Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15351 del 21/06/2017


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Cassazione civile, sez. III, 21/06/2017, (ud. 08/02/2017, dep.21/06/2017),  n. 15351

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25493/2014 proposto da:

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS) in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato ex lege in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per legge;

– ricorrente –

contro

EDILINDUSTRIA SRL, in persona della sua amministratrice unica e

legale rappresentante S.A., elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA FORTE DEL TIBURTINO 140, presso lo studio dell’avvocato

ALESSANDRA TOPINO, rappresentata e difesa dall’avvocato ERNESTO

MATARAZZO giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 619/2014 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 07/03/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/02/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA;

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

1. Il Ministero dell’Interno ha proposto ricorso per cassazione contro la s.r.l. Edilindustria, avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli del 7 marzo 2014, che ha rigettato l’appello proposto dal Ministero avverso la sentenza del Tribunale di Napoli del 5 giugno 2013.

1.1. Con tale sentenza il tribunale partenopeo, dopo avere riunito i giudizi separatamente introdotti:

a) rigettava la domanda, proposta dal Ministero dell’Interno con un giudizio introdotto nel febbraio del 2008, con la quale – sulla premessa che il Tribunale di Napoli, con sentenza del giugno del 2000 in grado d’appello, aveva dichiarato la cessazione alla data del 18 agosto 2002 della locazione corrente fra le parti riguardo ad un immobile, sito in (OMISSIS) e destinato ad uso di caserma dei vigili del fuoco – aveva domandato, adducendo che la locatrice aveva rifiutato di ricevere la consegna dell’immobile in data 29 marzo 2007, la declaratoria della validità ed efficacia della successiva offerta per intimazione, risultante da verbale dell’ufficiale giudiziario del 18 luglio 2007, e della liberazione dell’amministrazione dall’obbligazione nascente dalla sentenza;

b) accoglieva, invece, la domanda, introdotta dalla Edilindustria con domanda proposta nel luglio del 2009, per ottenere l’accertamento della legittimità del suo rifiuto di ricevere la restituzione dell’immobile locato, stante la sopravvenuta inutilizzabilità dello stesso a causa delle trasformazioni apportate dal conduttore, con conseguente condanna del Ministero al risarcimento del danno, oltre interessi legali, nonchè al pagamento dell’ulteriore somma per i canoni di locazione non corrisposti e interessi, con l’aggravio delle spese di giudizio.

2. La Corte partenopea, con la sentenza impugnata, ha integralmente rigettato l’appello, così disponendo:

a) il primo motivo d’appello veniva respinto perchè in parte inammissibile, sotto il profilo del richiamo a risultanze di una consulenza tecnica di parte riguardanti una questione nuova rispetto al thema decidendum; in parte, infondato, poichè ritenuta innegabile l’alterazione strutturale dell’edificio;

b) anche il secondo motivo veniva ritenuto infondato, nella misura in cui è legittimo il rifiuto del locatore di accettare la restituzione della cosa locata che risulti alterata nella sua destinazione; e inammissibile, per essere stata l’eccezione di compensazione delle somme versate in luogo del locatore per le spese di manutenzione ordinaria e straordinaria proposta per la prima volta in appello;

c) il terzo e ultimo motivo, volto a far dichiarare la validità dell’offerta dell’amministrazione e l’illegittimità del rifiuto del locatore alla restituzione del bene, veniva parimenti respinto.

3. Avverso il ricorso per cassazione, che prospetta due motivi, ha resistito con controricorso la società intimata.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale a norme dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, introdotto dal d.l. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, nella L. n. 197 del 2016.

Non sono state depositate memorie e conclusioni scritte.

Considerato che:

1. Con il primo motivo di ricorso si fa valere “vizio ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4: violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., e dell’art. 1590 c.c.”.

L’illustrazione inizia senza l’indicazione della parte di motivazione della sentenza impugnata che si intende criticare perchè sarebbe incorsa nel vizio. Si allude, infatti, ad una “eccezione di compensazione derivante da quanto evidenziato da parte degli Ingg. B.M. e C.D., depositata in forma di relazione sin dal primo grado” e si assume che essa non avrebbe potuto “considerarsi estranea al giudizio di secondo grado, dal momento che era parte di tutto il materiale cognitorio del giudizio di primo grado. Onde, ciò che da essa derivava doveva essere oggetto, (e così non è stato) della decisione di primo grado”. Quindi si asserisce che “questo i giudici di appello non hanno rilevato, ritenendo che l’eccezione di compensazione fosse ius novorum, perchè presentata per la prima volta in appello”.

