Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15356 del 03/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 03/06/2021), n.15356

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 33107-2019 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

R.G., rappresentato e difeso, per procura speciale in

calce ai controricorso, dagli avv.ti Giovanni SALVAGGIO e Giuseppe

GIARDINA, ed elettivamente domiciliato in Canicattì, al corso

Umborto I, n. 100, presso lo studio legale dei predetti difensori;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3067/12/2019 della Commissione tributaria

regionale della SICILIA, depositata il 21/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/03/2021 dal Consigliere Lucio LUCIOTTI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento ai fini delle II.DD., IVA ed IRAP emesso dall’Agenzia delle entrate nei confronti di R.G., imprenditore individuale operante nel settore del commercio delle carni, per recupero a tassazione dei costi relativi ad operazioni intercorse con la Bonfanti s.r.l. nell’anno d’imposta 2008, che l’amministrazione finanziarla riteneva soggettivamente inesistenti, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR accoglieva l’appello del contribuente ritenendo che nella specie l’Agenzia delle entrate non avesse adempiuto l’onere probatorio sulla medesima incombente circa la consapevolezza del contribuente di partecipare ad una frode, ritenendo insufficiente a tal fine la breve durata dell’attività commerciale svolta dal contribuente, quale unico elemento dedotto dall’amministrazione finanziaria.

2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione sulla base di un unico motivo, cui replica l’intimato con controricorso.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380-bis c.p.c., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il motivo di ricorso la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 54 e dell’artt. 2697, 2727 e 2729 c.p.c., sostenendo che la CTR aveva erroneamente addossato all’Ufficio l’onere di provare “la consapevolezza (effettiva)” della partecipazione del contribuente alla frode fiscale, “anzichè la sua conoscibilità”, ritenendo insufficiente a tal riguardo la breve durata dell’attività svolta dal R. (“dal 16.4.2008 al 31.12.2009”, come si legge nell’impugnata sentenza), che costituiva solo uno dei numerosi elementi indiziari emersi dalla verifica ed indicati nell’avviso di accertamento, che lasciavano fondatamente presumere che il contribuente sapeva o poteva sapere di partecipare ad un’operazione fraudolenta.

2. Il motivo è fondato e va accolto.

3. Premesso preliminarmente che nella specie si verte indubitabilmente in ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, come chiaramente specificato nell’avviso di accertamento riprodotto nelle sue parti essenziali nel ricorso in esame, va ricordato che, secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia, la circostanza che una operazione commerciale si inserisca in una fattispecie fraudolenta di evasione dell’IVA non comporta ineludibilmente la perdita, per il cessionario, del diritto di detrazione; è, infatti, configurabile un’esigenza di tutela della buona fede del soggetto passivo, il quale non può essere sanzionato, con il diniego del diritto di detrazione, se “non sapeva e non avrebbe potuto sapere che l’operazione interessata si collocava nell’ambito di un’evasione commessa dal fornitore o che un’altra operazione facente parte della catena delle cessioni, precedente o successiva a quella da detto soggetto passivo, era viziata da evasione dell’IVA” (Corte di Giustizia 6 luglio 2006, Kittel, C439/04 e C-440/04; Corte di Giustizia 21 giugno 2012, Mahagèben e David, C-80/11 e C-142/11; Corte di Giustizia 22 ottobre 2015, Ppuh, C-277/14).

3.1 A tale insegnamento si è conformata la giurisprudenza di questa Corte affermando che “In tema di IVA, l’Amministrazione finanziaria, se contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto onere istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 9851 del 20/04/2018 – Rv. 647837 – 01; conforme Sez. 5, Ordinanza n. 27555 del 30/10/2018 – Rv. 651004 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 27566 del 30/10/2018 – Rv. 651269 – 01).

3.2. Principio ribadito da questa Corte nell’ordinanza n. 5873 del 28/02/2019 (Rv. 653071 – 01) che, facendo espressa applicazione della citata giurisprudenza unionale, ha affermato che la prova gravante sull’amministrazione finanziaria possa essere fornita anche mediante presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, “come espressamente prevede, per VIVA, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2 (analoga previsione è contenuta, per le imposte dirette, nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 39, comma 1, lett. d)” (cfr. Cass. n. 21953/07, che fa riferimento alla possibilità che l’amministrazione produca elementi anche indiziari, a sostegno della pretesa fiscale azionata; Cass. n. 9108/12, Cass. n. 15741/12, che osserva con chiarezza – in motivazione – come costituisca principio di carattere generale che la prova dei fatti possa essere data anche mediante presunzioni).

3.3. Peraltro, la stessa Corte Europea ha mostrato di valorizzare appieno la prova indiziarla o presuntiva, affermando che la sussistenza di “indizi”, che consentano di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni nella sfera dell’emittente delle fatture, deve indurre l’operatore avveduto ad assumere informazioni sul soggetto dal quale intenda acquistare beni o servizi. In difetto, non potrà che essere escluso – per le ragioni suindicate – il diritto del medesimo alla detrazione di imposta (C. Giust. CE, 21.6.12, cit.)” (Cass. 14 dicembre 2012 n. 23078; Cass. 14 dicembre 2012 n. 23560; Cass. 24 maggio 2013 n. 12963).

3.4. Quanto agli elementi sintomatici della mancata esecuzione della prestazione dal fatturante e, conseguentemente, della consapevolezza del contribuente del carattere fraudolento dell’operazione commerciale, questa Corte ha affermato che possono rilevare a tal fine “l’assenza della minima dotazione personale e strumentale, l’immediatezza dei rapporti (cedente/prestatore fatturante interposto e cessionario/committente), una conclamata inidoneità allo svolgimento dell’attività economica e la non corrispondenza tra i cedenti e la società coinvolta nell’operazione” (Cass. n. 30148 del 2017).

4. Orbene, la sentenza impugnata è eccentrica rispetto alla sopra richiamata giurisprudenza unionale e di questa stessa Corte, in quanto omette ingiustificatamente di considerare gli elementi indiziari che l’amministrazione finanziaria aveva enunciato nell’avviso di accertamento, ovvero l’assenza di una sede legale della società fornitrice, di depositi e locali ove esercitare l’attività, l’assenza di lavoratori e/o collaboratori; elementi chiaramente sintomatici di evasione e/o frode fiscale, che la CTR avrebbe dovuto considerare quali indici di inesistenza delle operazioni commerciali accertate e trarne le ovvie conseguenze sia in tema di consapevolezza del contribuente che le operazioni invocate a fondamento del diritto a detrazione si inscrivevano in un’evasione o in una frode, sia in tema di onere probatorio, ponendo a carico del contribuente l’onere di provarne l’effettività.

5. La sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla competente CTR per nuova disamina della vicenda processuale, da effettuarsi alla stregua dei principi giurisprudenziali sopra citati, e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2021

 

 

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