di riesame nel merito senza violare
i limiti di questa verifica di legittimità, è peraltro
implicita la valutazione in termini di irrilevanza del

:

22

luce del nuovo testo dell’art.360 n.5 cod.proc.civ.,

fatto che il verbale assembleare in questione (la cui
efficacia di prova documentale non risulta in effetti
contestata dagli odierni ricorrenti) sarebbe stato
successivamente “corretto” con il deposito di un nuovo

materiale, la enunciata qualità di “eredi” dei partecipanti
all’assemblea sarebbe stata sostituita con quella di
“chiamati alla eredità”: la Corte ha infatti ben chiarito
come l’accettazione tacita non dipenda solo dall’uso del
termine “eredi” (peraltro già di per sé non equivoco),
bensì anche dall’oggetto delle deliberazioni assunte dai
predetti nell’occasione, con ciò evidentemente
disattendendo anche la tesi del mero errore materiale
nell’uso di una parola.
Dalla accertata qualità di eredi di Umbra Allegretti
rivestita da Massimo, Orietta, Claudia e Patrizia Grossi
deriva: a)che la riassunzione del processo, dopo la
dichiarazione di interruzione emessa il 24.2.2010, nella
prima fase del processo d’appello, in relazione al decesso
di Umbra Allegretti, è stata ritualmente effettuata dalla
banca con la notifica nei confronti dei predetti, figli di
lei; b)che, conseguentemente, tanto la sentenza parziale
quanto quella definitiva sono state emesse nel pieno
contraddittorio tra tutte le parti legittimate e, d’altra

23

verbale nel quale, a correzione di un preteso errore

parte, non può parlarsi di estinzione del processo per
mancata ottemperanza alla ordinanza di integrazione del
contraddittorio nei confronti di tutti gli eredi di Umbra
Allegretti emessa il 15.5.2012 nella seconda fase del

su un presupposto implicito -la eventuale presenza di altri
eredi che non fossero già nel processo- che la Corte ha
rettamente disatteso con la pronuncia definitiva.
9.2.

Quanto all’accertamento delle somme dovute, i

ricorrenti lamentano in primo luogo la nullità della
sentenza definitiva perché la Corte di merito ha recepito
integralmente le conclusioni della consulenza tecnica
d’ufficio espletata nella seconda fase del processo
d’appello senza motivare sulle censure mosse da essi
appellati nelle note critiche depositate dopo il deposito
dell’elaborato e nella successiva comparsa conclusionale.
Ma tali doglianze non risultano formulate in conformità
degli artt.366 n.6 e 369 n.4 cod.proc.civ., considerando
che il ricorso si limita a trascrivere parte del contenuto
delle note critiche e un breve passo della relazione del
c.t.u., senza indicare la collocazione di tali documenti
nel fascicolo di causa, e senza che gli stessi risultino
depositati insieme con il ricorso. Né potrebbe in contrario
addursi che il giudice di legittimità è investito, nei casi

24

processo, dal momento che tale ordinanza si mostra basata

in procedendo,

in cui la censura denunci un vizio

del

potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti
sui quali il ricorso si fonda: tale potere non può per
l’appunto essere esercitato se la parte ricorrente,

normative sopra richiamate, non pone la Corte in condizione
di provvedere (cfr.Cass.S.U.n.8077/12).
I ricorrenti lamentano poi l’omessa considerazione del
superamento del tasso soglia di cui alla legge n.108/1996,
da essi rilevato nella terza comparsa conclusionale
i

depositata in appello. Anche qui, tuttavia, si tratta di
questione che, essendo relativa a contratti di conto
corrente conclusi ben prima della entrata in vigore della
legge, afferisce non già alla nullità delle clausole
a

determinative degli interessi bensì alla loro inefficacia
per il periodo successivo alla entrata in vigore della
legge stessa, che doveva essere eccepita tempestivamente in
sede di merito (cfr.Cass.n.6550/13; n.17854/07; n.2140/06).
Eccezione tempestiva che non risulta esser stata sollevata
nel giudizio di merito, al quale quindi è rimasta estranea
la questione posta nel motivo.
9.3.

Infine

dell’art.1941

i

ricorrenti

lamentano

comma 2 cod.civ.

la violazione

perché la sentenza

definitiva, condannando i fideiussori della Residence

25

formulando la censura senza il rispetto delle prescrizioni

Valery srl, della Edilgen srl e di Gennaro Grossi a pagare
alla banca creditrice, rispettivamente, le somme di C
684.042,74 e di

e

232.405,60 e di C 531.992,07

oltre

interessi al tasso contrattuale sino al saldo, avrebbe

garantiti, pari rispettivamente a C 619.748,27, a C
232.405,60 e di

e

774.685,34.

