Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15350 del 21/06/2017

Cassazione civile, sez. III, 21/06/2017, (ud. 08/02/2017, dep.21/06/2017),  n. 15350

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19006/2015 proposto da:

DITTA N.A. in persona del titolare omonimo, domiciliato ex

lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato VITTORIO ZUCCONI giusta procura

speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

G.G.N., elettivamente domiciliato in ROMA, V. GRAMSCI

22, presso lo studio dell’avvocato GIANLUIGI IANNETTI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato MICHELE DRAGHETTI

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2430/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 17/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/02/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

1. La Ditta A.N. ha proposto ricorso per cassazione contro G.G.N., avverso la sentenza del 17 dicembre 2014 della Corte d’Appello di Bologna, che ha confermato la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Bologna del 18 luglio 2013.

1.1. Quella sentenza aveva provveduto sul giudizio introdotto dal N. col ricorso in opposizione ad un decreto ingiuntivo, ottenuto dal G. nei suoi confronti, per canoni non corrisposti relativi a tre locazioni. Il ricorrente, a sostegno dell’opposizione, aveva eccepito in compensazione crediti di importo superiore al credito azionato in via monitoria, spiegando altresì domanda riconvenzionale di condanna del locatore al pagamento di tale somma ulteriore, corrispondente all’ammontare speso per le opere di miglioramento e ristrutturazione da parte del conduttore N..

1.2. Il locatore G. sosteneva l’infondatezza dell’opposizione, sulla base della pattuizione contrattuale, che avrebbe escluso il rimborso delle spese sostenute dal conduttore per i lavori eseguiti.

All’esito dell’istruzione della lite, il Tribunale rigettava l’opposizione al decreto ingiuntivo e la domanda riconvenzionale e di compensazione dell’opponente.

2. La sentenza del Tribunale felsineo veniva appellata dalla ricorrente e la Corte d’Appello di Bologna, con la sentenza impugnata con il ricorso in esame, ha rigettato l’appello.

3. Al ricorso per cassazione ha resistito con controricorso il N.. Considerato che:

1. Con il primo motivo di ricorso si fa valere “violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., e degli artt. 112 e 277, richiamato dagli artt. 359 e 663 c.p.c. – art. 360c.p.c., n. 3”.

Con tale motivo si censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che, in conseguenza della mancata opposizione alla convalida di sfratto per morosità richiesta dal locatore, dovesse reputarsi preclusa, dalla formazione della cosa giudicata sulla risoluzione per inadempimento all’obbligazione di pagamento dei canoni, la possibilità della ricorrente di far valere, in compensazione con il credito azionato monitoriamente per i canoni stessi, il controcredito per opere eseguite sull’immobile locato.

Con un secondo motivo si prospetta “violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e seguenti, facenti parte del capo IV, Titolo II, del Libro IV del c.c., dell’art. 1341 c.c., dell’art. 469 c.c., e dell’art. 112 c.p.c.. Omesso esame su un punto decisivo – art. 360, nn. 3 e 5”.

Questo secondo motivo risulta, pur nella confusione della sua struttura argomentativa, diretto contro l’ulteriore motivazione, aggiuntiva e concorrente con quella fondata sul giudicato, con cui la Corte territoriale ha disatteso l’appello condividendo la motivazione della primo giudice, là dove aveva escluso la sussistenza del preteso controcredito, in quanto secondo il tenore delle pattuizioni contrattuali i costi per l’esecuzione dei lavori risultavano da scomputare dai canoni locativi dovuti.

2. Il carattere alternativo delle due motivazioni rese dalla sentenza impugnate ed oggetto dei due motivi implica che la sentenza potrebbe essere utilmente cassata solo se entrambe si rivelassero errate e, dunque, solo se fossero accolti sia il primo che il secondo motivo.

