Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15344 del 17/07/2020

Cassazione civile sez. lav., 17/07/2020, (ud. 24/10/2019, dep. 17/07/2020), n.15344

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ANTONIO Enrica – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 11419-2014 proposto da:

M. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 18, presso lo

studio dell’avvocato SALVATORE DI PARDO, che la rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS),

in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore,

in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Società di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati

ANTONINO SGROI, GIUSEPPE MATANO, LELIO MARITATO, DE ROSE EMANUELE,

CARLA D’ALOISIO;

– controricorrenti –

e contro

EQUITALIA SUD S.P.A. (già S.R.T. S.P.A.);

– intimata –

Nonchè da:

S. GROUP S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL POPOLO 18,

presso lo studio dell’avvocato SALVATORE DI PARDO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente – ricorrente e incidentale –

contro

EQUITALIA SUD S.P.A. (già S.R.T. S.P.A.);

– intimata –

avverso la sentenza n. 267/2013 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 19/11/2013 r.g.n. 1450/2013;

LA CORTE, visti gli atti e sentito il consigliere relatore:

Fatto

RILEVA

che:

con sentenza del sei dicembre 2011 il giudice del lavoro di Campobasso, riuniti i procedimenti, rigettava le opposizioni proposte da M. s.n.c. di S.A. e da M. s.r.l. avverso le cartelle esattoriali, con le quali era stato loro ingiunto il pagamento dei contributi previdenziali, riferiti rispettivamente sino al (OMISSIS) e al periodo di tempo successivo, relativamente ai lavoratori in forza alla soc. cooperativa a r.l. TRUCK, per i quali l’I.N.P.S. riteneva violato il divieto d’intermediazione di manodopera in base ad accertamenti ispettivi;

entrambe le società opponenti appellavano con separati atti la suddetta pronuncia, quindi confermata dalla Corte d’Appello di Campobasso come da sentenza n. 267 in data 20 settembre – 19 novembre 2013 con il rigetto dei riuniti ricorsi, depositati il 15 febbraio 2012, condannando inoltre le appellanti al pagamento delle relative spese;

avverso la sentenza d’appello ha proposto ricorso per cassazione la S.r.l. M., in personale del suo l.r.p.t. sig. M.C. con atto del 12 maggio 2014, proposto anche nei confronti di S.R.T. S.p.a. e di EQUITALIA SUD S.p.a. (già S.R.T. S.p.a.) nonchè nei riguardi di M. S.n.c., affidato a nove motivi, cui ha resistito l’I.N.P.S., in proprio e quale procuratore speciale della società di cartolarizzazione dei crediti del medesimo Istituto, S.C.C.I. S.p.a., mediante controricorso, di cui è stata chiesta la notifica all’ufficiale giudiziario il 23 giugno 2014 (lunedì, ultimo giorno feriale utile, visto che la scadenza del giorno 21 capitava di sabato). Inoltre, S. GROUP S.p.a., in persona del suo l.r.p.t. S.G., già M. S.n.c. di S.A., ha proposto controricorso con ricorso incidentale adesivo in data 19 maggio 2014;

le società S.R.T. ed EQUITALIA SUD sono rimaste intimate. In seguito, la sola ricorrente M. S.r.l. ha depositato memoria illustrativa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

i motivi a sostegno del ricorso principale possono sintetizzarsi nei seguenti termini:

1. omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., n. 5, avuto riguardo a quanto dedotto con il primo motivo d’appello della stessa s. r. l., laddove era stato rappresentato che le circostanze di cui all’articolato mezzo di prova, confermate pienamente dai testi escussi, avevano dimostrato che il potere organizzativo, direttivo e disciplinare era stato effettivamente esercitato, nei confronti della M. TRUCK s. c. a. r. dal presidente della medesima società cooperativa oppure dal personale della stessa applicato all’ufficio logistico. Nonostante la specificità del motivo d’impugnazione, in effetti inerente ad una omessa pronuncia, la Corte d’Appello non aveva tenuto conto della doglianza, nè aveva valutato le deposizioni dei testi escussi, neppure chiarendo le ragioni per cui aveva ritenuto di prescindere completamente dagli esiti della espletata prova testimoniale;