Si deduce, poi, che la questione, in quanto afferente al reciproco comportamento delle parti, “non poteva che essere oggetto del contendere in una causa in cui si doveva decidere sulla legittimità del rifiuto opposto alla restituzione del bene da parte del locatore, il quale, al fine di far ciò, ha eccepito la violazione degli obblighi, da parte del locatario, di cui all’art. 1590 c.c.”.

Dopo la reiterazione di tale argomento (seconda metà della pagina 8), si evoca il principio di diritto di cui a Cass. n. 15764 del 2004 e si dice che il giudice d’appello avrebbe sbagliato “nel ritenere non ammissibile l’esame della relazione tecnica di parte in quanto da essa sarebbero emerse eccezioni proposte per la prima volta in appello, posto che siffatte eccezioni tali non erano in termine tecnico, ma erano una specificazione della domanda, tendente a far verificare al giudice la giustezza della medesima (legittimità o meno del rifiuto alla riconsegna)”.

Si deduce ancora che tanto riceverebbe conferma dal fatto che di fronte alla domanda proposta dal Ministero in ordine alla declaratoria di legittimità dell’offerta formale, la controparte non aveva avanzato una domanda riconvenzionale, ma proposto un giudizio autonomo, poi riunito, nell’ambito del quale risultava dedotto che la locatrice aveva rifiutato l’offerta per l’alterazione dello stato dell’immobile risultante da un accertamento tecnico preventivo, sicchè in relazione a detta domanda, una volta riuniti i giudizi, il Ministero aveva emendato la propria domanda “avanzando, con la relazione tecnica di parte, le proprie rimostranze in termini di inadempimento contrattuale”.

Si richiama, quindi, senza spiegarne in modo chiaro la pertinenza con la vicenda il principio di diritto di cui a Cass. n. 11774 del 2007 e quello di cui a Cass. n. 16685 del 2002, e, quindi si soggiunge che “i giudici di appello, pertanto, avrebbero dovuto dare ingresso, a differenza di quanto fatto dal tribunale, alla relazione di parte e ai suoi contenuti, decidendo in relazione a quanto in essa eccepito, che non rappresentava alcuna mutatio libelli”.

1.1. Il motivo è inammissibile.

La prima ragione di inammissibilità è che l’illustrazione, non solo non contiene una espressa individuazione della motivazione della sentenza impugnata che sarebbe oggetto di critica, ma nemmeno contiene una chiara sua individuazione in via indiretta, cioè attraverso espressioni riassuntive che permettano di identificare il decisum che si vuole criticare, e ciò anche valorizzando quanto indicato nell’esposizione sommaria dei fatti di causa a proposito delle ragioni del rigetto dell’appello.

Poichè il motivo di ricorso per cassazione, come ogni motivo di impugnazione, deve consistere in una critica alla motivazione della sentenza impugnata e, quindi, deve necessariamente individuarla o direttamente o almeno indirettamente, cioè con indicazioni che consentano alla Corte di cassazione di verificare quanto così individuato procedendo alla lettura della sentenza, la carenza di tale individuazione comporta la mancanza nel motivo della struttura stessa per considerarlo tale e si risolve in una carenza tale da integrare una sostanziale mancanza del motivo ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1.

1.2. Se si superasse tale rilievo di inammissibilità, peraltro, il motivo si paleserebbe ulteriormente inammissibile, in quanto carente della necessaria attività di indicazione specifica degli atti processuali su cui si fonda.

Invero, lamentandosi che la Corte territoriale si sia rifiutata di esaminare una prospettazione che invece avrebbe dovuto esaminare, occorreva individuare in modo preciso in quale atto ed in quale sede del giudizio di primo grado tale prospettazione era stata introdotta e con quali argomentazioni. In particolare, occorreva identificare l’atto in cui le emergenze della consulenza di parte, evidenzianti una situazione fattuale integrante l’inadempimento dell’Edilindustria agli obblighi di cui agli artt. 1575, 1576 e 1577 c.c., erano state fatte oggetto di attività di allegazione deducente tale inadempimento, non essendo certo possibile nel giudizio civile che una prospettazione difensiva della parte diretta ad evidenziare un inadempimento contrattuale possa entrare nel processo tramite le argomentazioni svolte dal consulente di parte, poichè tali argomentazioni possono solo fornire gli elementi che debbono poi essere qualificati in iure dal difensore della parte come evidenziatori del detto inadempimento.