Il Collegio rileva che, alla stregua del criterio di decisione della questione più liquida (Cass. sez. un. n. 9936 del 2014), la lettura del secondo motivo palesa un’evidente sua inammissibilità per plurime ragioni, sicchè, per effetto di essa, risulta consolidata la seconda motivazione enunciata dalla sentenza impugnata. Con la conseguenza che inutile diventa lo scrutinio del primo motivo, perchè, se anche esso fosse fondato – come sarebbe, atteso che la corte felsinea ha ignorato l’art. 669 c.p.c. – non potrebbe giustificarsi la cassazione della sentenza sul punto in cui ha deciso con la sua doppia motivazione sulla domanda di compensazione. Il consolidamento della motivazione basata sulla negazione del controcredito, infatti, determinerebbe l’irrilevanza della motivazione basata sulla cosa giudicata.

3. Ora, il secondo motivo si presenta inammissibile per le seguenti ragioni.

La doglianza di violazione dell’art. 112 c.p.c., che, di contro all’ordine dell’intestazione del motivo, viene argomentata per prima è assolutamente priva del minimum che consenta di comprendere perchè sarebbe stato violato quel paradigma, cioè perchè il giudice non si sarebbe pronunciato su tutta la domanda. Ed anzi nell’esposizione con cui la violazione dovrebbe argomentarsi si dice, contraddicendo la tesi della violazione, che “il giudice d’appello, senza discostarsi formalmente dalla ragioni di reiezione della domanda esposte nella motivazione del tribunale, ha rigettato l’impugnazione… sul presupposto espressamente richiamato che la domanda fosse tesa alla “traduzione in termini monetari della riduzione del canone non fruita””: in tal modo è palese che la stessa ricorrente postula che la domanda di compensazione sia stata decisa e tanto evidenzia la formale e sostanziale mancanza del motivo ai sensi dell’art. 112 c.p.c..

4. Conforme alla sua intestazione il motivo dovrebbe poi illustrare la violazione dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. e ss., e dell’art. 1341 c.c., nonchè del’art. 1469 c.c., ma le argomentazioni svolte si fondano, evidentemente, sul contenuto della pattuizione contrattuale, che, secondo la Corte territoriale ed anche il primo giudice avrebbero giustificato che il costo sopportato per l’esecuzione di opere sull’immobile non potesse configurarsi come un controcredito, ma solo a scomputo dei canoni per il periodo iniziale della locazione.

Senonchè, riguardo a detto contenuto nè nell’illustrazione del motivo, nè nella pregressa lunga esposizione del fatto, parte ricorrente ha fornito l’indicazione specifica ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6, delle pattuizioni contrattuali.

Nella esposizione del fatto si fa riferimento a due contratti, l’uno indicato come “primo”, a data 23 marzo 2006, concernente un capannone, e l’altro indicato come secondo, ma non in senso cronologico, dato che, poi, lo si denomina come “primo” e lo si indica stipulato il 1 marzo 2004, relativo ad un ufficio-magazzino. Tali contratti si indicano genericamente il primo come “doc.9” ed il secondo come “doc. 10 del fascicolo di primo grado”.

Peraltro, a pagina 8, sempre nell’esposizione del fatto, nel riferire delle motivazioni della sentenza di primo grado, si fa riferimento, siccome indicate dal Tribunale come escludenti il diritto del conduttore a farsi rimborsare i costi dei lavori eseguiti, alla clausola 10 del contratto del giugno 2006 e ad una clausola 8 di un contratto del 13 agosto del 2008.

Successivamente, nel riferire del contenuto dell’atto di appello, si allude ad un “doc. 7” di parte opposta, che si definisce “fax o mail 23/7/2008” e ad un “doc. 10 bis”, nonchè nuovamente al “dc. 10”, e, quindi, nel riferire del primo motivo di appello, si riproduce la clausola n. 10 del “doc. 9”, ma solo in parte, dato che la riproduzione viene interrotta da puntini sospensivi (il tenore riprodotto è il seguente: “Il conduttore si impegna ad eseguire, a suo integrale carico, i lavori necessari per la finitura dei servizi igienici (rivestimenti e sanitari) degli impianti (elettrico, idro termo sanitario e di riscaldamento) e della pavimentazione, comprendenti gli allacciamenti e l’installazione dei contatori. Si intende che tutte le opere eseguite rimarranno di esclusiva proprietà del locatore. La parte locatrice dà il suo benestare ai lavori, tenendone conto nella determinazione delle condizioni generali del contratto…”).

