Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15363 del 20/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/07/2020, (ud. 26/11/2019, dep. 20/07/2020), n.15363

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 25700/2016 R.G. proposto da:

B. GROUP SPA, Socio Unico, (C.F. (OMISSIS)), in persona

del Commissario Straordinario pro tempore, rappresentato e difeso

dall’Avv. Prof. RICCARDO VIANELLO e dall’Avv. Prof. GIUSEPPE MARINI,

elettivamente domiciliato in Roma, Via di Villa Sacchetti, 9;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

n. 1822/VI/16 depositata in data 6 aprile 2016;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 novembre 2019

dal Consigliere Filippo D’Aquino;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale LUISA DE RENZIS che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udita l’Avv. NICOLLE PURIFICATI per il ricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società contribuente, la quale aveva optato per la liquidazione dell’IVA di gruppo a termini del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 73, comma 3, ha impugnato l’avviso di accertamento relativo a IVA e sanzioni per l’anno di imposta 2011, con il quale l’Ufficio comunicava alla società contribuente il recupero di IVA non versata, per indebita compensazione del debito IVA con un credito IVA di una società appartenente al gruppo di imprese, di cui la ricorrente era controllante, in forza della mancata prestazione delle garanzie previste dal D.M. 13 dicembre 1979, n. 11065, art. 6, comma 3.

Il ricorso è stato parzialmente accolto dalla CTP di Roma e la CTR del Lazio, con sentenza in data 6 aprile 2016, ha accolto l’appello dell’Ufficio. Ha evidenziato il giudice di appello come la società contribuente, pur avendo optato per la liquidazione dell’IVA di gruppo, non avesse prestato nè le garanzie di cui al D.M. 13 dicembre 1979, art. 6, nè il prospetto previsto dalla suddetta disposizione normativa e ha ritenuto che la prestazione della garanzia costituisce condizione indispensabile per l’accesso alla procedura di liquidazione. Ha osservato, in proposito, il giudice di appello che la procedura di recupero dell’IVA non versata non deve essere preceduta dalla verifica di esistenza del credito IVA infragruppo opposto in compensazione, posto che i tempi imposti dal procedimento di liquidazione dell’IVA di gruppo non sono compatibili con i tempi di un’istruttoria volta ad accertare la sussistenza del suddetto credito, al cui mancato accertamento sopperisce la prestazione delle garanzie. Ha ritenuto, inoltre, il giudice di appello che la questione di illegittimità costituzionale per eccesso di delega legislativa avverso la suddetta disposizione non sia manifestamente fondata. Il giudice di appello ha, infine, ritenuto legittima l’applicazione della sanzione a termini del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13, ritenendo che la mancata prestazione delle garanzie equivale a mancanza dei presupposti per la compensazione, il che fa insorgere i presupposti dell’omesso versamento dell’imposta originariamente dovuta e illegittimamente compensata, applicandosi il cit. D.Lgs., art. 13. a ogni caso di mancato versamento di tributi.

Propone ricorso per cassazione parte contribuente affidato a quattro motivi, l’Ufficio non si è costituito in giudizio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1 – Con il primo motivo si denuncia violazione di legge in relazione al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 74 (rectius art. 73), e alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 10, nella parte in cui la sentenza di appello ha ritenuto legittimo il recupero dell’IVA a debito, dovuta e non versata dalla società controllante odierna ricorrente, per effetto della compensazione con il credito di una società controllata, senza che si sia proceduto alla verifica preventiva dell’effettiva esistenza di quest’ultimo credito. Deduce il ricorrente come risulti decisiva – ai fini del recupero dell’IVA non versata, quale effetto del disconoscimento della compensazione operata dalla contribuente – la questione dell’esistenza del credito IVA trasferito dalla società controllata alla controllante, circostanza che dovrebbe essere verificata dall’Ufficio prima di emettere l’atto di recupero. Nella specie, ad avviso della ricorrente in A.S., l’Ufficio avrebbe dovuto verificare che la controllata (nella specie, Tinos Immobiliare SRL) non fosse effettivamente titolare del suddetto credito, ciò ai fini del venir meno dei presupposti per la compensazione e del recupero dell’IVA a debito non versata.

Con il secondo motivo si deduce, sotto il profilo della violazione di legge, l’illegittimità costituzionale del D.M. 13 dicembre 1979, art. 6, per violazione degli artt. 23 e 76 Cost., con conseguente disapplicazione della suddetta disposizione a termini del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7. Deduce il ricorrente come la previsione normativa di cui al cit. D.M., art. 6, abbia imposto – a carico della parte contribuente che intenda accedere all’istituto della compensazione dei crediti fiscali delle società controllate previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, l’onere della prestazione di garanzia cauzionale, osservando come tale prestazione non sia imposta da alcuna norma di rango primario; chiede, in via gradata, la rimessione della questione di costituzionalità della suddetta norma secondaria al giudice delle leggi. Deduce, inoltre, come la suddetta Disp. violi la Dir. n. 77/388/CEE, art. 18, n. 4, disciplina trasfusa nella Dir. 28 novembre 2006, n. 2006/112/CE, con conseguente violazione dell’art. 11 Cost., non essendo comprimibile, causa il principio di neutralità, il diritto di detrazione e il correlato diritto a ottenere il rimborso dell’eccedenza di imposta; ne consegue, ad avviso del ricorrente, che la suddetta disposizione contrasterebbe anche con il diritto unionale, con conseguente disapplicazione della disciplina secondaria anche sotto tale profilo.

