Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15360 del 28/06/2010

Cassazione civile sez. III, 28/06/2010, (ud. 14/04/2010, dep. 28/06/2010), n.15360

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 10092/2006 proposto da:

PIZZERIA BREK SNC (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

V.LE BRUNO BUOZZI 32, presso lo studio dell’avvocato AFELTRA ROBERTO,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIORDANO MARIA ANTONIA con

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

G.A. (OMISSIS);

– intimati –

sul ricorso 11812/2006 proposto da:

G.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA TUSCOLANA 339, presso lo studio dell’avvocato CASSARA’

BRUNO, rappresentato e difeso dall’avvocato RUSSELLO GIACOMO con

delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

PIZZERIA BREK SNC;

– intimata –

avverso la sentenza n. 5/2005 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA,

emessa il 23/06/2004; depositata il 17/01/2005; R.G.N. 352/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2010 dal Consigliere Dott. FRASCA Raffaele;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele che ha concluso per l’accoglimento del terzo

motivo e parzialmente del quarto e rigetto nel resto per il ricorso

principale; rigetto del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 17 gennaio 2005, la Corte d’Appello di Caltanissetta, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla Pizzeria Brek s.n.c. ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Gela, la quale in primo grado, provvedendo sulla controversia da essa introdotta contro G.A., aveva rigettato sia la domanda avente ad oggetto la condanna al risarcimento di danni asseritamente sofferti dall’attrice per non essere stato mantenuto in buono stato locativo un immobile locatole ad uso commerciale dal G. e per essere stata in conseguenza costretta l’attrice a sgomberarlo a seguito di un’ordinanza del Comune di Gela, sia la domanda di corresponsione dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale.

La riforma parziale disposta dalla Corte nissena ha riguardato questa seconda domanda, che è stata accolta, reputandosi che l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, pur essendo avvenuto il rilascio sulla base di un recesso della conduttrice nel marzo del 1998, fosse dovuta, in quanto all’origine del recesso doveva comunque ritenersi l’efficacia causale del diniego di rinnovo a suo tempo manifestato dal G.. La sentenza di primo grado è stata, viceversa, confermata per il resto.

2. Avverso la sentenza della Corte territoriale la Pizzeria Brek ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi.

Ha resistito con controricorso il G., che ha anche svolto un motivo di ricorso incidentale.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente il ricorso incidentale va riunito al principale, in seno al quale è stato proposto.

2. Sempre in via preliminare va disatteso l’assunto svolto dalla ricorrente nella memoria, nel senso che il controricorso e ricorso incidentale non le sarebbe stato notificato: v’è prova, invece, che esso le venne notificato presso il suo difensore Avvocato Maria Giordano, a mani di una collega di studio, in Gela. E’ vero che la ricorrente si era domiciliata presso altro avvocato in Roma, come imponeva la norma dell’art. 366 c.p.c., comma 2. Tuttavia, la notifica presso il difensore in luogo diverso da Roma è stata ugualmente idonea ad assolvere allo scopo suo proprio di portare a conoscenza della ricorrente, in persona del suo difensore, il controricorso. Dunque nessuna nullità si è verificata.

3. Ancora in via preliminare va chiarito che è incomprensibile la prospettazione del resistente secondo cui, poichè il ricorso principale – come emergerebbe dalle sue conclusioni – sarebbe stato proposto soltanto per l’annullamento della sentenza impugnata “nella parte in cui conferma la sentenza di primo grado e dichiara compensate le spese del giudizio del grado”, ne conseguirebbe l’inammissibilità dei motivi. Se si è voluto dire che la proposizione fra le virgolette, che effettivamente figura nelle conclusioni del ricorso, non comprenderebbe il quarto motivo, che concerne le spese del giudizio di primo grado, è sufficiente osservare che ad esso in realtà sarebbe riferibile proprio il riferimento alla conferma della sentenza di primo grado e che, comunque, nell’esposizione del detto motivo, proprio nella prima proposizione che ne apre l’illustrazione è espressamente chiesta la cassazione della sentenza.

4. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia “omessa, insufficiente, o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, e violazione o falsa applicazione dell’art. 228 c.p.c. e degli artt. 2730 e 2733 c.c., nonchè degli artt. 1227, 1575, 1576 e 1578 c.c.” e si censura la motivazione della sentenza impugnata per avere rigettato la domanda di risarcimento danni della ricorrente affermando che “non risulta provato che i vizi della cosa locata che indussero il sindaco a dichiarare l’inagibilità dell’immobile, siano stati la causa del rilascio forzoso dell’immobile” e che “al contrario, emerge che la decisione di rilasciare il locale” era “stata indipendente dalle vicende relative all’agibilità del locale”, tanto che, per circa un anno dopo la notifica dell’ordinanza comunale di sgombero, la qui ricorrente aveva continuato ad esercitare la propria attività all’interno del locale.

Il motivo è improcedibile e comunque inammissibile e, quindi, dev’essere rigettato.

Esso si fonda, sotto il duplice aspetto del vizio di violazione di norme di diritto e del vizio di motivazione, sulla mancata valutazione da parte della Corte territoriale di una dichiarazione resa in sede di interrogatorio formale dal G., alla quale si sarebbe dovuto annettere valore di confessione giudiziale. Di essa viene riprodotto il tenore (che riguarda la dichiarazione di non aver dato l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale perchè la parte conduttrice aveva rilasciato l’immobile in conseguenza dell’ordinanza sindacale), ma la Corte non è stata messa in condizione di riscontare il contenuto nel relativo verbale di udienza, sia perchè parte ricorrente ha omesso di formulare istanza di trasmissione del fascicolo d’ufficio, ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, (per l’ipotesi che in esso fosse presente il fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado, ove acquisito nel giudizio di appello), sia perchè non ha nemmeno enunciato di aver prodotto – evidentemente in copia – il verbale di causa relativo al detto interrogatorio, siccome imponeva la stessa norma, con la previsione del suo comma 2, n. 4 (in termini, Cass. n. 12239 del 2007, seguita da numerose conformi).

Il motivo, inoltre, in disparte l’assorbenza del rilievo svolto, sarebbe anche inammissibile perchè si fonda anche sul contenuto dell’ordinanza sindacale di sgombero, della quale non riproduce il contenuto e nemmeno indica se e dove sarebbe esaminabile in questa sede, con conseguente violazione del principio di autosufficienza, e perchè – per quanto afferisce al vizio di motivazione (che, peraltro, nella sostanza costituisce il vero contenuto dell’esposizione del motivo, tenuto conto che il preteso carattere confessorio della risposta all’interrogatorio formale sulla circostanza di cui trattasi dovrebbe essere utilizzato per desumere il fatto dell’inadempimento dell’obbligo di manutenzione della cosa locata) difetta anche del requisito della decisività (in termini, si veda, fra le tante, Cass. n. 359 del 2005), giacchè dall’affermazione che il rilascio sarebbe avvenuto in conseguenza dell’ordinanza sindacale nessuna inferenza logica necessaria è argomentabile quanto all’esistenza dell’inadempimento all’obbligo manutentivo, volta che la sentenza impugnata ha rilevato che per un anno dall’ordinanza il godimento continuò.

5. Il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, “insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia” e riguarda la motivazione con cui la sentenza impugnata ha disatteso la richiesta di riconoscimento delle quarantotto mensilità cui allude la L. n. 392 del 1978, art. 31, per non essere stato adibito l’immobile all’attività indicata come motivo del diniego di rinnovo a suo tempo esercitato dal G..

Il motivo è inammissibile quanto al profilo di insufficienza di motivazione, in quanto ne fonda la prospettazione sul contenuto di documenti dei quali riproduce il contenuto, ma non indica se sono stati prodotti e dove in questa sede: ciò determina la violazione del principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione (si veda sempre Cass. n. 12239 del 2007).