Nessuna indicazione in proposito risulta fornita nell’illustrazione del motivo. E nemmeno risulta fornita l’indicazione del come e del dove la prospettazione fosse stata mantenuta fino all’atto della decisione del primo giudice, sì che esso ne fosse stato investito.

1.3. D’altro canto, se anche si volesse ritenere, seguendo l’implicazione dell’argomentare dell’illustrazione del motivo, che a far entrare nel thema dedendum l’eccezione di inadempimento de qua fossero state sufficienti le risultanze della consulenza di parte, si dovrebbe comunque prendere atto che in detta illustrazione non solo non si indica se e dove detta relazione sia stata prodotta in questo giudizio di legittimità, in modo da poter essere esaminata, ma nemmeno si riproducono nè direttamente nè indirettamente, con individuazione della parte in cui nell’atto l’indiretta riproduzione troverebbe riscontro, i contenuti della relazione di consulenza che avrebbero evidenziato l’eccezione di inadempimento.

Mentre, se pure si seguisse l’assunto dell’illustrazione del motivo che vorrebbe apprezzabile la situazione integrante inadempimento d’ufficio dai giudici di merito ivi compresa la corte territoriale e, dunque, non soggetta alla preclusione di cui all’art. 345 c.p.c., la carenza di indicazione specifica appena indicata colpirebbe anche tale prospettazione, quando avesse validità.

Le indicazioni di cui si è detto erano imposte dall’art. 366 c.p.c., n. 6, norma che costituisce il precipitato normativo del c.d. principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione (Cass. n. 7455 del 2013), la cui violazione è stata evocata dalla resistente, ed erano necessarie giusta consolidata giurisprudenza della Corte (a partire da Cass. (ord.) n. 22308 del 2008 e Cass. sez. un. n. 28547 del 2008; adde: Cass. n. 15628 del 2009; Cass. sez. un. n. 7161 del 2010; Cass. sez. un. n. 16887 del 2013; per la sottolineatura che l’art. 366 c.p.c., n. 6, deve essere osservato anche per l’indicazione specifica degli atti processuali in quanto fondanti un motivo di ricorso per cassazione, si veda Cass. sez. un. n. 22726 del 2011).

2. Con il secondo motivo si denuncia “vizio ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4: violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., e degli artt. 1575, 1576, 1577, 1241 e 1242 c.c.”.

Il motivo anche in questo caso non individua nè direttamente nè indirettamente la motivazione che vorrebbe sottoporre a critica ed ancora una volta non fornisce l’indicazione specifica ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti processuali su cui si fonda.

Infatti, la sua illustrazione esordisce alludendo ad un’eccezione di compensazione, ma omette di individuare come e dove essa fosse stata prospettata in primo grado e di riprodurre direttamente od indirettamente il contenuto della relativa attività di allegazione, di precisare come fosse stata decisa dal primo giudice e, quindi, in che termini ne fosse stato investito il giudice d’appello.

Dette carenze di indicazione specifica sono ancora più rilevanti, atteso che nell’illustrazione si prospetta un problema di qualificazione della compensazione come impropria anzichè come propria, che avrebbe richiesto necessariamente l’individuazione dei termini in cui la relativa prospettazione era stata introdotta e si era articolata.

Si aggiunga che nuovamente si evocano e risultanze della consulenza tecnica di parte ancora una volta in carenza di indicazione specifica del relativo atto processuale.

Il tenore dell’argomentazione svolta nel motivo, là dove postula che la corte territoriale avrebbe errato nel non dare ingresso ad un’eccezione di compensazione impropria risulta da un lato privo di qualsivoglia riferimento alla motivazione con cui la corte territoriale avrebbe commesso l’errore, dato che essa non si evoca nè direttamente nè indirettamente; dall’altro articolato senza il rispetto dell’onere di indicazione specifica di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6.

Il motivo sarebbe, pertanto, in forte predicato di inammissibilità per la duplice ragione ora indicata, che rende del tutto astratta l’argomentazione che nella specie ricorresse un caso di c.d. compensazione impropria, la cui invocazione in appello non costituisse un novum vietato.

2.1. Peraltro, ove si procedesse alla lettura della sentenza impugnata e si ricercasse in essa una parte di motivazione evocativa di una questione di compensazione, si dovrebbe rilevare che la corte territoriale ha, in primo luogo, alluso ad un’eccezione di compensazione per somme sopportate dal Ministero in ragione dell’inadempienza della locatrice all’obbligazione di manutenzione ordinaria e straordinaria dell’immobile e l’ha reputata inammissibile perchè proposta per la prima volta in appello, rilevando che con l’atto di citazione l’Amministrazione non aveva fatto riferimento alle dette somme.

