Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15357 del 20/07/2020

Cassazione civile sez. trib., 20/07/2020, (ud. 17/09/2019, dep. 20/07/2020), n.15357

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6203-2015 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.V., elettivamente domiciliato in ROMA VIA CRESCENZIO

58, presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato SAVINA BOMBOI, giusta procura a

margine;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 951/2014 della COMM. TRIB. REG. di TORINO,

depositata il 25/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/09/2019 dal Consigliere Dott. LUCIO NAPOLITANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

TOMMASO BASILE che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato BOMBOI SAVINA che si riporta

agli scritti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 951/1/14, depositata il 25 luglio 2014, non notificata, la Commissione tributaria regionale (CTR) del Piemonte respinse l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del sig. G.V. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale (CTP) di Vercelli, che aveva accolto il ricorso del contribuente avverso avviso di accertamento con il quale l’Ufficio aveva recuperato a tassazione l’importo di Euro 1.558,46, per l’anno d’imposta 2007, per mancato versamento da parte del datore di lavoro ((OMISSIS) S.r.l. in fallimento), delle ritenute a titolo d’acconto operate per legge sulla retribuzione del G. (per IRPEF ed addizionale regionale).

Avverso la succitata sentenza l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui il contribuente resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria, con la quale ha chiesto altresì la condanna di controparte al risarcimento dei danni per responsabilità aggravata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto “pacifico” nella fattispecie in esame che le trattenute fossero state operate, ma non versate dal datore di lavoro sostituto d’imposta, esonerando il contribuente dall’onere della prova di darne compiuta dimostrazione mediante la produzione dei certificati di avvenuta trattenuta della ritenuta d’acconto.

2. Con il secondo motivo l’Amministrazione finanziaria ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 64, e del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 35, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, laddove la decisione impugnata ha escluso la sussistenza nella fattispecie in esame della solidarietà passiva del sostituito, quale in primo luogo conforme al tenore letterale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 35, ritenendo altresì che l’accoglimento della soluzione opposta avrebbe condotto alla violazione del principio della doppia imposizione.

3. Il primo motivo è infondato e va rigettato.

3.1. Va premesso, in generale, che questa Corte, nella definizione dei fatti di causa come pacifici, con conseguente esonero della parte che sarebbe stata tenuta a provarli dall’onere della prova ad essi relativa, fa riferimento non solo ai fatti esplicitamente ammessi dall’altra parte, ma anche a quei fatti rispetto ai quali detta parte, pur senza contestarli, abbia impostato la propria difesa su elementi ed argomenti incompatibili con il loro disconoscimento (cfr. Cass. sez. 2, ord. 7 maggio 2018, n. 10864; Cass. sez. 2, 13 ottobre 1999, n. 11513).

3.2. Orbene, come riportato dal contribuente in controricorso in ossequio al principio di autosufficienza, è nello stesso avviso di accertamento, che delimita l’ambito della pretesa impositiva dell’Amministrazione finanziaria, che viene dato espressamente atto delle ritenute IRPEF operate per Euro 1.454,00, dal datore di lavoro, che aveva poi omesso il relativo versamento.

3.3. Ne consegue che è corretta la qualificazione come pacifiche di dette circostanze fattuali, perchè poste dalla stessa Amministrazione a fondamento del recupero a tassazione nei confronti del contribuente, sul presupposto che anche nei confronti di quest’ultimo dovesse configurarsi ab origine l’obbligazione solidale nei confronti del fisco.

3.4. D’altronde questa Corte ha chiarito che, ai fini dello scomputo della ritenuta d’acconto, secondo il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 22, (TUIR), l’omessa esibizione del certificato del sostituto d’imposta attestante la ritenuta operata non preclude al contribuente sostituito di provare la ritenuta stessa con mezzi equipollenti, onde evitare un duplice prelievo (cfr. Cass. sez. 5, 17 luglio 2018, n. 18910; Cass. sez. 1, 4 agosto 1994, n. 7251).

3.4.1. In proposito va altresì rilevato come la stessa Amministrazione finanziaria, con la risoluzione n. 68/E del 19 marzo 2009, abbia chiarito che i propri Uffici – e quindi, a fortiori – i giudici tributari, possano apprezzare anche prove diverse dal certificato, ad esso equipollenti, che, nella fattispecie in esame, come correttamente rilevato dalla CTR, il contribuente era esonerato dal fornire, essendo pacifico, alla stregua della stesso contenuto dell’atto impositivo, che fossero state operate dal sostituto le ritenute d’acconto, poi da quest’ultimo non versate.

4. Peraltro – venendo quindi all’esame del secondo motivo – le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. SU 12 aprile 2019, n. 10378) hanno di recente, a composizione di contrasto, affermato il principio di diritto secondo cui “Nel caso in cui il sostituto ometta di versare le somme, per le quali ha però operato le ritenute d’acconto, il sostituito non è tenuto in solido in sede di riscossione, atteso che la responsabilità solidale prevista dal D.P.R. cit., art. 35, è espressamente condizionata alla circostanza che non siano state effettuate le ritenute”; ciò principalmente in ragione del fatto che nell’ipotesi di sostituzione del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 64, soggetto passivo d’imposta rimane il sostituito, mentre la relativa obbligazione è posta unicamente in capo al sostituto.

4.1. L’obbligo di versamento della ritenuta, come precisato dalle Sezioni Unite di questa Corte, deve pertanto configurarsi come obbligazione autonoma che la legge pone “a carico del sostituto a mezzo del D.P.R. n. 600 cit., art. 23, ss., e che trova la sua causa nel corrispondente obbligo di rivalsa stabilito dal D.P.R. n. 600 cit., art. 64, comma 1”, ponendosi detta lettura in modo coerente al tenore letterale del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 35, che prevede la sussistenza del vincolo solidale soltanto nell’ipotesi in cui le ritenute non siano state operate affatto.

4.2. Proprio la correlazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 64, che non distingue tra rivalsa nella sostituzione nell’imposta (cd. propria) o nell’acconto (cd. impropria), con il D.P.R. n. 602 del 1973, art. 35, consente di verificare la coerenza sistematica della lettura fattane dalle Sezioni Unite di questa Corte, con conseguente riaffermazione del principio di diritto dalle stesse affermato, come innanzi trascritto, dovendosi rilevare come, pur a fronte della rottura della solidarietà tra sostituito e sostituto nei confronti del fisco nel caso in cui, come nella fattispecie in esame, le ritenute d’acconto siano state operate ma non versate dal sostituto, non venga posta in crisi la legittimazione del sostituito come attore in senso sostanziale nelle cause di rimborso – problematica che esula comunque dalla presente controversia – che trova fondamento nella regola generale posta dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38, comma 2.

5. Il motivo deve essere pertanto rigettato, così come, per l’effetto, il ricorso dell’Agenzia delle Entrate alla stregua delle considerazioni che precedono.

6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con distrazione in favore dei difensori del controricorrente dichiaratisi anticipatari.

7. L’esistenza del rilevato contrasto di giurisprudenza in ordine alla questione di cui al secondo motivo di ricorso, solo recentemente composto dalle Sezioni Unite della Corte, implica l’insussistenza della proposizione del ricorso per cassazione da parte dell’Amministrazione finanziaria con mala fede o colpa grave.

A ciò consegue, pertanto, il rigetto della domanda di risarcimento danni ex art. 96 c.p.c., che il contribuente ha inteso proporre con la memoria depositata in atti.

8. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15%, esborsi, liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge, con attribuzione in favore dei difensori del controcorrente, per dichiarato anticipo fattone.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 luglio 2020

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