Quanto al profilo di contraddittorietà della motivazione esso è prospettato assumendosi che l’esclusione dell’applicazione dell’art. 31 cit., là dove è stata motivata assumendosi che “il rapporto contrattuale non ebbe a risolversi per nessuna delle ragioni di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 29, atteso che la primitiva comunicazione del locatore di voler adibire l’immobile all’attività propria e del figlio, non ebbe alcun effettivo seguito fino a quando fu il conduttore a decidere di aderire alla risoluzione propostagli”, sarebbe in contraddizione con l’affermazione con cui la Corte territoriale ha giustificato la debenza dell’indennità di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 34, dicendo che “nel caso di specie, appare evidente che la primitiva e mai revocata volontà di ottenere la restituzione dell’immobile sia stata comunque all’origine del successivo recesso del conduttore, cosicchè a quest’ultimo spetta la corresponsione dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale subita”.

Si tratta di una contraddizione che, in realtà, non prospetta un vizio di motivazione, perchè la motivazione censurata non riguarda la quaestio facti, bensì un error iuris derivante dall’avere la sentenza considerato il rilascio non avvenuto in conseguenza del diniego manifestato dal locatore agli effetti dell’art. 31 ed invece determinato da tale diniego agli effetti dell’indennità di cui all’art. 34.

Senonchè, la contraddizione – pur apprezzata in iure – non esiste, perchè il paradigma normativo dell’art. 31 esige che la disponibilità dell’immobile sia stata riacquisita dal locatore per uno dei motivi di cui all’art. 29 della legge citata, mentre l’art. 34 attribuisce la spettanza dell’indennità al conduttore “in caso di cessazione del rapporto di locazione…. che non sia dovuta a risoluzione per inadempimento o disdetta o recesso del conduttore o a una delle procedure previste dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267”.

Leggendo a contrario la norma appare evidente che l’indennità spetta per la cessazione della locazione sempre, salvo che la cessazione sia dovuta alle cause espressamente indicate.

Ora, la Corte territoriale ha ritenuto – e la sua valutazione, fondata o errata che sia si è risolta in un vantaggio a favore della stessa ricorrente che nella specie, pur essendo stata la cessazione della locazione determinata da recesso del conduttore, l’indennità spettasse, in quanto tale recesso era stata causato dalla volontà di diniego di rinnovo manifestata a suo tempo dal locatore. In tal modo, la Corte territoriale ha dato rilievo a questa circostanza per escludere che la cessazione della locazione rientrasse nell’eccezione prevista dall’art. 34 per il recesso, reputando che quest’ultima si riferisca ad un recesso non esercitato a seguito di una precedente manifestazione di diniego di rinnovo.

La valutazione così espressa è – corretta o sbagliata che sia – funzionale all’applicazione della norma dell’art. 34 e come tale attribuisce rilievo all’essere avvenuta la cessazione della locazione in forza di recesso del conduttore indotto, si dovrebbe dire motivato, dall’esistenza pregressa di una manifestazione di diniego di rinnovo compiuta dal locatore. Non si comprende come e perchè sarebbe contraddittoria (in iure) rispetto alla valutazione di non ricorrenza delle condizioni di diritto per applicare l’art. 31, che esigono che la disponibilità dell’immobile da parte del locatore sia avvenuta per uno dei motivi di cui all’art. 29.

Se si attribuisse, anche agli effetti dell’art. 31, rilievo alla cessazione della locazione e, quindi al riacquisto della disponibilità dell’immobile conseguito a recesso del conduttore, sia pure successivo a diniego di rinnovo, si darebbe rilievo ad un’ipotesi che l’art. 31 non prevede. Altro sarebbe se il recesso fosse accompagnato dall’esplicita dichiarazione di avvenire come spontanea manifestazione di ottemperanza al manifestato diniego di rinnovo in presenza di un non ancora avvenuto esercizio dell’azione ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 30 da parte del locatore. Non va dimenticato, infatti, che, di fronte alla manifestazione di volontà di denegare il rinnovo alla prima scadenza, il conduttore bene può, sul presupposto di voler riconoscere esistente il motivo di diniego, provvedere sua sponte al rilascio senza costringere il locatore ad agire in giudizio, ma perchè si verifichi questa ipotesi occorre che il rilascio per tale ragione sia inequivoco, cioè che risulti la volontà del conduttore di voler adempiere l’obbligazione di rilascio in quanto riconosca la fondatezza del diniego di rinnovo.