Con il terzo e complesso motivo di ricorso si deduce violazione di legge, non essendo ad avviso del ricorrente sanzionabile una violazione meramente formale, quale la mancata prestazione della garanzia, con la sanzione di cui al D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 13. Ritiene il ricorrente che l’omessa prestazione della garanzia non sia equiparabile all’omesso versamento di un’imposta, deducendo come la prestazione della garanzia ha lo scopo di rendere il Fisco indenne dall’eventuale sottrazione di gettito in caso di successivo accertamento dell’inesistenza del credito opposto in compensazione. Il che conferirebbe alla prestazione della cauzione natura meramente cautelare, non equiparabile al mancato versamento dell’imposta, per cui non potrebbe applicarsi nella specie la sanzione per omesso versamento dell’imposta.

Ritiene, sotto un secondo aspetto, il ricorrente non irrogabile la sanzione per effetto della apertura della procedura di amministrazione straordinaria e, precisamente, per effetto della declaratoria dello stato di insolvenza, in virtù di sentenza del Tribunale di Roma in data 26 luglio 2013, circostanza che avrebbe impedito il pagamento del credito di imposta al di fuori delle regole del concorso dei creditori; l’applicazione della sanzione non risulterebbe, pertanto, compatibile con il mancato pagamento di debiti concorsuali.

Rileva, sotto un terzo profilo, il ricorrente come il D.Lgs. 21 novembre 2014, n. 175, art. 13, ha sostituito il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, novellando il suddetto art., comma 3, con la previsione che i rimborsi siano disposti senza prestazione di garanzia, ove risultino soddisfatti alcuni adempimenti di carattere formale; deduce il ricorrente come la novella del 2014 abbia eliminato l’obbligo generalizzato di prestazione della garanzia, con conseguente disapplicazione del regime sanzionatorio di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, per mancata prestazione delle garanzie, in termini non dissimili da una aboliti criminis.

Con il quarto motivo si deduce violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., nella parte in cui la sentenza non si è pronunciata sulla deduzione secondo cui non sarebbero applicabili le sanzioni a termini del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 5, (assenza della colpevolezza), il che si traduce nell’accertamento della colpevolezza del contribuente. Deduce, inoltre, come la sanzione irrogata non sarebbe applicabile in presenza, come nella specie, di obiettive condizioni di incertezza e chiede, in subordine, la riduzione della sanzione a termini del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 4. Il ricorrente invoca, in ogni caso, l’applicazione della disciplina di maggior favore rappresentata dalla novella di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 7, comma 4, come modificato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158.

2 – I primi due motivi, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

2.1 – La disciplina dell’IVA di gruppo di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, introduce un meccanismo semplificato di liquidazione dell’IVA (sia periodica, sia in sede di conguaglio di fine anno), che comporta per le società facenti parte di un gruppo societario (e aderenti su base opzionale alla procedura) il trasferimento dei rispettivi crediti e debiti d’imposta alla società controllante. Quest’ultima è il soggetto legittimato al versamento del saldo netto risultante dalla mera somma algebrica delle posizioni debitorie e creditorie delle società controllate aderenti, operando la compensazione dei debiti IVA propri e delle controllate con i saldi attivi eventualmente trasferiti dalle società controllate che si trovino in credito di imposta. Per effetto dell’adesione delle società facenti parte di un gruppo di imprese alla liquidazione dell’IVA di gruppo, le eventuali eccedenze di imposta delle società controllate, le quali perdono la disponibilità dei saldi attivi (oltre che la titolarità dei saldi passivi) risultanti dalle proprie liquidazioni, vengono trasferite alla società controllante e la liquidazione dell’IVA diviene una procedura interna al gruppo di imprese, al cui espletamento è legittimata la società controllante.

Il sistema prevede, quindi, una liquidazione agevolata, consentendo (in caso di eccedenze di imposta superiori ai debiti IVA del gruppo), anche un rimborso “iperaccelerato”. Nel qual caso, non risultando i tempi di erogazione del rimborso compatibili con i tempi dell’accertamento dell’esistenza sostanziale dei crediti, la liquidazione dell’IVA di gruppo prescinde dalla verifica della effettiva sussistenza delle eccedenze di imposta in capo alle società originarie titolari dei crediti di imposta.

