Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15346 del 20/06/2017
Cassazione civile, sez. VI, 20/06/2017, (ud. 25/05/2017, dep.20/06/2017), n. 15346
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso per revocazione, iscritto al n. 9771/2015 R.G. proposto
da:
LUGIFIN S.R.L. – C.F. e P.I. (OMISSIS), in persona
dell’Amministratore Unico, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE
DELLE BELLE ARTI 7, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA
FERRANTI, rappresentata e difesa dagli avvocati GIANCARLO FAZI e
GIACOMO MARIA PERRI;
– ricorrente –
contro
B.P., BI.PI., A.M., in proprio e
quali eredi di B.C., elettivamente domiciliati in ROMA,
PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE,
rappresentati e difesi dall’avvocato MARIA CRISTINA OTTAVIANONI;
– controricorrenti –
e contro
P.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PANAMA, 58,
presso lo studio dell’avvocato LUIGI MEDUGNO, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato UBALDO LUCHETTI;
– controricorrente –
e contro
B.V.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 2083/2014 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,
depositata il 30/01/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del 25/05/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
che:
1. La Lugifin S.r.l. ha proposto ricorso per revocazione contro P.G., in proprio e quale erede di M.P., nonchè contro B.V., B.C., Bi.Pi., B.P. e A.M., tutti non costituiti nel precedente giudizio di cassazione, avverso la sentenza della Terza Sezione della Cassazione n. 2083 del 30 gennaio 2014.
2. P.G. nella duplice qualità da un lato e, dall’altro, Bi.Pi., B.P. e A.M., in proprio e nella qualità di eredi di B.C., hanno resistito con separati controricorsi.
3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta inammissibilità sotto distinti profili. Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati notificati agli avvocati delle parti.
4. Non sono state depositate memorie.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che:
1. Il Collegio condivide le valutazioni della proposta del relatore nel senso della inammissibilità del ricorso.
2. La revocazione proposta da Lugifin S.r.l. si fonda sull’assunto che alla Corte di Cassazione, nella sentenza qui impugnata, sarebbe sfuggito che la Lugifin aveva dedotto, quanto al primo motivo di ricorso ordinario della controparte “la inammissibilità ed infondatezza dello stesso” in ragione del formarsi in sede di giudizio di appello, per effetto di un’omessa impugnazione da parte sua in forma incidentale una statuizione del primo giudice, che aveva affermato “di dover escludere la configurabilità di un valido esercizio del diritto di prelazione”, nonchè affermato che “non possono essere esaminate le ragioni che hanno indotto la P. ad accettare condizioni più gravose… al fine di eludere le conseguenze della avvenuta decadenza della stessa dal diritto di prelazione”.
2.1. Il ricorso è inammissibile innanzitutto per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto il motivo di revocazione si fonda su un giudicato interno che si sarebbe formato sulla sentenza di primo grado, per mancanza di impugnazione incidentale della sentenza in appello, ma – pur riportando la parte della sentenza di primo grado la cui affermazione avrebbe dato luogo, in difetto di quella impugnazione, al giudicato – omette di indicare se e dove sia stata prodotta la detta sentenza in questo giudizio al fine del suo esame. Esame necessario per comprendere se il preteso giudicato potesse rinvenirsi nelle frasi che si sono riprodotte e si sono ricordate sopra. Fondandosi il ricorso sul tenore della sentenza di primo grado si doveva indicare, nel quadro del principio di cui all’art. 366, n. 6 citato, se e dove detta sentenza si sarebbe potuta esaminare, trattandosi di atto processuale fondante il ricorso per revocazione e considerato che detta norma è applicabile al ricorso per revocazione contro la sentenza della Corte di Cassazione, in ragione del disposto dell’art. 391-bis c.p.c., comma 1, che dice tale ricorso da proporsi ai sensi degli artt. 365 c.p.c. e segg..
2.2. In secondo luogo, la revocazione risulta inammissibilmente proposta perchè l’omessa percezione di un giudicato interno da parte della Corte di Cassazione non è deducibile come motivo di revocazione (Cass. (ord.) n. 30245 del 2011), non consistendo in un errore di fatto, ma, semmai, in un errore di diritto (in termini Cass. (ord) n. 13761 del 2014).
2.3. In terzo luogo si deve rilevare che, avendo la Corte d’appello risolto la questione insorta sulla prelazione sulla base del rilievo che essa era stata esercitata oltre il termine, tale rilievo, essendo la questione della tempestività della prelazione preliminare rispetto a quella della validità del suo esercizio, scrutinata ed esclusa dalla sentenza di primo grado, si concretò in una implicita negazione della formazione del preteso giudicato interno sulla mancanza di validità. Ne consegue che, rispetto ad essa, la qui ricorrente avrebbe dovuto, essendo stata vittoriosa nel giudizio di appello, proporre ricorso incidentale condizionato e non limitarsi ad una mera deduzione nel suo controricorso, come dice di aver fatto.
Sicchè l’ipotetica violazione del giudicato interno commessa dal giudice di appello con l’occuparsi della prelazione sotto il profilo della tempestività nonostante l’esclusione della sua validità era divenuta un vero e proprio error in procedendo di quel giudice a sua volta coperto da cosa giudicata interna, con la conseguenza che correttamente la sentenza qui impugnata se ne sarebbe disinteressata.
3. Il ricorso è, dunque, dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione a favore di entrambe le parti resistenti delle spese del giudizio di cassazione, liquidate sia a favore della P. sia a favore degli altri: resistenti congiuntamente, in euro seimila, oltre duecento per esborsi, le spese generali al 15% e gli accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 25 maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017