2. ex art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4 con riferimento all’omessa valutazione delle prove;

3 (erroneamente indicato sub II). ex art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, laddove disattendendo immotivatamente uno specifico motivo d’appello la Corte territoriale non aveva nemmeno esaminato i contenuti dei verbali delle dichiarazioni rese dai lavoratori della M. TRUCK s.c.a r.l. ai funzionari dell’Ispettorato del lavoro, successivamente alla presentazione del ricorso introduttivo del giudizio, quindi depositati dalla società all’udienza del 4 dicembre 2008 (univoche dichiarazioni rese alle direzioni provinciali del lavoro competenti per territorio Campobasso, Benevento e Caserta -, tutte nel senso di confermare che l’organizzazione del lavoro e l’esercizio dei poteri direttivi e disciplinari competevano al presidente della Cooperativa e senza alcuna interferenza dei soggetti appaltanti);

4 (erroneamente indicato come III). ex art. 360 c.p.c., n. 4, nullità della sentenza per violazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, per omessa valutazione di quanto emerso dalle dichiarazioni di cui al precedente terzo motivo, in violazione altresì dell’art. 112 c.p.c.;

5 (erroneamente indicato come IV). ex art. 360 c.p.c., n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, non avendo, la Corte territoriale considerato i contenuti dello specifico motivo d’appello concernente il fatto che con verbale di ispezione straordinaria del Ministero dello Sviluppo Economico, depositato all’udienza del due dicembre 2010, era stata accertata piena operatività della società cooperativa M. TRUCK con esclusione di qualsiasi fenomeno d’intermediazione di manodopera;

6 (erroneamente con l’indicazione V). ex art. 360 c.p.c., n. 4, attesa la nullità della sentenza impugnata per violazione DELL’ART. 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, avuto riguardo alla omessa valutazione del suddetto verbale d’ispezione straordinaria depositato il 2 dicembre 2010, in violazione quindi pure dell’art. 112 c.p.c.;

7 (anche qui sussistendo l’erronea indicazione “VI”). ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1 (normativa abrogata dal 24 ottobre 2003), del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 e D.Lgs. n. 423 del 2001, art. 2 nonchè ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Infatti, secondo la ricorrente, il dato decisivo per verificare la legittimità di un appalto di servizi, laddove fosse ipotizzata una illecita intermediazione di manodopera, consisteva nell’accertare se la direzione tecnica, organizzativa e disciplinare del personale impiegato venga condotta dall’appaltatore ovvero dal committente, dovendosi escludere l’illegittimità dell’appalto allorquando l’appaltatore non si limiti alla mera erogazione della retribuzione ma provveda ad organizzare direttamente il lavoro. Nel caso in esame, quindi, la Corte distrettuale aveva erroneamente applicato la succitata normativa, anche per aver tralasciato prove di grande rilevanza, non avendo considerato che l’organizzazione del lavoro era effettivamente in mano alla società cooperativa, senza condizionamenti al riguardo da parte committente. In tal modo la Corte d’Appello sarebbe potuta pervenire alle stesse conclusioni cui erano giunte nella medesima fattispecie la giustizia penale e quella tributaria. Per contro, nella sentenza impugnata erano presenti deduzioni illogiche e che valorizzavano ingiustamente ed immotivatamente talune circostanze del tutto marginali ai fini della decisione, come tra l’altro erroneamente ritenuto riguardo all’unicità della sede per le tre società. Peraltro, se non fosse stata illogicamente ritenuta superflua la prova per testi e tutte le altre prove raccolte in giudizio, sarebbe stato agevole verificare che la Cooperativa si occupava proprio dell’organizzazione della prestazione tramite le direttive ricevute da presidente e dall’ufficio logistico. Nè si comprendeva su quali basi la Corte distrettuale avesse ritenuto la cooperativa impossidente e costantemente nella posizione di non rischiare neppure un centesimo e neanche quali garanzie e pagamenti di penali la stessa non sarebbe stata in grado di eseguire. Nemmeno l’I.N.P.S., poi, aveva mai parlato di agevolazioni previdenziali, visto altresì che il D.Lgs. n. 423 del 2001 aveva riformato il previgente sistema contributivo per le cooperative, prevedendo una piena equiparazione della contribuzione dei soci lavoratori con quella dei lavoratori dipendenti. Inoltre, la Corte territoriale aveva omesso di considerare che la società appaltatrice non aveva mai svolto attività di autotrasporto per conto terzi, in quanto eseguiva soltanto prestazioni di servizio a favore dei soggetti committenti, ciò che aveva indotto a pretendere l’esistenza di dotazioni di beni – autocarri e immobili – che non sarebbero stati esigibili se fosse stata considerata l’attività di semplice servizio in favore di altre imprese. La motivazione della sentenza impugnata, in merito all’apprezzamento delle precedenti pronunce penali e tributaria risultava altresì affetta da illogicità manifesta, con conseguente violazione di legge, per aver ritenuto che la stessa esistenza di contenziosi penali e tributari, avviati a seguito del verbale dell’I.N.P.S., dimostrasse estrema commistione di ruoli, senza invece considerare che detti contenzioso si erano tutti conclusi in senso favorevole agli incolpati e alle società ricorrenti;