In caso di rimborsi, come anche per l’accesso alla compensazione dei crediti di imposta infragruppo, l’ordinamento introduce un procedimento analogo a quello previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, in caso di rimborsi spettanti ai contribuenti che si trovino nelle condizioni sostanziali di cui all’ult. cit. D.P.R., art. 30, già commi 2, 3 e 4, come confermato dall’ ult. cit. D.P.R., art. 30, u.c., laddove prevede che “agli effetti della norma di cui all’art. 73, u.c., le Disp. del presente art., commi 2, 3 e 4, si intendono applicabili per i rimborsi richiesti dagli enti e dalle società controllanti”. A tal fine, il D.M. 13 dicembre 1979, art. 6, comma 3, emanato in attuazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, nella formulazione pro tempore applicabile, impone al contribuente che acceda alla liquidazione dell’IVA di gruppo (società controllante) la prestazione di garanzia per i crediti delle società controllate oggetto di utilizzo mediante compensazione nelle forme dell’ult. cit. D.P.R., art. 38-bis, (“per le eccedenze di credito risultanti dalla dichiarazione annuale dell’ente o società controllante ovvero delle società controllate, compensate in tutto o in parte con somme che avrebbero dovuto essere versate dalle altre società controllate o dall’ente o società controllante, si applicano le Disp. del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 38-bis, comma 2. Le garanzie devono essere prestate dalle società il cui credito sia stato estinto, per l’ammontare relativo, in sede di presentazione della dichiarazione annuale. In caso di mancata prestazione delle garanzie l’importo corrispondente alle eccedenze di credito compensate deve essere versato entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale”).

Dette garanzie hanno natura cauzionale, dovendo essere prestate in titoli di Stato o garantiti dallo Stato, ovvero mediante fideiussione bancaria o polizza fideiussoria, consorzio fidi o mediante fideiussione di soggetti imprenditoriali di particolare solidità patrimoniale (D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, comma 5, già comma 1).

La prestazione di una garanzia cauzionale resa a termini del D.M. 13 dicembre 1979, art. 6, comma 3, pari all’importo dei crediti utilizzati in compensazione da parte della società controllante costituisce, pertanto, condizione per l’adesione al regime agevolato di liquidazione dell’IVA di gruppo e per l’esercizio della compensazione interna al gruppo di imprese; garanzia che deve essere allegata – secondo la disciplina pro tempore applicabile – al modello IVA 26 da parte della controllante al momento della presentazione della dichiarazione annuale IVA, occorrendo, altrimenti, versare all’Ufficio finanziario, entro il termine di presentazione della dichiarazione, l’importo corrispondente alle eccedenze di credito compensate (Cass., Sez. V, 11 marzo 2015, n. 4843).

2.2 – Un primo corollario che può trarsi è che la prestazione di garanzia si configura in termini analoghi a una obbligazione alternativa ex lege a termini dell’art. 1285 c.c., imposta al contribuente. Il contribuente, controllante un gruppo di imprese e che si trovi a debito IVA, ha la scelta tra due prestazioni, dedotte in modo disgiuntivo e poste su un piano di parità (Cass., Sez. II, 2 dicembre 2013, n. 26988). Egli può, difatti, optare tra l’esecuzione della prestazione pecuniaria (versamento dell’IVA a debito), ovvero per la liquidazione dell’IVA di gruppo, che gli consente di utilizzare in compensazione (o a rimborso) le eccedenze di IVA delle società controllate. In questo secondo caso, il contribuente viene onerato (anche) della prestazione delle garanzie richieste dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis. Uno schema, questo, compatibile sia con la tendenziale idoneità di ciascuna prestazione (pagamento o prestazione di garanzia) a soddisfare l’interesse del creditore, sia con la natura meramente facoltativa di adesione delle società del gruppo alla liquidazione dell’IVA di gruppo, sia (infine) con il principio di neutralità dell’IVA, risultando indifferente il soggetto che si avvalga dell’eccedenza di imposta. All’atto della scelta del contribuente per l’opzione della liquidazione dell’IVA di gruppo si determina, pertanto, la concentrazione dell’obbligazione sull’unica prestazione, consistente (anche) nella prestazione di garanzia, il cui esatto adempimento libera il debitore.

Diversamente, l’inesatto adempimento della prestazione richiesta per l’adesione all’IVA di gruppo, che si verifica ove non sia stata prestata la garanzia richiesta dal D.M. 13 dicembre 1979, art. 6, comporta la mancata liberazione del debitore e l’obbligo dell’esecuzione della originaria prestazione pecuniaria (versamento dell’IVA a debito).

2.3 – Un secondo corollario è che l’estinzione dell’obbligazione originaria di versamento dell’IVA a debito, conseguente alla opzione della controllante per la liquidazione dell’IVA di gruppo, funzionale alla opposizione in compensazione di crediti IVA infragruppo (estinzione dell’obbligazione avente natura non satisfattiva: Cass., Sez. III, 7 marzo 2017, n. 5630; Cass., Sez. I, 3 luglio 2009, n. 15677), costituisce un posterius rispetto all’esatto adempimento della prestazione delle garanzie. La mancata o inesatta esecuzione della prestazione comporta il venir meno ex tunc degli effetti della compensazione, la quale si regge sull’osservanza dei presupposti formali imposti al contribuente per beneficiare della liquidazione dell’IVA di gruppo, in coerenza con il principio secondo cui la compensazione, in materia tributaria, è ammessa nei soli casi previsti dalla legge (Cass., Sez. V, 1 febbraio 2019, n. 3096), non diversamente dal caso dell’errato utilizzo di un credito di imposta in compensazione (Cass., Sez. V, 17 luglio 2019, n. 19185; Cass., Sez. V, 17 aprile 2019, n. 10708).