Il motivo è fondato per quanto di ragione. L’orientamento
più volte concordemente espresso da questa Corte (cfr. tra
le altre: Sez.3 16.1.1985 n.103; Sez.1 12.6.2001 n.7885;
Sez.3 23.6.2009 n.14621), cui il Collegio aderisce, è nel
senso: a)che l’obbligazione fideiussoria cessa non appena
il tetto massimo della garanzia sia stato raggiunto, anche
per il cumulo degli interessi moratori che siano già
maturati nella misura ultralegale pattuita; b)che quindi la
mora del fideiussore nel pagamento al creditore
dell’importo garantito non può ridare vigore alla garanzia
così esaurita ma può dar luogo soltanto (salva diretta
pattuizione tra fideiussore e creditore, che nella specie
non risulta esser stata tempestivamente allegata dalla
banca nel giudizio di merito) ai normali effetti di cui
all’art.1224 cod.civ., cioè all’obbligo del fideiussore in
mora di corrispondere, oltre il tetto massimo garantito,
soltanto i correlativi interessi moratori al tasso legale

26

violato il limite costituito dagli importi massimi

(salva la prova di un maggior danno, che tuttavia la
sentenza definitiva non ha in alcun modo ravvisato e che
del resto la sentenza non definitiva aveva già escluso
senza ricevere censure da parte della banca).

là dove ha statuito: a)che i fideiussori della Residence
Valery Massimo Grossi e Orietta Grossi siano tenuti a
pagare la somma di C 684.042,74 oltre interessi al tasso
contrattuale, anzichè l’importo massimo garantito di C
619.748,27 oltre agli interessi legali; b)che i medesimi,
quali fideiussori della Edilgen s.r.1., siano tenuti a
pagare la somma di E 232.405,60 (pari all’importo massimo
garantito) maggiorata degli interessi al tasso
convenzionale, anziché legale; c)che i medesimi e la
Edilgen s.r.1., quali fideiussori di Gennaro Grossi, siano
tenuti a pagare la somma di C 531.992,07 oltre interessi al
tasso contrattuale, senza precisare che tali interessi
convenzionali sono dovuti sino al limite dell’importo
garantito di

e

774.685,34 e che per l’eccedenza sono

dovuti nella sola misura legale.
La cassazione, sul punto, della sentenza impugnata ne
deriva dunque di necessità. Sussistono peraltro le
condizioni di cui all’art.384 comma 2 cod.proc.civ. -non
essendo necessari ulteriori accertamenti di merito- per la

27

La Corte di merito non si è conformata a tale orientamento

decisione nel merito. Deve pertanto, statuirsi la debenza
;

da parte dei fideiussori delle somme anzidette, attribuendo
agli interessi moratori la decorrenza già stabilita nella
sentenza cassata (che non è stata sul punto impugnata).

misura liquidata come in dispositivo, debbono essere poste
a carico dei ricorrenti, in base al principio della
soccombenza valutato anche alla stregua del criterio
fondamentale della causalità delle spese stesse, tenendo
presente la ridottissima misura in cui le numerose censure
proposte avverso le due sentenze emesse nel giudizio di
appello hanno trovato accoglimento.
P.Q.M.
La Corte, riunito il ricorso proposto da Massimo Grossi,
Orietta Grossi, Edilgen s.r.1., Valery s.r.1., Paclamaor
;

s.r.l. avverso la sentenza parziale n.5401/2010 della Corte
di appello di Roma al ricorso proposto da Massimo Grossi,
Orietta Grossi, Matteo Costanza, Edilgen s.r.1., Residence
Valery s.r.1., Paclamaor s.r.l. avverso la sentenza
definitiva n.3263/2013, così provvede: a)rigetta il primo
ricorso; b)cassa la sentenza definitiva n.3262/13 in
relazione al motivo accolto e, provvedendo nel merito,
condanna i fideiussori della Residence Valery Massimo
Grossi e Orietta Grossi al pagamento della somma di

28

10. Quanto alle spese dei giudizi riuniti, esse, nella

T

619.748,27 oltre agli interessi legali con la decorrenza
già stabilita nella sentenza cassata; condanna inoltre i
medesimi, quali fideiussori della Edilgen s.r.1., al
pagamento della somma di E 232.405,60 maggiorata degli

condanna infine Massimo Grossi, Orietta Grossi e la
Edilgen s.r.1., quali fideiussori di Gennaro Grossi, al
pagamento della somma di E 531.992,07 oltre interessi al
tasso contrattuale sino al limite dell’importo garantito di
C 774.685,34 e per l’eccedenza al tasso legale, con la
decorrenza già stabilita; c) condanna i ricorrenti, in
solido, al pagamento delle spese di questi giudizi riuniti
di cassazione, in complessivi 25.200 (di cui

e 200,00 per

esborsi) oltre spese generali forfetarie e accessori di
legge; d)dichiara estinto il giudizio di impugnazione
;

avverso la sentenza parziale instaurato da Patrizia e
Claudia Grossi, spese compensate integralmente tra le
parti.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della
sezione prima civile della Corte di Cassazione, il 12 marzo

interessi al tasso legale con la decorrenza già stabilita;

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