Sicchè, la Corte territoriale ha rilevato che era stata carente la stessa allegazione dei fatti evidenziatori della sopportazione delle dette somme e, per smentire tale assunto, occorreva appunto indicare che, invece, tale attività di allegazione vi era stata e precisare come e dove si fosse articolata.

Dovendosi rilevare che, pur nella prospettazione della natura impropria della compensazione e, dunque, per quello che si comprende dal tenore del motivo, dell’esistenza di una sua rilevabilità d’ufficio in appello, in ogni caso tale rilevabilità sarebbe stata possibile solo se i fatti giustificativi dell’eccezione di compensazione fossero stati introdotti già in primo grado, atteso che, quando l’art. 345 c.p.c., comma 2, allude alla proponibilità di nuove eccezioni rilevabili d’ufficio nel rito ordinario non rende legittima l’attività di introduzione in appello dei fatti integratori dell’eccezione rilevabile d’ufficio, ma solo l’attività di rilevazione dell’efficacia di essi in quanto già introdotti il primo grado e considerato, peraltro, che nel rito locativo, in cui i giudizi riuniti introdotti con il rito ordinario vennero trasformati, anche la stessa attività di rilevazione in tal senso è vietata (in termini Cass. sez. un. n. 11830 del 2013). Sicchè, quando pure l’allegazione dei fatti giustificativi fosse stata effettuata in primo grado, cosa negata dalla sentenza impugnata, essa, secondo il rito locativo, nemmeno avrebbe potuto legittimare la loro rilevazione a seguito della pretesa eccezione di c.d. compensazione impropria.

Non solo: la sentenza dice anche che in ogni caso le somme il cui versamento sarebbe stato a suo dire allegato solo in appello nemmeno risultavano provate.

Ed il motivo di tanto si disinteressa.

Il motivo, pertanto, non merita accoglimento.

3. Con un terzo motivo si denuncia “vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione degli artt. 1590 e 1591 c.c.”.

Il motivo resta assorbito dalla sorte dei primi due, perchè censura l’erroneità della statuizione della sentenza di conferma della condanna al “pagamento risarcitorio dei canoni per il periodo aprile 2007-giugno 2013”, come conseguenza del loro accoglimento.

In realtà, la proposizione del motivo risultava inutile, in quanto è palese che quella statuizione, in quanto dipendente da quelle che censurate con i primi due motivi, ove essi fossero stati accolti sarebbe stata caducata ai sensi dell’art. 336 c.p.c., comma 1.

4. L’inammissibilità dei primi due motivi e l’assorbimento del terzo rendono il ricorso inammissibile.

5. Nulla è dovuto per le spese del giudizio di cassazione, giacchè il controricorso venne notificato tardivamente.

Il Ministero ha provveduto a notificare il ricorso sia presso il difensore costituito nel giudizio di appello, Avvocato Matarazzo, sia presso il domiciliatario per tale indicato sia quanto allo stesso difensore, sia quanto alla parte. L’Avvocato Matarazzo esercitava extra districtum e, quindi, la sua domiciliazione valeva ai sensi dell’art. 82 della L.P..

Ora, è certamente vero che la notificazione presso il domiciliatario era quella possibile per attivare il contraddittorio, ma ciò non toglie che, trattandosi di agevolazione per l’esercente il diritto di impugnazione, la notificazione al difensore domiciliato è stata certamente idonea a dispiegare i suoi effetti. Ne segue che il termine per la proposizione del controricorso decorse dalla notificazione all’Avvocato Matarazzo, con la conseguenza che detta proposizione, essendosi la notifica del ricorso perfezionata il 27 ottobre 2014, data in cui il plico indirizzato al medesimo venne ricevuto dal portiere dello stabile, fu tardiva, essendo avvenuta l’11 dicembre 2014.

Il principio di diritto che viene in rilievo è il seguente: “qualora la notificazione del ricorso per cassazione ad un difensore agente extra districtum in appello, che abbia eletto domicilio in quel giudizio venga effettuata sia presso il suo studio, pur allocato extra districtum, sia presso il domiciliatario, il termine per la notificazione del controricorso decorre dalla prima notificazione se anteriore”.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 8 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2017

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