Il motivo, dunque, una volta apprezzato in iure, appare infondato.

6. Con il terzo motivo si deduce “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e degli artt. 1224 e 1282 c.c.”, per non avere la Corte d’Appello riconosciuto gli interessi legali sull’indennità per la perdita di avviamento commerciale, che sarebbero stati richiesti sia in primo che in secondo grado. Si sostiene che tali interessi si sarebbero dovuti riconoscere, ai sensi degli artt. 1224 e 1282 c.c. dal momento del rilascio dell’immobile e, quindi, dalla consegna dello stesso, avvenuta l’11 marzo 1998 ed anzi dalla data del 7 marzo 1998, data nella quale l’amministratore della ricorrente aveva offerto la consegna delle chiavi, da considerarsi agli effetti dell’art. 1261 c.c.. In subordine si sostiene che gli interessi avrebbero dovuto essere riconosciuti almeno dalla data della proposizione della domanda giudiziale.

Il motivo è inammissibile quanto alla richiesta di riconoscimento degli interessi dal momento dell’offerta del rilascio, atteso che, in violazione del principio di autosufficienza non si riproduce la domanda formulata in primo grado nella quale la richiesta sarebbe stata espressa. Inoltre, la prospettazione è basata su una missiva del detto amministratore, della quale non si riproduce il contenuto (e nemmeno si dice che esso è quello di una lettera in pari data a pagina 4, in fine, e cinque in chiusura), e, comunque, non si indica se e dove sarebbe esaminabile in questa sede.

Il motivo è, invece, fondato quanto alla censura riguardante il non essere stati riconosciuti gli interessi legali almeno dalla data del rilascio, poichè, una volta avvenuto il rilascio, l’indennità era dovuta e pertanto sulla relativa somma erano dovuti per il ritardo nella corresponsione gli interessi.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata sul punto e, non occorrendo accertamenti di fatto, può farsi luogo alla decisione sul merito e alla condanna del resistente alla corresponsione alla ricorrente degli interessi legali sulla somma dovuta per l’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, con decorrenza dall’11 marzo 1998, data (incontestata) del rilascio.

7. Il quarto motivo lamenta “violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 336 c.p.c.”, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 innanzitutto sotto il profilo che erroneamente la Corte nissena avrebbe omesso di provvedere nuovamente sulle spese del giudizio di primo grado, che erano state poste a carico della ricorrente nella misura di L. 6.645.000. La riforma pur parziale della sentenza di primo grado, viceversa, imponeva di provvedervi, mentre la Corte d’Appello avrebbe confermato la statuizione di primo grado.

In secondo luogo, si lamenta anche che siano state compensate le spese del giudizio di appello.

La prima censura è fondata.

E’ consolidato il principio di diritto secondo cui “In base al principio fissato dall’art. 336 c.p.c., comma 1, secondo il quale la riforma della sentenza ha effetto anche sulle parti dipendenti dalla parte riformata (cosiddetto effetto espansivo interno), la riforma, anche parziale,della sentenza di primo grado determina la caducazione ex lege della statuizione sulle spese e il correlativo dovere, per il giudice d’appello, di provvedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle stesse.” (Cass. n. 13059 del 2007, ex multis).

Nella specie la sentenza d’appello qui impugnata, pur avendo la Corte nissena accolto parzialmente l’appello, riguardo al rigetto in primo grado una delle domande proposte dall’attrice, non contiene in motivazione alcuna statuizione sulle spese del giudizio di primo grado. Nè tale statuizione può ravvisarsi nella parte del dispositivo, che, dopo l’accoglimento parziale dell’appello, così si esprime: “conferma nel resto l’impugnata sentenza”. Non si può, invero, considerare, intendendola, nella sua mancanza di giustificazione, in modo conforme a ragionevolezza, come diretta ad una conferma della statuizione della sentenza di primo grado sulle spese.