2.4 – Un terzo corollario è, infine, che la scansione cronologica del procedimento di liquidazione impone all’Ufficio il mero controllo formale della presentazione, unitamente al deposito del prospetto di liquidazione e delle garanzie, della dichiarazione IVA della controllante e delle controllate, delle quali la controllante fa propri i contenuti tramite la sottoscrizione del proprio legale rappresentante. L’Ufficio è, da un lato, ugualmente soddisfatto (al pari che nel caso del versamento dell’imposta) dalla prestazione delle garanzie cauzionali, per cui non ha interesse al controllo preventivo dell’esistenza del credito al momento della liquidazione dell’imposta. Dall’altro, l’eccedenza di imposta risulta trasferita dal soggetto titolare (società controllata) alla controllante, per cui l’Ufficio non ha alcun ulteriore onere di controllo nei confronti delle controllate. Tanto che si ritiene che l’attività di controllo e accertamento sia legittimamente esercitata, senza l’effettuazione di pregiudiziali rettifiche nei confronti delle società controllate, nei confronti della sola società controllante e, cioè, del soggetto fiscale sul quale ricadono gli obblighi della dichiarazione (ossia della prestazione alternativa rispetto al versamento dell’imposta) e a favore del quale matura il diritto ad ottenere il rimborso o la compensazione dell’eccedenza detraibile (Cass., Sez. V, 18 maggio 2016, n. 10207).

In sintesi – e da ciò si evince l’infondatezza del primo motivo di ricorso – l’Ufficio fa affidamento sulle garanzie cauzionali prestate dal contribuente all’atto dell’opzione della liquidazione dell’IVA di gruppo, le quali surrogano l’interesse del suddetto creditore al versamento dell’IVA dovuta a debito; ne consegue che l’Ufficio non ha interesse, all’atto del deposito delle garanzie, a un immediato accertamento dell’esistenza del credito opposto in compensazione, se non al momento in cui, accertata l’inesistenza del credito, si vedrà costretto ad escutere le garanzie.

2.5 – Il delineato sistema è apparso, a questa Corte, coerente con la natura meramente endoprocedimentale della disciplina dell’IVA di gruppo, finalizzata soltanto a semplificare la liquidazione ed il versamento del tributo, in forza della quale le società controllate (a differenza del “Gruppo IVA”) non perdono la loro soggettività ai fini fiscali, rimanendo titolari delle eventuali ulteriori eccedenze di imposta, circostanza dalla quale consegue che, a termini del D.P.R. 14 agosto 1999, n. 542, art. 8, comma 1, la liquidazione infragruppo attiene alla sola liquidazione dell’IVA, escludendosi la compensazione esterna od “orizzontale” di cui al D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, comma 2, (Cass., Sez. V, 19 maggio 2017, n. 12645; Cass., Sez. VI, 17 luglio 2017, n. 17690).

2.6 – Il sistema deve, inoltre, ritenersi compatibile con la disciplina unionale.

2.6.1 – In primo luogo va osservato come la normativa di diritto interno non costituisce trasposizione della disciplina unionale (già disciplinata dalla Dir. n. 77/388/CEE, art. 4, par. 4, comma 2, poi trasfusa con modificazioni nella Dir. n. 2006/112/CE, art. 11, par. 1 e 2), posto che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, non attribuisce al gruppo di imprese (diversamente dalla già menzionata sopravvenuta disciplina del Gruppo IVA, contenuta nell’ult. cit. D.P.R., Titolo V-bis), natura di soggetto unitario, rimanendo ai fini fiscali le singole società del gruppo soggetti giuridici distinti. La disciplina dell’IVA di gruppo opera, pertanto, solo sul piano della liquidazione dell’IVA e costituisce mera agevolazione rispetto all’esercizio degli obblighi di dichiarazione e dei diritti conseguenti delle società controllate (Cass., Sez. V, 1 ottobre 2014, n. 20708). Si è difatti affermato – all’esito della pronuncia della Corte di Giustizia UE 22 maggio 2008, Ampliscientifica e Amplifin, C-162/07 – che “il regime in contestazione non costituisc(e) una misura di trasposizione della direttiva, non dando vita ad una vicenda giuridica nella quale la società controllata perde totalmente la sua qualità di soggetto passivo d’imposta. La stessa Corte comunitaria, pur attribuendo al giudice di rinvio la verifica del regime nazionale sotto il detto profilo, non esclude espressamente che tale regime rappresenti soltanto un’agevolazione rispetto all’esercizio degli obblighi di dichiarazione e dei diritti conseguenti, quale quello alla detrazione, dando atto della dichiarazione del Governo italiano, secondo cui la Repubblica italiana, con l’emanazione del decreto ministeriale, non aveva inteso trasporre la sesta Dir., art. 4, n. 4, comma 2,” (Cass., Sez. V, 13 marzo 2009, n. 6105).

