Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15366 del 03/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2021, (ud. 14/04/2021, dep. 03/06/2021), n.15366

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Presidente –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. CAPRIOLI Maura – Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20883-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) A R.L., in persona del Curatore fallimentare pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANICIA 6, presso lo

studio dell’avvocato ENRICA BASTONI, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANTONIO BENEGIAMO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 299/3/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE DELLA PUGLIA, depositata il 04/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ROBERTO

GIOVANNI CONTI.

 

Fatto

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro la Curatela del Fallimento (OMISSIS) a.r.l., impugnando la sentenza della CTR Puglia di rigetto dell’appello proposto dall’Agenzia. La CTR ha confermato la sentenza di primo grado con la quale la CTP di Bari aveva accolto il ricorso del contribuente avverso due avvisi di accertamento relativi ad Ires e IVA per costi indebitamente dedotti negli anni di imposta 2007 e 2008.

In particolare, dalla ricostruzione del giudice di merito era emerso che negli anni 2007 e 2008 il Consorzio, esercente l’attività di caseificio e di vendita dei prodotti derivati dal latte, aveva acquistato del latte dalla cooperativa Agricola Le Mattine e dalla Agribase S.r.l.. Dai riscontri effettuati dall’Agenzia delle entrate sui conti correnti bancari era risultato che gli acquisti in questione non erano stati regolamentati finanziariamente poichè sia la cooperativa Le Mattine che la Agribase S.r.l. risultavano ancora creditrici del Consorzio. Dunque, l’Agenzia aveva ritenuto dubbia la veridicità delle operazioni di contabilizzazione per gli anni di imposta 2007 e 2008, ritenendo inesistenti le operazioni di acquisto del latte e le relative fatture in quanto non erano state ancora pagate.

La CTR ha ritenuto che: a) non ricorreva un’ipotesi di operazione oggettivamente inesistente poichè era stata dimostrato che senza il quantitativo di materia prima in oggetto non sarebbe stato possibile realizzare il volume di produzione di prodotti finiti effettivamente realizzato negli anni 2007 e 2008; b) la presunzione semplice ex art. 2729 c.c., della quale si era avvalso l’Ufficio, consistente nel mancato pagamento delle fatture, era dotata solo del requisito della precisione, non anche della gravità e della certezza; c) le motivazioni dei due avvisi di accertamento erano rette sull’unico elemento indiziario del mancato pagamento, da solo non sufficiente a dimostrare l’inesistenza delle operazioni; d) ai sensi dell’art. 109 TUIR, comma 2, l’acquisto dei beni si considerava sostenuto nell’esercizio in cui vi era stata la consegna del bene; e) era stato dimostrato che le due società creditrici non avevano le caratteristiche di società “cartiere”.

L’intimato si è costituito con controricorso, pure depositando memoria.

Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia delle entrate deduce la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per motivazione apparente. La sentenza della CTR sarebbe nulla per motivazione apparente in quanto mancherebbero, sotto vari profili, le argomentazioni a sostegno delle ragioni della decisione.

Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 17 e 18, art. 19, comma 1, artt. 21 e 54, dell’art. 109 TUIR e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Avrebbe errato la CTR nel ritenere non sufficientemente provata la pretesa dell’Ufficio, avendo quest’ultimo assolto al proprio onere probatorio.

Il primo motivo di ricorso, benchè ammissibile in quanto sufficientemente specificato nei suoi contenuti, è infondato.

Ed invero, questa Corte ha più volte affermato che la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo – quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 4 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017).