8 (erroneamente indicato come “VII”), ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione dell’art. 1655 c.c. e del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 per la parte in cui la sentenza impugnata aveva escluso il rischio d’impresa in capo alla società appaltatrice, donde la non genuinità degli appalti ottenuti, mentre, come dedotto con le precedenti censure, era stato chiarito e comprovato che l’appaltatore aveva dato luogo ad un’organizzazione autonoma, non limitata ai soli compiti di gestione amministrativa dei rapporti di lavoro, perchè si occupava anche della reale organizzazione della stessa prestazione, subendo altresì il rischio d’impresa relativo al servizio offerto, in quanto, come dimostrato dai documenti all’uopo allegati in primo grado (fattura del 30.4.2006 emessa da M. S.r.l. con amm.ne in (OMISSIS) nei confronti di M. Truck s.c. a r.l. (OMISSIS), relativa a nota di addebito per merce non consegnata ai clienti, ma presa in carico dalla destinataria, con riferimento a varie note di debito ivi elencate datate dal (OMISSIS) fino al (OMISSIS)) esso subiva l’addebito di penali in caso di mancata o erronea esecuzione del servizio fornito. Pertanto, erroneamente si era ritenuto che la gestione a proprio rischio dell’appaltatore dovesse intendersi come solvibilità effettiva patrimoniale dello stesso, addirittura sotto forma di garanzie, introducendo in tal modo un concetto puramente empirico e fattuale del tutto assente nelle previsioni normative;

9 (non già “VIII”), ex art. 360 c.p.c., n. 3 per violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. in relazione alle sentenze penali di assoluzione, pronunciate dal Tribunale Campobasso nn. 388 del 2009 e n. 70 del 2011 nei riguardi degli imputati S.C., G. e M., di modo che il giudicato penale di assoluzione doveva precludere la proposizione nel giudizio civile derivante dal medesimo fatto di una vicenda che postulasse l’esistenza di fatti invece esclusi in sede penale, donde la violazione del cit. art. 654, essendo la corte d’appello pervenuta alla ricostruzione di un fatto – l’asserita illecita intermediazione di manodopera, però espressamente escluso dal giudice penale, e nonostante lo specifico motivo d’appello sul punto, disatteso con la sorprendente affermazione della irrilevanza delle sentenze penali e tributaria, tanto meno vincolanti, ma pure avvaloranti l’estrema commistione di ruoli direttivi tra i tre soggetti giuridici;