Infatti, l’accoglimento parziale dell’appello avrebbe dovuto comportare l’onere di valutare la nuova situazione determinatasi, che, in ragione della conferma del rigetto di una delle due domande formulate dalla parte attrice ed appellante e della riforma quanto al rigetto di altra domanda, era di esistenza di una soccombenza parziale e reciproca delle parti e non più di una soccombenza riferibile soltanto alla parte attrice, com’era stato secondo la sentenza di primo grado. In tale situazione, la Corte d’Appello avrebbe potuto o addossare le spese del giudizio di primo grado interamente alla parte convenuta ed appellata reputando inidonea la situazione di parziale accoglimento dei petita dell’attrice a giustificare una compensazione anche parziale, o compensare le spese parzialmente addossandone alla parte convenuta soltanto una parte, o compensarle integralmente reputando la soccombenza reciproca idonea a giustificare la compensazione. L’unica cosa che non avrebbe potuto fare, pena la violazione dell’art. 91 c.p.c., per cui la parte vittoriosa non può essere condannata alle spese, era quella di confermare la statuizione sulle spese della prima sentenza: invero, nel caso di soccombenza reciproca l’art. 92 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis (ed anche nel testo attuale e non applicabile nella specie), era quella di porre le spese a carico dell’attrice e qui ricorrente, posto che essa era divenuta parzialmente vittoriosa, per effetto dell’accoglimento di una delle sue domande.

Ne discende che nella specie non può trovare applicazione il principio di diritto così espressamente enunciato: “In tema di regolamento delle spese di lite nel giudizio d’appello, il principio secondo cui la riforma, anche parziale, della pronuncia di primo grado determina la caducazione ex lege anche della statuizione di condanna alle spese, non risulta violato nel caso in cui il giudice di secondo grado confermi espressamente, per le parti non riformate, la sentenza di primo grado, così recependo il pregresso regime delle spese di lite sulla base di una complessiva riconsiderazione, seppure implicita, riguardante entrambi i gradi, dell’esito della lite” (Cass. 23364 del 2009). Esso va infatti riferito alla fattispecie allora giudicata, che era stata di accoglimento della domanda in una certa misura in primo grado, mentre in appello tale misura era stata ridimensionata e si era in presenza di una statuizione sulle spese in primo grado di condanna a favore della parte attrice. La conferma nel resto della sentenza di primo grado bene allora poteva intendersi come valutazione implicita di inesistenza di ragioni per una compensazione parziale o totale, statuizioni che sarebbero state le sole possibili in via alternativa.

Il principio di diritto che sì può, invece, enunciare in relazione ad una sentenza di appello che, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, la confermi nel resto senza provvedere con un’espressa statuizione sulle spese del giudizio di primo grado, è che, ove la riforma abbia riguardato una sentenza di primo grado che aveva rigettato integralmente la domanda o le domande della parte attrice con gravame delle spese a carico di quest’ultima, la statuizione di conferma del giudice d’appello non può essere considerata come implicitamente confermativa della statuizione sulle spese di primo grado, perchè altrimenti si risolverebbe nell’addossare le spese a carico della parte parzialmente vittoriosa, là dove il parziale accoglimento della domanda o di alcune delle domande può al massimo giustificare la compensazione in tutto od in parte delle spese. Ne consegue che in tale situazione deve ritenersi, secondo un’esegesi della sentenza di secondo grado conforme a ragionevolezza, che la sentenza di primo grado abbia omesso di pronunciare sulle spese del giudizio di primo grado. Ove, invece, la riforma parziale abbia riguardato una decisione di primo grado che aveva accolto la domanda o le domande, condannando alle spese la parte convenuta, e si sia concretata nel rigetto parziale dell’unica domanda o nel rigetto di alcune domande, la conferma nel resto della sentenza di primo grado bene può essere intesa come implicita valutazione da parte del giudice d’appello nel senso che il ridotto accoglimento dell’unica domanda o di alcune domande comunque non integrava ragione per compensare in tutto od in parte le spese, sì da giustificare che esse restassero a carico della parte convenuta.