Nel caso di specie, la motivazione del giudice di merito ha preliminarmente preso in considerazione la prova presuntiva fornita all’Agenzia delle entrate, consistente unicamente nel mancato pagamento delle fatture da parte del Consorzio, indice secondo l’Ufficio dell’inesistenza delle operazioni di acquisto della materia prima. Ha ritenuto poi la CTR che tale indizio fosse dotato solo del requisito della precisione e non anche della gravità e concordanza ex art. 2729 c.c.. Inoltre, la CTR ha ritenuto che il Consorzio aveva ampiamente dimostrato l’esistenza delle operazioni contestate, comprovate dal fatto che senza quel quantitativo di materia prima contestata non sarebbe stato possibile effettuare il volume di produzione di prodotti finiti effettivamente realizzato negli anni in discussione. Il giudice di merito ha, peraltro, ritenuto che sulla base dell’art. 109 TUIR, comma 2, le spese di acquisizione dei beni si consideravano sostenute – per i beni mobili – alla data della consegna o della spedizione del bene e non al momento dell’effettivo pagamento. Infine la CTR ha anche escluso che le due società fornitrici potessero essere considerate quali società “cartiere”.

La decisione del giudice di appello non ha dunque violato l’obbligo di esplicitare le ragioni della decisione, in linea con la necessità di predisporre un contenuto motivatorio sicuramente sussumibile nel c.d. minimo costituzionale richiesto dal quadro normativo vigente, alla stregua di quanto chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8053/2014 emessa in seguito alla novella dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Il secondo motivo di ricorso è infondato.

Va rammentato che secondo la giurisprudenza di questa Corte nel caso in cui l’Ufficio ritenga che la fattura concerna operazioni oggettivamente inesistenti, cioè sia una mera espressione cartolare di operazioni commerciali mai poste in essere da alcuno, e quindi contesti l’indebita detrazione dell’IVA e/o deduzione dei costi, lo stesso ha l’onere di fornire elementi probatori del fatto che l’operazione fatturata non è stata effettuata e a quel punto passerà sul contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate (cfr. Cass. 19.10.2918 n. 26453, 17.7.2018 n. 19000, 05.07.2018 n. 17619, n. 9851/2018, n. 24426 del 30/10/2013). E, tuttavia, quest’ultima prova non potrà consistere nella esibizione della fattura, nè nella sola dimostrazione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, i quali vengono normalmente utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (tra le altre, Cass. n. 33915/2019; Cass. n. 17619/2018; Cass. n. 15228/2011; Cass. n. 12802/2011).

Quanto alla prova di cui è onerata l’Amministrazione, e che già dal principio appena riportato si desume possa avere anche solo natura indiziaria, la Corte ha affermato che ai fini dell’accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1 (richiamato dal successivo art. 40, per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. c.c. e dell’art. 2697 c.c., comma 2 (Cass., ord. n. 14237 del 2017);

Inoltre, questa Corte ha reiteratamente ribadito che la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., si configura se il giudice di merito abbia applicato la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, ossia attribuendo l’onus probandi ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi ed eccezioni, ma non quando abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 21 febbraio 2018, n. 4241; Cass. 23 ottobre 2018, n. 26769).

Orbene, di tali principi ha fatto buon governo la CTR, specificando in sentenza i fatti che l’amministrazione finanziaria aveva posto a fondamento della sua pretesa e consistenti nel solo indizio del mancato pagamento delle fatture; fatti che sono stati contestati dal Consorzio il quale ha allegato la prova dell’esistenza delle operazioni.

Orbene, la CTR ha ritenuto quindi che la prova contraria fornita dal Consorzio – consistente non solo nella regolarità formale delle scritture contabili, ma anche nella dimostrata impossibilità di realizzare il volume di prodotti finiti, realizzato negli anni 2007 e 2008, senza l’effettivo acquisto della materia prima risultante dalle fatture contestate – fosse idonea a superare le deduzioni dell’Agenzia e a dimostrare l’esistenza delle operazioni poste in essere.

La censura, in altri termini tende a sovvertire il giudizio in fatto operato dalla CTR in ordine all’idoneità degli elementi prospettati dalla parte contribuente per confutare l’accertamento e prospetta un errore in diritto della CTR che non si può in alcun modo configurare, laddove la censura tende a sovvertire l’accertamento fattuale del giudice di appello.

Sulla base delle superiori considerazioni, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore della controricorrente in Euro 7.800,00 per compensi, oltre spese generali nella misura del 15%.

Così deciso in Roma, il 14 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2021

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