la controricorrente – ricorrente incidentale in adesione a quanto richiesto con il ricorso principale e sulla scorta degli stessi motivi indicati a sostegno del medesimo ricorso ha chiesto anch’essa la cassazione dell’impugnata sentenza. Di conseguenza, va ribadito il principio affermato da Cass. I civ. con ordinanza n. 24155 del 13/10/2017 (conforme Cass. III civ. sent. n. 26505 del 17/12/2009), laddove si precisava che qualora un atto, anche se denominato controricorso, non contesti il ricorso principale, ma aderisca ad esso, deve qualificarsi come ricorso incidentale di tipo adesivo, con conseguente inapplicabilità dell’art. 334 c.p.c. in tema di impugnazione incidentale tardiva, ciò non escludendo tuttavia che nell’ipotesi di non contestazione del ricorso principale, quello incidentale possa contenere la richiesta di cassazione della sentenza impugnata per ragioni diverse da quelle fatte valere dal ricorrente in via principale, bastando in tal caso che il medesimo abbia rispettato per la sua proposizione il termine di cui all’art. 327 c.p.c., comma 1, (nella specie, invero, il ricorso di S. GROUP S.p.a., ex M. s.n.c. di M.A., non solo, come già accennato, non ha dedotto nuovi motivi, diversi dalla precedente impugnazione incidentale, ma comunque, risalendo al 19 maggio 2014, è tempestivo rispetto alla sentenza de qua, pubblicata il 19 novembre 2013, non notificata, sicchè vale il termine c.d. lungo, annuale, di cui al previgente testo dell’art. 327 c.p.c., comma 1, operando nella specie il regime transitorio di cui alla L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 1, avuto riguardo all’epoca di deposito dei ricorsi introduttivi dei giudizi, poi, riuniti, depositati il 24 marzo 2007 in opposizione alle cartelle esattoriali emesse a favore dell’istituto previdenziale, ente impositore, a loro volta fondate sulla scorta di verbali di accertamento ispettivi in data 27 settembre 2005). Peraltro, nonostante la notifica dell’anzidetto ricorso incidentale, l’I.N.P.S.-SCCI non ha fatto seguito con ulteriore controricorso;

si deve, altresì, precisare come nessuna delle censure delle anzidette impugnazioni abbia attinto specificamente all’argomentazione contenuta nell’ultima parte di pagina sei della sentenza qui impugnata: “E va da sè che non è il versamento eventualmente già effettuato da parte della M. Scarl a modificare la natura degli obblighi ricadenti sulle odierne appellanti in dipendenza delle decisioni sin qui motivate, in tal caso unicamente ponendosi una questione di regolazione delle reciproche obbligazioni sorte tra i soggetti dei singoli rapporti” (infatti, a pag. 3 della medesima sentenza nell’accennare alle doglianze mosse con i separati atti d’impugnazione si faceva riferimento anche ai versamenti da parte della M. TRUCK di tutti i dovuti contributi previdenziali poi richiesti in duplicato ad esse appellanti). Ne deriva, che in difetto di apposito motivo d’impugnazione sull’argomento questa Corte non deve, evidentemente, pronunciarsi sulla questione, coperta quindi dal giudicato interno così formatosi al riguardo;