Nè la disciplina Eurounitaria in oggetto può ritenersi di diretta attuazione nei singoli ordinamenti interni (Cass., Sez. V, 8 febbraio 2019 n. 3749).

Da ciò si deduce che la disciplina del D.M. 13 dicembre 1979, attuativo del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, ben può rappresentare una misura adeguata alla finalità di evitare un’utilizzazione abusiva del regime agevolato (Cass., n. 6105/2009, cit.).

2.6.2 – In secondo luogo, pur prescidendosi dalla estraneità al sistema unionale della menzionata disciplina di diritto interno, la specifica prestazione di garanzia imposta alla società controllante, rapportata ai crediti delle società controllate oggetto di utilizzo mediante compensazione, non appare in contrasto con la disciplina unionale, intesa (come correttamente osserva la sentenza impugnata) quale bilanciamento conseguente al mancato accertamento dei presupposti sostanziali dell’esistenza dei crediti oggetto di compensazione.

Questa prestazione di garanzia non può ritenersi in contrasto con la attuale disciplina di cui alla Dir. IVA n. 2006/112/CE, art. 11, par. 2, ove prevede che uno Stato membro che eserciti l’opzione prevista al comma 1, (istituzione del gruppo IVA), possa adottare le misure necessarie a prevenire l’elusione o l’evasione fiscale mediante l’esercizio di tale disposizione. E’, difatti, stato affermato dalla Corte di Giustizia (Corte di Giustizia UE, 16 luglio 2015, Larentia-Minerva, C-108/14, C-109/14, punti 36 – 42), che – pur non subordinando la disciplina unionale la considerazione quale unico soggetto di imposta (circostanza estranea al caso di specie) ad altra condizione che si tratti di persone stabilite nel territorio dello Stato strettamente vincolate tra loro da rapporti finanziari, economici ed organizzativi – la normativa Eurounitaria non priva gli Stati membri della adozione di disposizioni espresse comparabili a quella della Dir. cit., art. 11, paragrafo 2, volte a reprimere la lotta alla frode e all’evasione fiscale, anche in assenza di un’espressa attribuzione di competenza da parte del legislatore dell’Unione (conf., Corte di Giustizia UE, Halifax e a., 0255/02, 21 febbraio 2006, punti 70 e 71).

Esigenza che si rinviene nel fatto che la Dir. n. 2006/112/CE, art. 11, paragrafo 2, prevede espressamente, a differenza della precedente Dir. n. 77/388/CEE, art. 4, par. 4, comma 2, che uno Stato membro possa “adottare le misure necessarie a prevenire l’elusione o l’evasione fiscale mediante l’esercizio di tale disposizione”. Tale disposizione, benchè non in vigore all’atto dell’emanazione del D.M. 13 dicembre 1979, può essere valorizzata in termini di interpretazione evolutiva allo scopo di qualificare la prestazione di garanzia, imposta dalla suddetta disposizione secondaria alla società controllante dichiarante, quale strumento volto alla repressione delle potenziali frodi finalizzate alla evasione di una imposta armonizzata, ove venisse astrattamente invocata la compensazione del debito dell’imposta dovuta con eccedenze di imposta inesistenti.

2.7 – La suddetta disciplina non pare, infine, manifestamente affetta da vizi di incostituzionalità.

Questa Corte ha già affermato il principio per cui la disciplina della compensazione delle eccedenze di imposta dell’IVA di gruppo, nella parte in cui prevede la prestazione di idonea garanzia a termini del D.M. 13 dicembre 1979, art. 6, comma 3, pena il versamento dell’importo corrispondente alle eccedenze di credito compensate nel termine di presentazione della dichiarazione, non si discosta dalla previsione del detto D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, u.c., nè è in contrasto con i principi fissati dagli artt. 23 e 76 Cost.. La procedura di rimborso accelerato, per la quale il D.P.R. cit., art. 38-bis, prevede la prestazione di garanzia, come anche quella di compensazione, non sono antitetiche e, anzi, costituiscono modalità attuative della medesima definizione del rapporto tributario, specificamente dettate per le società infragruppo con evidente intento agevolativo; ciò anche in considerazione del fatto che, per l’individuazione del sistema sanzionatorio in caso di inottemperanza agli obblighi predetti, la norma secondaria si rimette alla disciplina primaria dettata dal D.P.R. sull’IVA, con rinvio ricettizio al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, (Cass., Sez. V, 23 dicembre 2005, n. 28692).

Giudizio dal quale questo Collegio non ha ragione di discostarsi. I primi due motivi vanno, pertanto, rigettati.

3 – Il terzo motivo è infondato sotto tutti i profili evidenziati.