L’applicazione dei principi esposti comporta allora che si debba rilevare che nella specie la Corte territoriale ha omesso di pronunciare sulle spese del giudizio di primo grado. L’alternativa sarebbe che l’implicita pronuncia che si volesse scorgere nella conferma nel resto della sentenza, nel senso di una valutazione di giustificazione dell’imposizione delle spese nella misura liquidata in primo grado a carico dell’attrice e qui ricorrente sarebbe illegittima per violazione dell’art. 91 c.p.c.. La cassazione della sentenza impugnata appare giustificata sia secondo la prima che la seconda alternativa e ad essa si deve fare luogo.

Poichè nella specie ricorrono le condizioni per la decisione sul merito, non occorrendo accertamenti di fatto, il Collegio ritiene anche su questo motivo di far luogo a decisione sul merito.

Il Collegio reputa che la decisione possa assumersi con la compensazione delle spese del giudizio di primo grado, che appare giustificata dall’esistenza di una situazione di accoglimento di una delle due domande e di rigetto dell’altra.

Da tale statuizione emergerà l’obbligo di restituzione a carico del resistente quanto alle spese oggetto della condanna in primo grado, ove pagate dalla qui ricorrente.

7.1. Dall’accoglimento della prima censura del motivo in esame, consegue l’assorbimento della seconda censura, atteso che la disponenda duplice cassazione parziale imporrebbe al giudice di rinvio, in caso di cassazione con rinvio, di provvedere nuovamente sulle spese.

8. L’unico motivo di ricorso incidentale deduce “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5)” con riferimento alla statuizione della sentenza impugnata di riforma della sentenza di primo grado quanto alla domanda di riconoscimento dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale.

Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza perchè si fonda sulle risultanze dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, di una lettera e dell’interrogatorio formale del convenuto, ma di tali atti non indica se e dove sarebbero esaminabili in questa sede e, quanto al verbale dell’interrogatorio formale impinge nella valutazione di improcedibilità conseguente alla mancata richiesta di acquisizione del fascicolo d’ufficio delle fasi di merito.

9. Conclusivamente, il ricorso principale va rigettato (essendosi dato rilievo a cause di inammissibilità atipiche) quanto al primo ed al secondo motivo. Va accolto per quanto di ragione quanto al terzo ed al quarto, con la cassazione sul punto oggetto di accoglimento della sentenza impugnata e le decisioni nel merito di cui si detto sopra.

Il ricorso incidentale va rigettato (sempre per l’atipicità del rilievo di inammissibilità del motivo).

La cassazione parziale della sentenza di appello e la decisione nel merito, senza che si faccia luogo a rinvio comportano che si debba provvedere nuovamente sulle spese del giudizio di appello. Riguardo ad esse, l’accoglimento soltanto parziale dell’appello giustifica la compensazione integrale.

Le spese del giudizio di cassazione, stante l’accoglimento parziale del ricorso principale ed il rigetto dell’incidentale possono compensarsi per metà del loro ammontare, liquidato complessivamente in Euro seimiladuecento, di cui duecento per esborsi, di modo che parte resistete va condannata al pagamento della somma di Euro tremilacento, oltre le spese generali e gli accessori come per legge.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Rigetta il primo ed il secondo motivo del ricorso principale, nonchè il ricorso incidentale. Accoglie il terzo motivo e la prima censura del quarto motivo del ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata in relazione e, pronunciando nel merito compensa le spese del giudizio di primo grado e condanna il resistente G.A. a corrispondere alla s.n.c. Pizzeria Brek gli interessi legali dall’11 marzo 1998 alla data dell’effettivo pagamento, sulla somma riconosciuta dalla sentenza impugnata a titolo di indennità ai sensi della L. n. 392 del 1978, art. 34. Compensa le spese del giudizio di appello. Condanna il resistente alla rifusione alla ricorrente della metà delle spese del giudizio di cassazione, e, per l’effetto al pagamento della somma di Euro tremilacento, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 14 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2010

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