tanto premesso, tutte le anzidette censure vanno disattese in forza delle seguenti ragioni, avuto soprattutto riguardo a quanto nel complesso con sufficiente motivazione (non inferiore al c.d. minimo costituzionale occorrente a norma dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., n. 4 e art. 118 disp. att. cit. codice di rito) accertato e valutato dalla Corte di merito, che tra l’altro non risulta aver trascurato alcuna decisiva circostanza fattuale ai fini della decisione. La sentenza impugnata, inoltre, conteneva ampi richiami alla gravata pronuncia di primo grado, pressochè integralmente condivisa, mentre il ricorso per cassazione risulta alquanto carente nelle allegazioni, anche per quanto concerne le argomentazioni svolte dal primo giudicante, però richieste a pena d’inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1 (tra l’altro non risultano nemmeno adeguatamente riprodotti i motivi dei gravami a suo tempo interposti dalle due società. Cfr. anche Cass. sez. un. civ. n. 7074 del 20/03/2017: in tema di ricorso per cassazione, ove la sentenza di appello sia motivata “per relationem” alla pronuncia di primo grado, al fine ritenere assolto l’onere ex art. 366 c.p.c., n. 6, occorre che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, nonchè le critiche ad essa mosse con l’atto di gravame, che è necessario individuare per evidenziare che, con la resa motivazione, il giudice di secondo grado ha, in realtà, eluso i suoi doveri motivazionali). Al riguardo, tra l’altro la sentenza de qua ha evidenziato le varie circostanze in base alle quali il giudice adito aveva ravvisato gli estremi della illecita intermediazione di manodopera, tra cui la mancanza di iscrizione (della società cooperativa) all’albo nazionale degli autotrasportatori e le dichiarazioni rese in sede ispettiva da tutti i lavoratori interessati, secondo cui essi erano stati diretti dai signori S.M., G. e C., l’ultimo dei quali, figlio di M., aveva ricoperto ruoli societari nelle sole M. s.n.c. (più precisamente “di S.A.”) e M. s.r.l.). La sentenza qui impugnata ha, inoltre, accennato ai motivi addotti a sostegno degli appelli: irrilevanza della mancata iscrizione, avendo la cooperativa svolto soltanto attività di servizio e non di trasporto; le menzionate sentenze penali di assoluzione passate in giudicato; la rilevanza della direzione tecnica, organizzativa e disciplinare del personale impiegato ai fini della legittimità dell’appalto di un servizio; la retribuzione dei lavoratori nei servizi appaltati da parte della sola cooperativa, cui gli stessi erano anche sotto il profilo disciplinare sottoposti; la previsione dai contratti di servizio di espresse penalità a carico dell’appaltatrice per le ipotesi di mancata o inesatta esecuzione del servizio; l’omessa considerazione da parte del primo giudicante delle deposizioni di numerosi testi e delle “dichiarazioni rese dai lavoratori in sede ispettiva” (queste ultime evidentemente diverse da quelle per contro considerate a supporto della decisione emessa dal Tribunale, verosimilmente quindi corrispondenti a quelle successivamente prodotte all’udienza del 4.12.2008, perciò posteriori all’originario accertamento ispettivo del 27 settembre 2005 ed anche ai ricorsi introduttivi di opposizione depositati il 24 marzo 2007). Il tutto con riferimento all’assenza di ogni interferenza dei soggetti appaltanti nell’organizzazione del lavoro gestita dall’appaltatrice, unitamente all’accertamento ispettivo del Ministero dello Sviluppo Economico, compendiato nel verbale in data 11 novembre 2009, nonchè al mancato esame delle sentenze penali di assoluzioni, dalle quali emergeva un’autonoma organizzazione della cooperativa, il cui presidente S.M. impartiva le direttive e organizzava i servizi ai soci lavoratori…conducenti per altre società proprietarie dei mezzi di trasporto, fornendo personale per il trasporto merci. Ed alle stesse conclusioni era pervenuta la Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso;

