Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15361 del 28/06/2010

Cassazione civile sez. III, 28/06/2010, (ud. 15/04/2010, dep. 28/06/2010), n.15361

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. TALEVI Alberto – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 23240/2006 proposto da:

TECNODATA CONSUL DELL’ING. ANGELO REA & C. S.A.S. (OMISSIS),

considerata domiciliata “ex lege” in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

ORLANDO ANTONIO giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO PERSICO ED ALBERTO S.R.L. (OMISSIS) in persona del

curatore Dott. L.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

G. AVEZZANA 51, presso lo studio dell’avvocato LA VIA ALESSANDRA,

rappresentato e difeso dall’avvocato SANGIOVANNI GIUSEPPE giusta

delega a margine dei controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3113/2005 del) a CORTE D’APPELLO di NAPOLI, 3^

SEZIONE CIVILE, emessa il 10/11/2005, depositata il 18/11/2005,

R.G.N. 5065/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/04/2010 dal Consigliere Dott. CHIARINI Maria Margherita;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato che ha concluso per la inammissibilità o il

rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 18 novembre 2005 la Corte di appello di Napoli dichiarava inammissibile l’appello della Tecnodata Consul. s.a.s. di Angelo Rea & C. avverso la sentenza dei Tribunale di Noia che aveva dichiarato la risoluzione del contratto di locazione per inadempimento della stessa all’obbligo di pagare i canoni, in mancanza di prova che esso fosse sostituito colla custodia, da parte della conduttrice, di attrezzature e macchinari e della rilevanza della inutilizzazione del capannone, documentalmente estraneo al contratto, per mancanza ai specificità dei motivi di impugnazione non correlati a tali rationes decidendi e perciò privi di causa petendi, in quanto privi di contrapposte argomentazioni giuridiche e ripetitivi della tesi secondo cui i contratti intercorsi erano due e concedevano anche il capannone, in relazione al quale doveva dichiararsi l’inadempimento della locatrice che non ne aveva consentito l’utilizzazione, nè aveva eseguito le riparazioni dovuto.

Ricorre per cassazione la Tecnodata Consul s.a.s. di Angelo Rea & C. cui resiste il Fallimento Persico ed Albrizio s.r.l..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con un unico motivo la ricorrente deduce: “Omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo dei giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 in combinato disposto con gli artt. 363, 366 bis e 342 c.p.c.”.

Sussiste vizio di motivazione per l’esclusione dei mezzi di prova su fatti decisivi concernenti la controversia e sulla insufficiente contraddittoria motivazione sulla lettura degli atti (la lettera del 16 settembre 1994 costituisce l’accordo sulla messa in mora e diffida del marzo 1994 e non è una proposta non accettata, ma la conferma dell’accettazione della messa in mora e della transazione). La Teconodata aveva assunto che l’immobile – uffici e capannone – era stato locato con due contratti, ma non essendo utilizzabile per le infiltrazioni d’acqua, non era stato conseguito il possesso, bensì solo la custodia, e le relative prove non erano state ammesse, immotivatamente, neppure in primo grado.

Con il secondo motivo deduce: “Omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo della controversia, ex art. 330 c.p.c., n. 5 e art. 342 c.p.c.”.

Nella parte espositiva dell’appello, non esaminata dalla Corte, erano indicate le censure alla sentenza di primo grado. In secondo grado si è chiesto di provare per testi e documenti, corroborati dalla richiesta di C.T.U., che l’immobile non è stato consegnato nel possesso, che era occupato da macchinari ed attrezzature di cui la Tecnodata era stata nominata custode dalla società poi fallita, che gli immobili locati non potevano esser utilizzati e che erano occupati da una chiesa-parrocchia.

I motivi, congiunti, sono infondati.

Ed infatti, la rilevanza e l’ammissibilità delle prove è da esaminare in relazione ai fatti, principali o secondari, tempestivamente dedotti ed allegati, in primo grado e che esse sono volte a dimostrare.

Nella fattispecie, affermato dai giudice di primo grado, come emerge dalla sentenza di appello, la mancanza di prova del “contratto di custodia di attrezzature e macchinari. dietro corrispettivo del godimento gratuito dei locali locati in quanto la missiva del 16 settembre 1994 integra una proposta contrattuale della cui accettazione non vi è prova, nè vi è prova che sia giunta a conoscenza dei la proponente prima della dichiarazione del fallimento”, l’appellante Tecnodata, richiamate la domanda riconvenzionale e le eccezioni formulate in primo grado, ha formulato il seguente motivo di appello: “E pertanto, in via istruttoria, si chiede che la Corte voglia ammettere prova per interrogatorio e testi, neppure esaminate m primo grado, sui seguenti capi – anche se gli stessi emergono dalla lettera del 16 settembre 1994, che precisa esser stata sottoscritta quale “conferma scritta come da voi richiesto degli accordi raggiunti”. Segue quindi l’articolazione dei capitoli di prova aventi ad oggetto il deposito di attrezzature e macchinar nei locali locati, ma non la conclusione dei contratto di custodia di essi affidata alla Tecnodata nè la pattuizione che la relativa attività era da compensare con il godimento gratuito dei Locali medesimi, fatto impeditivo dell’obbligo di pagarne il canone – fatto costitutivo della domanda di risoluzione della locazione – il cui onere probatorio non poteva esser assolto mediante la prova dell’esistenza di alcuni beni nei locali. Altrettanto irrilevante è poi la richiesta di C.T.U. – volta ad accertare l’inutilizzabilità dei locali non preceduta dalla prova dei fatti all’uopo rilevanti secondo la disciplina contenuta nell’art. 1578 c.c. (vizi del bene non conosciuti o facilmente riconoscibili).

Pertanto le censure vanno respinte e la ricorrente va condannata a pagare le spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente a pagare le spese del giudizio ai cassazione pari ad Euro 2.200 di cui 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2010

 

 

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