Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15357 del 28/06/2010

Cassazione civile sez. III, 28/06/2010, (ud. 27/04/2010, dep. 28/06/2010), n.15357

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FEDERICO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. D’AMICO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 19373/2009 proposto da:

C & C COMPANY DI PIERO CANTAGALLO & C SAS IN

LIQUIDAZIONE

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA C CORVISTERI

46, presso lo studio dell’avvocato CAVALIERE DOMENICO, rappresentata

e difesa dall’avvocato AMICARELLI GIUSEPPE con delega in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

D.G.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA LAURA MANTEGAZZA 24, presso il Sig. Cav. G.M.,

rappresentato e difeso da sè medesimo e dall’avvocato MASSIMO DI

PAOLO con delega in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 13587/2006 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, Terza Sezione Civile, emessa il 19/03/2003; depositata il

26/05/2008; R.G.N. 6972/2004;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/04/2010 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FEDERICO;

udito l’Avvocato AMICARELLI GIUSEPPE;

adito l’Avvocato DI GIUSEPPE ASCANIO;

udito il P.M. in persona dei Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Vittorio Eduardo che ha concluso per la inammissibilità

del ricorso.

Si osserva:

 

Fatto

IN FATTO ED IN DIRITTO

1. D.G.A. otteneva un decreto ingiuntivo per L. 5.200.000 nei confronti di Piermoda di Piero Cantagallo & C. per mancato pagamento di canoni di locazione dal maggio al dicembre 1989 e la società ingiunta proponeva opposizione deducendo che il rapporto era cessato dal 4.2.88 a seguito di cessione di azienda e contestuale sublocazione dell’immobile a favore della Giendgi s.r.l., la quale a sua volta aveva sublocato gli stessi locali a S. M. che aveva provveduto al pagamento dei canoni come da contratto, mentre il contratto stesso era venuto a scadenza l’1.6.88.

Il Tribunale di Pescara rigettava l’opposizione, ritenendo il primo cedente obbligato in solido anche nei riguardi dei successivi sublocatori.

La Corte d’appello de L’Aquila accoglieva il gravame proposto da C. &

C. Company di Piero Cantagallo s.a.s. (già Piermoda di Piero Cantagallo & C.) e revocava il decreto opposto, ritenendo l’obbligazione di cui all’ingiunzione opposta estinta per effetto del pagamento dei canoni da parte del S.: proposto ricorso per cassazione da parte del D.G., con sei motivi, la C. & C. Company resisteva con controricorso, mentre il ricorrente depositava anche una memoria, con sentenza depositata il 26.5.08 questa S.C. accoglieva il primo motivo del ricorso, dichiarando assorbiti gli altri, e cassava senza rinvio la sentenza impugnata, con la compensazione delle spese.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4 la C. & C. Company, affidandosi ad un unico motivo, mentre il D.G. ha resistito con controricorso.

Il ricorso è stato affidato alla stessa Sezione di questa S.C. che aveva pronunciato la sentenza n. 13587/2008 oggetto del gravame.

Nominato il relatore ex artt. 377 e 380 bis epe e fissata quindi l’adunanza in camera di consiglio per il 27.4.2010, entrambe le parti depositavano memoria nei termini di legge.

2. Con l’unico motivo la ricorrente denuncia l'”errore sulla supposta applicazione in primo grado del rito di cui all’art. 447 bis c.p.c., ovvero errore sulla supposta mancata applicazione del previgente rito ordinario; conseguente erronea applicazione dell’art. 434 c.p.c.”.

3. Va esaminata in via preliminare l’eccezione d’inammissibilità del ricorso, sollevata dal resistente, per la dedotta nullità della procura al difensore, rilasciata su un foglio aggiunto, senza però che esso formasse un corpo unico con il ricorso che precedeva.

Tale eccezione non è fondata.

In effetti, l’ultima pagina del ricorso, e cioè quella n. 10, non risulta riempita sino al suo ultimo rigo, anzi la sottoscrizione del difensore è stata apposta proprio a metà della pagina medesima.

Ma, come ha correttamente rilevato questa Corte con la sentenza n. 12332 del 27.05.2009, nessuna norma di legge prescrive che, ai fini della validità della procura rilasciata su foglio separato che sia però congiunto materialmente all’atto cui si riferisce, tale rilascio sia reso necessario dal totale riempimento dell’ultima pagina dell’atto cui accede, non essendo esclusa la congiunzione dalla presenza di spazi vuoti.