da tanto, quindi, ben si comprende come la Corte di merito abbia evidentemente considerato le circostanze di fatto, di cui invece le due ricorrenti assumono il mancato esame rilevante ex art. 360 c.p.c., n. 5, ovvero l’omessa motivazione con conseguente nullità della pronuncia ai sensi dell’art. 360, n. 4 cit. codice. La Corte d’Appello, infatti, giudicava infondate le anzidette impugnazioni, ritenendo per contro accertata, conformemente a quanto opinato dalla sentenza appellata, la negata credibilità della tesi difensiva dell’autonomia della cooperativa M. rispetto alle società appellanti. In proposito evidenziava, altresì, che la cooperativa risultava essere stata amministrata dall'(OMISSIS) da S.M. ed in precedenza da figlio di costui, G., quest’ultimo socio anche della M. s.r.l., di cui era amministratore suo fratello C., il quale a sua volta era socio della M. s.n.c. (di S.A.) unitamente al padre ( M.) e a G. (di M. e fratello di C.), succedutogli anche nella carica di amministratore. Inoltre, secondo quanto appurato dalla Corte di merito, la cooperativa non risultava aver mai avuto una sede legale e operativa distinta dalle due altre società della famiglia S. e aveva dismesso nel 2001 il suo unico automezzo, sebbene proprio da tale anno con variazione dell’oggetto sociale si sarebbe occupata anche di “autotrasporto merci per conto terzi”. Dall’esame del suo registro fatture non risultava che la cooperativa avesse mai avuto, per i periodi qui d’interesse, altre committenze diverse da quelle appaltate dalla s.n.c. e dalla s.r.l. per attività di trasporto. Sul punto, poi, la sentenza qui impugnata non mancava di rilevare che nella stessa menzionata pronuncia della commissione tributaria l’esistenza di altri clienti della cooperativa era stata desunta esclusivamente dalle dichiarazioni rese dal commercialista, laddove dell’unico contratto indicato come concluso con soggetti diversi si ignorava persino l’epoca di riferimento. Pertanto, era certo, in particolare, che i dipendenti della cooperativa avevano svolto il servizio di trasporto per conto delle sole società (s. n. c. e s.r.l.) M. e mai disponendo a tal fine di automezzi della medesima appaltatrice loro (formale) datrice di lavoro, e comunque mai potendo a quest’ultima far riferimento come uffici e/o direzione, fisicamente distinti da quelli delle due altre società. “La produzione, poi, da parte delle odierne appellanti, delle sentenze penali e tributaria avanti citate, se da un lato non apporta alla decisione della presente causa emergenze in sè rilevanti nè tanto meno vincolanti, dall’altro avvalora la conclusione della estrema commistione di ruoli direttivi tra i tre soggetti giuridici, da cui è da riconoscersi il giudizio di superfluità di qual si voglia prova orale affidata a dipendenti e collaboratori per dedurne l’autonomia strutturale, giuridica ed economica della scarl rispetto alle altre due società committenti”. Allora, tali essendo le relazioni tra ciascuna delle opponenti e la cooperativa, ricorrevano inequivoci elementi idonei a ricondurre alla M. TRUCK Scarl, quale unica ragione di esistenza giuridica, la gestione di manodopera da fornire, e di fatto fornita, alle altre due società del gruppo familiare S., per cui ben si attagliava alla fattispecie il principio di diritto fissato da Cass. lav. n. 6343 del 13/03/2013, secondo cui il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro previsto dalla L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1 (applicabile “ratione temporis”), in riferimento agli appalti “endoaziendali”, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di tutte le attività, ancorchè strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (conforme Cass. lav. n. 16016 del 19/07/2007). In base a tale principio, pertanto, la Corte di merito non riteneva di poter nemmeno immaginare in virtù ed in funzione di quale autonoma organizzazione la cooperativa M. TRUCK, nella prestazione di attività, quelle di autotrasporto – che evidentemente non potevano prescidere dai relativi mezzi – avrebbe mai potuto assicurarsi un risultato produttivo autonomo, in violazione pertanto del divieto di manodopera, all’uopo richiamando anche Cass. V civ. n. 13748 del 31/05/2013 (in tema di divieto di intermediazione di manodopera, ai sensi della L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 1, u.c., nel testo vigente “ratione temporis”, i prestatori di lavoro occupati in violazione di esso sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’imprenditore appaltante o interponente che ne abbia utilizzato effettivamente le prestazioni, ed al quale incombono, oltre che gli obblighi di trattamento economico e normativo scaturenti dal rapporto di lavoro, nonchè gli obblighi in materia di assicurazioni sociali, anche gli obblighi fiscali del datore di lavoro; ne consegue che a carico del medesimo soggetto, in ragione di detto rapporto, sussistono gli obblighi del sostituto d’imposta, di cui al D.P.R. 22 settembre 1973, n. 600, art. 23 per le ritenute d’acconto sulle retribuzioni. In senso conforme v. anche Cass. n. 3795 del 2013). Ed analogamente andava ritenuto in relazione al secondo arco di tempo, soggetto alla normativa di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, per tutto quanto sopra rilevato e considerato, in quanto l’assenza di rischio era risultata in capo alla società cooperativa (anche con riferimento alle eventuali penalità previste nei contratti con le due committenti), rendeva da sola dimostrazione insuperabile degli appalti ottenuti dalle due società (attuali ricorrenti), con l’unico risultato riscontrabile in atti della contribuzione previdenziale agevolata per i lavoratori dipendenti di società cooperativa; pertanto, alla stregua delle anzidette argomentazioni, ben si comprende come la Corte di merito abbia tenuto conto di tutte le circostanze di fatto risultanti dedotte da entrambe le società appellanti, ricostruendo la vicenda nei sensi di cui sopra, essenzialmente quindi con riferimento all’intreccio familiare e societario delle tre società (le anzidette relazioni tra ciascuna delle opponenti e la cooperativa), per cui in effetti quest’ultima si limitava a gestire formalmente il rapporto subordinato con i lavoratori risultanti alle sue dipendenze, ma assegnati per le loro abituali prestazioni esclusivamente alle due società, utilizzatrici, della famiglia S., dai cui membri venivano promiscuamente diretti, in base a contratti di appalto di servizi, dei quali per di più nulla di preciso hanno indicato ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 le attuali ricorrenti, nemmeno in ordine alle date delle loro stipule. Nè le ricorrenti hanno riportato, sia pur sinteticamente, l’accertamento ispettivo di cui al verbale in data 27 settembre 2005, soltanto appena menzionato, al quale per contro hanno fatto ampio riferimento le decisioni di merito di primo e secondo grado, anche per quanto concerne la suddetta contribuzione previdenziale agevolata, “riscontrabile in atti”. Ne derivano, altresì, palesi difetti di autosufficienza e di specificità del ricorso principale e del pedissequo ricorso incidentale adesivo, con conseguenti inammissibilità degli stessi, che non possono quindi ritualmente censurare in questa sede di legittimità quanto accertato in punto di fatto dai giudici di merito ed il relativo ragionamento decisorio. Nemmeno risulta compiutamente riprodotta l’ispezione straordinaria del M.I.S.E., di cui sono riportate in effetti le sole conclusioni, favorevoli al gruppo S.- M., mancandone tuttavia completamente le fonti, sicchè è assolutamente da escludersi la pubblica fede, cui altresì le ricorrenti accennano, pressochè in modo incidentale sul punto;