3.1 – Come correttamente enunciato dalla sentenza impugnata, la mancata prestazione della garanzia costituisce presupposto per la liquidazione dell’Iva di gruppo da parte della controllante, la cui mancanza comporta il mancato verificarsi dei presupposti in base ai quali la liquidazione è stata operata e, conseguentemente, comporta il venir meno (come si è visto supra 2.3) con efficacia ex tunc della compensazione dichiarata, con conseguente riemersione del debito IVA (nei limiti in cui è stata operata la compensazione) e sussistenza dei presupposti sostanziali dell’omesso versamento di imposta.

Deve, difatti, ritenersi definitivamente superato il precedente orientamento assunto da questa Corte, secondo cui per l’irrogazione della sanzione doveva preliminarmente procedersi all’accertamento della effettiva esistenza del credito (Cass., Sez. V, 23 dicembre 2005, n. 28689), essendosi affermato l’opposto orientamento, cui questo Collegio intende dare continuità, secondo cui il mancato rispetto delle condizioni formali (prestazione prospetto e garanzie in sede di liquidazione da parte della società controllante) costituisce presupposto per il venir meno della fattispecie compensativa (Cass., Sez. V, 3 aprile 2013, n. 8034), con conseguente insorgenza dell’obbligo del versamento del credito compensato non garantito (Cass., Sez. V, 2 luglio 2014, n. 15060), nè può ritenersi in contrasto con il principio di proporzionalità l’irrogazione della suddetta sanzione (Cass., Sez. V, 23 marzo 2016, 5724).

Va confermata, pertanto, la giurisprudenza di questa Corte, laddove ritiene che la prestazione della garanzia da parte della società controllante, la quale opti per il regime di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, ha carattere obbligatorio, con conseguente irrogazione della sanzione stabilita per il mancato versamento d’imposta, senza che ciò comporti una violazione dei principi Eurounitari di proporzionalità e neutralità dell’IVA, non potendo considerarsi adempiuti i relativi obblighi sostanziali, poichè, secondo il combinato disposto di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 73, comma 3, e D.M. 13 dicembre 1979, art. 6, comma 3, che rinvia al D.P.R. citato, art. 38-bis, comma 2, solo a seguito della prestazione della cauzione si realizza la fattispecie compensativa ed il contribuente può ottenere i rimborsi indicati (Cass., Sez. V, 29 agosto 2018, n. 21299; Cass., Sez. VI, 16 dicembre 2015, n. 25328; Cass., Sez. V, 3 aprile 2013, n. 8034).

3.2 – Irrilevante è, poi, quanto alla irrogazione della sanzione, l’intervenuta apertura del concorso dei creditori, conseguente alla dichiarazione dello stato di insolvenza di cui al D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270, art. 8, ai fini degli effetti di cui al D.Lgs. cit., art. 18, (benchè il parametro normativo non sia stato adeguatamente esplicitato).

L’impossibilità di pagamento di un credito concorsuale attiene (come non manca di osservare lo stesso ricorrente) al profilo satisfattivo del creditore, posto che detto credito deve essere soddisfatto nel rispetto delle regole del concorso (tempi della liquidazione dell’attivo ed esecuzione dei riparti). Tuttavia tale circostanza non ha rilievo sotto il profilo della opponibilità alla massa dei crediti concorsuali, ancorchè erariali, derivanti dalla applicazione di sanzioni, i cui presupposti, legati al ricorrere della fattispecie previste dalla legge (mancato versamento dell’imposta), si siano verificati in epoca precedente l’apertura del concorso. Questa Corte è, difatti, ferma nell’affermare il principio secondo cui l’apertura di una procedura concorsuale non è ostativa nè all’accertamento di crediti tributari pregressi, nè all’irrogazione di sanzioni pecuniarie ed accessori, maturati fino a tale momento (Cass., Sez. V, 4 aprile 2019, n. 9440; Cass., Sez. I, 27 settembre 2018, n. 23322).

E’, peraltro, indubbio che l’apertura del concorso formale abbia la funzione, da un lato, di dare soddisfacimento ai creditori concorsuali (che non possono compiere atti esecutivi sui beni dell’imprenditore insolvente) in funzione dei tempi della procedura (liquidatoria o di ristrutturazione) e, dall’altro, di cristallizzare (nel caso dell’amministrazione straordinaria, come del fallimento) le situazioni creditorie che siano insorte in epoca precedente l’apertura stessa. Pertanto, la mera apertura del concorso dei creditori non può privare retroattivamente di opponibilità alla massa, anche ai fini sanzionatori, i crediti derivanti da omessi versamenti dell’imposta verificatisi in epoca precedente l’apertura del concorso dei creditori, quando non si erano ancora verificati gli effetti dell’insolvenza.

Del resto, se così non fosse, l’apertura di una procedura concorsuale costituirebbe evento tale da incidere retroattivamente su diritti quesiti dei creditori (sempre che tali crediti risultino opponibili alla massa), i cui presupposti sostanziali si siano verificati in epoca precedente l’apertura del concorso, violando il principio secondo cui l’accertamento dello stato di insolvenza (salvi i futuri effetti previsti dal D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, artt. 163,164 e 166), non può retroagire rispetto al momento della sua dichiarazione.