Ora, tutti i documenti così evocati vengono indicati con il numero di produzione, ma, salvo per la prima indicazione del “doc. 10”, che viene accompagnato al riferimento al fascicolo di primo grado, senza alcuna individuazione della sede di produzione cui la numerazione si riferiva nel giudizio di merito e soprattutto, senza alcuna indicazione (nemmeno per il doc. 10) del se e dove tali documenti siano stati prodotti in questo giudizio di legittimità, onde poter essere esaminati da questa Corte.

La mancanza di localizzazione emerge anche là dove in chiusura del ricorso si è fatto, peraltro, riferimento alla produzione di un “fascicolo atti e documenti dei precedenti gradi di giudizio”.

Nessuna indicazione della riferibilità della numerazione relativa ai documenti si coglie nel senso di riferirla a tale fascicolo.

La Corte, dunque, non è messa in condizione di comprendere dove cercare i documenti cui l’esposizione del fatto fa riferimento e su cui si fonda il motivo quanto alle censura di violazione di norme sull’esegesi contrattuale. Documenti che nell’illustrazione sono quelli indicati con i numeri 9 (dato che esso si evoca quando si allude alla clausola 10 del primo contratto), 10 (dato che si fa riferimento alla clausola 8 del secondo contratto), 7, 10 bis.

Ne riesce vulnerato l’art. 366 c.p.c., n. 6, che imponeva alla ricorrente, come contenuto dell’onere di indicazione specifica da essa previsto, di localizzare i documenti fondanti il motivo sia nelle fasi di merito, sia e soprattutto in questo giudizio di legittimità.

La norma riesce, poi, vulnerata, anche perchè l’onere da essa previsto implicava la riproduzione dei contenuti dei documenti evocati e ciò o in modo diretto, oppure in modo indiretto, cioè attraverso un’esposizione riassuntiva, corredata dall’indicazione della parte dell’atto in cui l’indiretta riproduzione troverebbe corrispondenza.

Invece, solo della clausola 10 si è fatta riproduzione, ma, peraltro, parziale.

Le modalità di osservanza dell’onere dell’art. 366 c.p.c., n. 6, (norma che costituisce il c.d. precipitato normativo del principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso: Cass. n. 7455 del 2013) che risultano carenti sono ritenute necessarie dalla consolidata giurisprudenza della Corte (a partire da Cass. (ord.) n. 22308 del 2008 e Cass. sez. un. n. 28547 del 2008; adde ex multis: Cass. n. 15628 del 2009; Cass. sez. un. n. 7161 del 2010; Cass. sez. un. n. 16887 del 2013).

Tanto comporta l’inammissibilità del motivo quanto alla dedotta violazione delle norme di ermeneutica contrattuale.

5. Peraltro, tale inammissibilità si coglie anche sotto un ulteriore profilo.

Nell’illustrazione di tale violazione parte ricorrente si limita a lamentare la sua sussistenza evocando un passo della motivazione della sentenza impugnata e, quindi, assumendo che quanto in esso enunciato sarebbe “una affermazione apodittica che non consente di valutare da quali espressioni emerga in modo palese tale volontà o se la stessa sia stata ritenuta, avvalendosi dei criteri interpretativi di cui all’art. 1362 c.c., comma 2, o con ricorso alla buona fede di cui all’art. 1366 c.c., o, infine, con ricorso ai criteri residuali di cui all’art. 1371 c.c.”. Dopo di che si sostiene che si sarebbe inteso applicare l’art. 1469 c.c., norma in alcun modo evocata dalla corte territoriale.

5.1. In tal modo la prospettazione si limita ad addebitare alla sentenza di non avere fatto riferimenti espressi ai criteri ermeneutici, tra l’altro trascurando che essa ha dichiarato di condividere la motivazione del Tribunale, che potrebbe averli fatti.