pertanto, vanno disattesi i primi sei (tra loro identici) motivi addotti a sostegno di entrambi i ricorsi;

parimenti dicasi per il settimo e l’ottavo, tra loro connessi e perciò esaminabili congiuntamente, laddove, una volta escluso l’omesso esame di fatti, in senso storico, rilevanti ai sensi del vigente art. 360 c.p.c., n. 5, risultando altresì inammissibile in questa sede una ricostruzione della vicenda in senso diverso da quello per contro accertato ed apprezzato dai precedenti giudici di merito, peraltro con motivazione non inferiore al minimo costituzionale occorrente in materia, avuto inoltre riguardo alle rilevate carenze di allegazioni (rigorosamente prescritte a pena d’inammissibilità dall’art. 366 codice di rito), sono quindi precluse altre questioni di fatto in ordine agli asseriti vizi denunciati ex art. 360 c.p.c., n. 3, per i quali rilevano esclusivamente questioni di diritto. Ed al riguardo, l’applicazione della normativa vigente in tema di intermediazione fittizia di manodopera e di relativi appalti illeciti risulta correttamente operata dalla Corte di merito, in base al principio di diritto affermato da Cass. lav. specialmente con la sentenza n. 27213/18 in data 14/02 – 26/10/2018, secondo cui il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro in riferimento agli appalti “endoaziendali”, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, opera tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore-datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo, nè una assunzione di rischio economico con effettivo assoggettamento dei propri dipendenti al potere direttivo e di controllo (v. invero le ampie e condivisibili motivazioni