Nel caso di specie la sanzione è stata irrogata in relazione al periodo di imposta 2011 (quando la società controllante era in bonis), laddove la sentenza dichiarativa dello stato di insolvenza, da quanto emerge dagli atti, è stata pubblicata in data 26 luglio 2013, per cui la sanzione attiene a crediti tributari concorsuali, che risultano astrattamente opponibili nel concorso formale.

3.3 – Quanto, poi, alla inapplicabilità della sanzione di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13, per effetto della modifica apportata dal D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 13, al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, (nella formulazione pro tempore applicabile), la deduzione è ulteriormente infondata per le ragioni che seguono.

3.3.1 – Si premette che il D.M. 13 dicembre 1979, art. 6, comma 3, pro tempore applicabile opera, da un lato, un rinvio recettizio al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, comma 2, (“per le eccedenze di credito (…) compensate in tutto o in parte con somme che avrebbero dovuto essere versate dalle altre società controllate o dall’ente o società controllante, si applicano le Disp. dell’art. 38-bis, comma 2”), dall’altro contempla un rinvio formale (non recettizio), al sistema di garanzie previsto in materia di rimborsi di crediti IVA (“le garanzie”), prevedendo una particolare integrazione del suddetto sistema di “garanzie” (“le garanzie devono essere prestate dalle società il cui credito sia stato estinto, per l’ammontare relativo, in sede di presentazione della dichiarazione annuale. In caso di prestazione delle garanzie l’importo corrispondente alle eccedenze di credito compensate deve essere versato all’ufficio entro il termine di presentazione della dichiarazione annuale”).

3.3.2 – Il sistema delle garanzie previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, modificato nel corso degli anni (già con D.L. 28 dicembre 1989, n. 414), è stato (come nota il ricorrente) profondamente innovato dal D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 13. Tale disposizione ha riformulato la Disp. del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, sia novellando la norma che prevede la prestazione delle garanzie cauzionali (ora disciplinata non più dal comma 2, bensì dall’art. 38-bis, comma 5), sia, soprattutto, introducendo un nuovo comma (il terzo) nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, che prevede la possibilità per il contribuente, il quale chieda rimborsi di crediti IVA superiori a 30.000 Euro (così modificati del suddetto art. 38-bis, comma 3, alinea, e comma 4, alinea, per effetto del D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, art. 7-quater, comma 32, convertito dalla L. 1 dicembre 2016, n. 225), di essere esonerato dalla prestazione delle garanzie cauzionali di cui al comma 5. L’esonero dalla prestazione di garanzie cauzionali opera a condizione che, come evidenzia fugacemente il ricorrente, “risultino soddisfatti taluni adempimenti”.

Nello specifico, il contribuente che intenda ottenere il rimborso del credito senza la prestazione delle garanzie di cui al comma 5 deve, in primo luogo, ottenere la apposizione del c.d. “visto pesante” (“dichiarazione o istanza da cui emerge il credito richiesto a rimborso recante il visto di conformità o la sottoscrizione alternativa di cui al D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 10, comma 7, primo e secondo periodo, convertito, con modificazioni, dalla L. 3 agosto 2009. n. 102”), già previsto dal D.L. n. 78 del 2009, per l’utilizzo in compensazione di crediti IVA al fine di contrastare il fenomeno della compensazione di crediti inesistenti. In secondo luogo, il contribuente deve allegare alla richiesta di rimborso un atto notorio che attesti la sussistenza di particolari condizioni di solidità patrimoniale o affidabilità del contribuente, attinenti al patrimonio netto, alla consistenza di alcune immobilizzazioni immateriali, alla gestione caratteristica, alla compagine societaria, all’assolvimento degli obblighi previdenziali e assicurativi.

Detti adempimenti, diversi dalla prestazione della garanzia cauzionale, non sono meramente formali (come intende il ricorrente), ma corredano un nuovo sistema di garanzie improprie, attinenti alla esistenza prima facie del credito (circostanza tale da attenuare il rischio di inesistenza del credito) e alla condizione soggettiva del creditore, che in tal modo offre al potenziale creditore erariale una sufficiente garanzia di affidabilità. Queste garanzie sono affatto differenti (e, come si vedrà, alternative) rispetto alla prestazione cauzionale di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, attuale comma 5, in quanto volte a tenere indenne l’amministrazione finanziaria, in termini diversi dalla prestazione di garanzie esterne, dal rischio di rimborso di crediti inesistenti (salva l’ipotesi del procedimento penale di cui al medesimo art. 38-bis cit., art. 8).

3.3.3 – Ove, invero, il contribuente che chiede il rimborso del credito IVA, non intenda avvalersi dello strumento previsto dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, comma 3, (che richiede l’apposizione del visto pesante e la allegazione dell’atto notorio relativo alla solidità e affidabilità del contribuente), egli deve, ove sussistano i presupposti di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, comma 4, prestare ugualmente la garanzia di cui al suddetto art., comma 5.