Senonchè, quando si sostiene che un’esegesi di un disposto contrattuale sia stata errata sulla base dei criteri ermeneutici di cui all’art. 1362 c.c. e segg., la censura si deve articolare nella puntuale e precisa enunciazione delle ragioni per le quali l’esegesi ritenuta dal giudice di merito sarebbe stata errata e tale enunciazione deve, dunque, esporre per quale ragione il criterio che si assume violato risulterebbe male applicato dall’esegesi seguita dal giudice di merito. Ciò non è meno vero nell’ipotesi in cui formalmente il giudice di merito si sia astenuto nella sua motivazione dal fare espresso riferimento ad uno specifico criterio ermeneutico.

Non si può, dunque, dedurre, come ha fatto parte ricorrente, la violazione delle norme dell’art. 1362 c.c. e segg., semplicemente lamentando che la motivazione del giudice di merito ad esse non ha fatto riferimento e non ha spiegato quale di esse abbia seguito nell’enunciare la sua interpretazione.

E ciò a maggior ragione in un caso come quello presente, in cui la motivazione dichiara di condividere l’esegesi del primo giudice.

Tale condivisione avrebbe dovuto imporre alla ricorrente di evocare tale esegesi e le sue ragioni, mentre nulla al riguardo si dice nell’illustrazione del motivo.

6. Il Collegio rileva, inoltre, che il riferimento all’omesso esame di punto decisivo è evocativo del parametro non più applicabile dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

Comunque nell’illustrazione, se anche si valutasse il motivo alla stregua del nuovo art. 360 c.p.c., n. 5, non si coglie in alcun modo una censura ad esso riconducibile, secondo il significato che gli hanno assegnato Cass. sez. un. nn. 8053 e 8054 del 2014.

Il secondo motivo è, dunque, conclusivamente, dichiarato inammissibile e tanto rende assorbito l’esame de primo motivo.

7. Con un terzo motivo si denuncia “omesso esame del terzo motivo di appello. Ulteriore violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

L’illustrazione di questo motivo si esaurisce nella seguente affermazione: “il terzo motivo di gravame, proposto in via subordinata per la ipotesi di rigetto dei primi due motivi, non è stato neppure preso in esame. Anche sotto tale aspetto la sentenza è meritevole di cassazione”.

Nessuna individuazione si fa di quale fosse il tenore del terzo motivo.

Tuttavia, nell’esposizione del fatto, a pagina 22, trovasi enunciato che “con il terzo motivo di gravame veniva lamentata l’erronea pronunzia sulle spese, che la prima sentenza ha posto integralmente a carico dell’opponente, dimenticando le domande inizialmente proposte dall’opposto, aventi ad oggetto il versamento di Euro 50.000 per contanti oltre ad assegni per Euro 30.000,00, per complessive Euro 80.000, importo prossimo alla domanda dell’opponente, già al netto del’importo di cui al decreto, e trascurando, altresì, che tali domande vennero espressamente abbandonate dall’opposto solo a seguito di prova documentale offerta, unitamente alla memoria autorizzata, sulla infondatezza della pretesa riconvenzionale ora indicata”.

Ora, la sentenza impugnata effettivamente non contiene alcuna motivazione con cui si esamini questo motivo, ma ne contiene una finale che dice espressamente “assorbita ogni altra doglianza”.

Ne segue che non si potrebbe dire che vi sia stata un’omessa pronuncia su detto motivo ai sensi dell’art. 112 c.p.c., dato che la pronuncia di assorbimento esprimerebbe comunque una decisione sul motivo, che semmai sarebbe stata da criticare perchè errata.

La indicazione che si dà del motivo nell’esposizione del fatto, raccordata con l’assoluta scheletricità dell’attività argomentativa, non individua alcuna attività argomentativa idonea in iure a criticare la valutazione di assorbimento e, dunque, il motivo, se anche si apprezzasse, al di là dell’evocazione erronea del paradigma dell’art. 112 c.p.c., nel senso di una critica alla motivazione di assorbimento, risulterebbe del tutto carente in proposito e del tutto generico.

Il motivo è, pertanto, inammissibile.

4. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

PQM

 

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione al resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro seímilatrecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Terza Civile, il 8 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2017

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