Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15361 del 03/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2021, (ud. 11/03/2021, dep. 03/06/2021), n.15308

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Francesco – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 38644-2019 R.G. proposto da:

L.G.E., rappresentato e difeso, per procura

speciale in calce al ricorso, dall’avv. Franco FURORE, ed

elettivamente domiciliato in Roma, alla via A. Modigliani, n. 10,

presso lo studio legale dell’avv. Rocco MELE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 914/13/2019 della Commissione Tributaria

Regionale dell’EMILIA ROMAGNA, depositata in data 13/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del giorno 11/03/2021 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue.

L’Agenzia delle entrate, sulla base delle risultanze di una verifica fiscale effettuata nei confronti della Argilese Costruzioni s.r.l. in fallimento, che aveva accertato, con riferimento all’anno di imposta 2009, un maggior reddito di impresa ai fini IVA, IRES ed IRAP, e sul presupposto che la predetta società fosse a ristretta base societaria, emetteva un avviso di accertamento nei confronti del socio L.G.E., recuperando a tassazione il maggior reddito di capitale a questi imputabile nei limiti della quota di partecipazione nella predetta società.

Il ricorso proposto dal contribuente avverso il predetto avviso di accertamento veniva accolto dalla CTP di Bologna e l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate accolto nel merito previo rigetto dell’eccezione del contribuente appellato di inammissibilità dell’appello, sul rilievo che l’errata indicazione della quota sociale e del reddito accertato costituisse mero errore materiale.

Avverso tale statuizione il contribuente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, illustrati con memoria, cui replica l’intimata con controricorso.

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 sostenendo che la sentenza impugnata viola la disposizione censurata “nel punto in cui si occupa della richiesta inammissibilità del ricorso a causa di oggetto nuovo e motivazioni nuove”.

Il motivo è palesemente inammissibile, sia per errata indicazione del parametro normativo violato che, stando alle argomentazioni svolte nel ricorso, andava individuato nella violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 (che vieta la proposizione in appello di domande ed eccezioni nuove) e non nel medesimo D.Lgs., dedotto art. 53 (che attiene alla “forma dell’appello”, prescrivendo la specificità dei motivi di impugnazione), sia per difetto di autosufficienza del motivo, avendo la ricorrente del tutto trascurato di riprodurre il contenuto dell’appello che, a detta della ricorrente, conteneva “oggetto nuovo e motivazioni nuove”. Nè vale a superare il vizio riscontrato quanto tardivamente dedotto nella memoria ad integrazione di quanto dedotto nel motivo in esame.

In ogni caso il motivo è manifestamente infondato posto che sulla questione dedotta la CTR ha affermato che l’errata indicazione della quota sociale e del reddito accertato costituisse mero errore materiale inidoneo ad inficiare l’appello.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 44 e 47.

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità e chiarezza espositiva, essendosi limitato il ricorrente a riportare il contenuto delle disposizioni censurate e ad affermare genericamente che la CTR ha contravvenuto “alle norme imperanti in materia di tassazione dei redditi, nel caso specifico quelli di capitale”, senza specificare con chiarezza il contenuto della censura mossa alla statuizione d’appello e di indicare le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che, in tesi, sarebbero in contrasto con le disposizioni censurate (arg. da Cass., Sez. U., n. 23745 del 2020 secondo cui “In tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa”. V. anche Cass. n. 17224 del 2020).

Ed anche con riferimento al motivo in esame, non è utile a superare il vizio riscontrato quanto ad integrazione dello stesso tardivamente dedotto nella memoria.

In ogni caso, anche a voler ritenere, alla stregua dell’interpretazione del motivo fattone dalla controricorrente, che la CTR avrebbe “affermato la legittima imputazione dei maggiori ricavi societari” mentre il recupero riguardava la distribuzione ai soci “dei maggiori utili”, il motivo si palesa manifestamente infondato in quanto la CTR ha considerato solo questi ultimi, peraltro oggetto di specifica ripresa a tassazione con l’atto impositivo impugnato, evidenziando in motivazione che “il “secondo motivo di appello” atteneva alla “infondatezza della sentenza circa la legittimità della distribuzione ai soci dei maggiori utili accertati in capo alla società”, che “la “Argilese Costruzioni s.r.l.” era a ristretta base azionaria ed è quindi legittimo presumere che gli utili realizzati extra-bilancio siano stati distribuiti ai soci” e che ” L.G. non ha provato che gli utili extracontabili realizzati dalla società erano stati accantonati o reinvesititi”.

Alla luce di quanto fin qui detto consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese processuali, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 11 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2021

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