Ne consegue che, diversamente da quanto prospettato da parte ricorrente, il legislatore non ha affatto eliminato la prestazione delle garanzie in caso di richiesta di rimborso del credito IVA (e, quindi, di utilizzo dei crediti IVA infragruppo a termini del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, u.c.), ma ha previsto (in armonia con quanto prevede l’art. 1291 c.c., in materia di obbligazioni con alternativa multipla in tema di obbligazioni alternative), una più ampia modulazione delle garanzie che può prestare il contribuente che si trovi in eccedenza di imposta rimborsabile. Il contribuente può, difatti, accedere alla prestazione delle garanzie cauzionali, come può, in alternativa, accedere a un sistema di garanzie improprie, dando sufficiente contezza della presumibile esistenza del credito e della propria affidabilità come contribuente. Il che contrasta con l’impostazione del ricorrente, secondo cui sarebbe venuto meno “l’obbligo di versare all’Ufficio l’importo corrispondente alle eccedenze di credito compensate in caso di mancata prestazione delle garanzie”, avendo l’Ufficio diversamente modulato la prestazione delle garanzie imposte al contribuente che intenda ottenere il rimborso dell’eccedenza IVA, in termini, pertanto, equivalenti al caso del contribuente che intenda accedere alla compensazione dell’imposta a debito con eccedenze di imposta di terzi.

3.3.4 – Nè può ritenersi che il fatto che le garanzie cauzionali non siano più previste dall’art. 38-bis, comma 2, (come prevede il D.M. 13 dicembre 1979, art. 6, nella formulazione pro tempore applicabile) ma dalla medesima Disp. normativa, comma 5, costituisca circostanza decisiva. La mancata riformulazione dell’art. 6, comma 3, alla luce della successiva novella del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, è frutto di un evidente difetto di coordinamento della disciplina attuale rispetto alla norma previgente; difetto di coordinamento, del resto, che si dimostra irrilevante, posto che il D.M. cit., art. 6, come si è accennato, opera espressamente anche un rinvio “formale” alla materia delle garanzie disciplinate dall’art. 38-bis.

Si osserva, peraltro, incidentalmente, come detto difetto di coordinamento sia stato eliminato nella attuale formulazione del D.M. 13 dicembre 1979, art. 6, comma 3, per effetto della emanazione del D.M. 13 febbraio 2017, il quale all’art. 1, lett. n) ha sostituito il rinvio recettizio già del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38-bis, comma 2, al medesimo art., attuali commi 3, 4, 5 e 6, attinenti al suddetto sistema di garanzie improprie. Il sistema delle garanzie dell’art. 38-bis, comma 3, diviene, pertanto, espressamente applicabile al caso della liquidazione dell’IVA di gruppo, quale alternativa alla prestazione di garanzia cauzionale di cui all’art. 38-bis, comma 5, in termini non dissimili dalla alternativa multipla prevista dal richiamato art. 1291 c.c., riguardo al versamento dell’imposta a debito dovuta dalla controllante.

Il motivo va, pertanto, rigettato.

4 – Il quarto motivo è infondato.

Pur essendo il motivo ammissibile per specificità, va osservato come in caso di omissione di pronuncia, il giudice di legittimità diviene giudice del fatto processuale, in quanto chiamato a sindacare un vizio di inosservanza di norme processuali relative alla violazione denunciata (l’omessa decisione in ordine alle questioni preliminari dedotte dal ricorrente), che comporta per la Corte il potere-dovere di controllare sia l’esatta individuazione dell’interpretazione della norma astratta applicata o applicabile, sia l’esatta sussunzione della vicenda processuale nella norma medesima, sia – infine – l’intero processo logico seguito dal giudice di merito nell’applicare la norma processuale (Cass., Sez. II, 16 ottobre 2017, n. 24312; Cass., Sez. III, 8 giugno 2007, n. 13514).

Orbene, il ricorrente non ritrascrive nel motivo di ricorso alcun elemento, oggetto di discussione nei precedenti gradi di merito che consenta di ritenere sussistente l’osservanza da parte della ricorrente di un comportamento diligente; comportamento – invero – che si rivelerebbe, in ogni caso, di alquanto difficile prova nel caso del mancato rispetto di una circostanza meramente fattuale quale la mancata prestazione di una garanzia imposta dalla legge.

3.2 – Inammissibile, è infine, l’applicazione della disciplina dello ius superveniens.

La nuova norma si discosta dalla norma in vigore all’epoca dei fatti per il solo venir meno dell’aggettivo “eccezionali”, essendo per il resto immutata quanto alla sua precedente formulazione (“qualora concorrano (eccezionali) circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo”).

Anche sotto tale profilo il ricorrente non indica nel motivo di ricorso alcun elemento, oggetto di discussione nei precedenti gradi di merito che consenta di ritenere che siano state oggetto di discussione circostanze che renderebbero manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo e la sanzione.

Il ricorso va, pertanto, rigettato, con raddoppio del contributo unificato. Non vi è luogo a provvedere sulle spese in assenza di costituzione dell’Ufficio intimato.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso; dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento degli ulteriori importi a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2020

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