4. Passando ora all’esame del motivo di gravame, si rileva che, secondo quanto è stato esattamente eccepito in via subordinata da controparte in controricorso, la doglianza sollevata dalla ricorrente, ben lungi dal riguardare un errore di fatto nel quale sarebbe incorsa questa Corte, ha invece chiaramente ad oggetto la sussistenza di un errore di diritto, come del resto è, quanto meno indirettamente, dimostrato dal richiamo alla “erronea applicazione dell’art. 434 c.p.c.” che si legge a conclusione della formulazione della censura in esame.

Premesso che, a norma dell’art. 395 c.p.c., n. 4, l’errore di fatto che ha determinato la decisione deve risultare “dagli atti e documenti della causa” e che è stato autorevolmente ritenuto (Cass. civ. S.U., 10.8.2000, n. 561; sez. 3, 5.7.2004, n. 12238) che, quanto all’errore di fatto che può legittimare la richiesta di revocazione della sentenza di cassazione, esso deve riguardare gli atti “interni” al giudizio di legittimità (ossia quelli che la Corte deve, e può, esaminare direttamente con propria indagine di fatto all’interno dei motivi di ricorso) e deve incidere unicamente sulla sentenza di cassazione, si rileva che nel caso di specie la sentenza impugnata, nell’ambito della trattazione del primo motivo del ricorso per cassazione, si è correttamente limitata all’esame degli atti relativi alla notifica della sentenza di primo grado e alla data di deposito della copia notificata della citazione in appello (v. pag.

5) al fine di valutare la tempestività dell’appello secondo le norme del rito locatizio.

La sentenza gravata non fa affatto menzione dell’esame di altri documenti dai quali questa Corte avrebbe tratto il convincimento erroneo circa il rito processuale applicato nel giudizio di primo grado.

In altri termini, non può essere addebitato a questa Corte l’errore di aver ritenuto che il giudizio di primo grado, introdotto dinanzi al Tribunale di Pescara anteriormente alla novella legislativa istitutiva dell’art. 447 bis c.p.c., fosse stato disciplinato dal nuovo rito speciale locatizio, anzichè da quello ordinario, in quanto è pacifico che la sentenza impugnata non ha mai affermato che quel giudizio sia stato governato dal rito speciale di cui al citato art. 447 bis ne ha fatto esplicito riferimento ad atti o documenti dai. quali potesse aver tratto, anche implicitamente, tale convincimento.

Nessun elemento si evince dalla sentenza impugnata che possa far ritenere che nel caso di specie l’attività valutativa dei giudici di legittimità si sia fondata in concreto su tale erroneo presupposto.

In realtà, premesso che la sentenza impugnata dà come scontato il fatto che alle cause relative a locazione di immobili urbani si applichi il rito del lavoro ai sensi dell’art. 447 bis c.p.c., sembra indubbio che la ricorrente in revocazione censuri in effetti la statuizione secondo cui l’appello avrebbe dovuto essere proposto secondo il nuovo rito locatizio (introdotto, a partire dal 30.4.1995, dall’art. 447 bis c.p.c. per effetto della L. n. 253 del 1990, art. 70) e, quindi, mediante ricorso ovvero mediante anche citazione, purchè quest’ultima fosse stata depositata in cancelleria entro il termine di legge per l’appello.

E’ evidente, dunque, che la ricorrente viene in fà, modo a far valere non già un mero orrore di fatto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4), bensì un vero e proprio errore di diritto in cui sarebbe incorsa questa Corte, per avere essa ritenuto che nelle cause relative a locazione di immobili urbani si applicasse per l’appello il rito del lavoro, ai sensi dell’art. 447 bis c.p.c., con la conseguenza che, ove esso fosse stato preposto con citazione anzichè con ricorso (come verificatosi nella fattispecie), la relativa inammissibilità dei gravame sarebbe stata evitata solo nel caso in cui la citazione stessa tosse stata depositata entro il termine per la proposizione dell’appello medesimo.

Ne consegue che il motivo dedotto deve considerarsi inammissibile, mentre ricorrono giusti motivi per la compensazione tra le parti delle spese del giudizio ai revocazione, stante la difformità delle due decisioni di merito.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e compensa tra le parti le spese del giudizio di revocazione.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2010

 

 

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