della succitata pronuncia n. 27213/18: “…18. La L. n. 1369 del 1960 è stata espressamente abrogata dal D.Lgs. n. 296 del 2003, art. 85, comma 1, lett. c), entrato in vigore in data 24.10.2003. 19. In base al principio generale tempus regit actum, la L. n. 1369 del 1960 continua ad applicarsi alle fattispecie relative ai fatti dedotti in giudizio ricadenti R.G. n. 5023/2013 temporalmente nel periodo antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 276 del 2003, (Cass. n. 21818 del 2006). 20. Il D.Lgs. n. 276 del 2003, tuttavia, nel disciplinare diversamente la materia, non ha legittimato qualsiasi forma di interposizione nelle prestazioni di lavoro, con la conseguenza che ove questa si realizzi in violazione dei limiti e delle condizioni poste dagli artt. 20 e 21 stesso decreto, si riespande il divieto, immanente all’ordinamento, di dissociazione tra l’imputazione formale del rapporto di lavoro e l’utilizzazione della prestazione lavorativa, con diritto dei lavoratori di rivendicare direttamente nei confronti dell’utilizzatore la costituzione di un rapporto di natura subordinata, come riconosciuto dall’art. 27 del D.Lgs. citato….OMISSIS…

22. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 13184 del 2007; Cass. n. 886 del 2004), il vizio di violazione di legge deve, per regola generale, essere decisivo, ossia tale da comportare, se sussistente, una decisione diversa, favorevole al ricorrente. E’ pertanto necessario che il motivo di ricorso indichi non solo la regola che non va applicata al caso concreto, ma anche quella in concreto applicabile e l’idoneità di quest’ultima a determinare una decisione differente, favorevole all’impugnante; in difetto di tali requisiti, non è possibile apprezzare la decisività della censura e, dunque, l’interesse a proporla.

23. Sotto altro profilo, col primo motivo di ricorso si è dedotta come violazione di legge l’utilizzazione ad opera della Corte territoriale di indici non idonei a dimostrare l’esercizio da parte committente dei poteri di direzione, controllo e disciplinari sul personale dipendente dall’appaltatore.

24. Occorre al riguardo ribadire i confini del sindacato di legittimità sulla qualificazione del rapporto di lavoro operata dai giudici di merito, come tracciati da una consolidata giurisprudenza. E’ costante l’affermazione secondo cui, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, è censurabile in sede di legittimità soltanto la determinazione dei criteri generali e astratti da applicare al caso concreto, cioè l’individuazione del parametro normativo, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale incensurabile in detta sede se sorretto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici e giuridici, la valutazione delle risultanze processuali al fine della verifica di integrazione del parametro normativo, (cfr. Cass., n. 17009 del 2017; Cass., n. 9808 del 2011; Cass. n. 23455 del 2009; Cass., n. 13448 del 2003; Cass., n. 8254 del 2002; Cass., n. 14664 del 2001; Cass., n. 5960 del 1999). Tale principio può trovare applicazione anche in relazione alla fattispecie in esame.

5. Ancora, è utile richiamare la giurisprudenza formatasi in merito alla L. n. 1369 del 1960, vigente in relazione alla prima fase di esecuzione dei rapporti di lavoro. Questa Corte ha più volte affermato come il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro in riferimento agli appalti “endoaziendali”, caratterizzati dall’affidamento ad un appaltatore esterno di attività strettamente attinenti al complessivo ciclo produttivo del committente, operi tutte le volte in cui l’appaltatore metta a disposizione del committente una prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore – datore di lavoro i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (quali retribuzione, pianificazione delle ferie, assicurazione della continuità della prestazione), ma senza che da parte sua ci sia una reale organizzazione della prestazione stessa, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo (Cass. n. 5648 del 2009; Cass. n. 18281 del 2007; Cass. n. 14302 del 2002). 26. Si è precisato che “in tema di divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro occorre di volta in volta – al di là dell’ipotesi di presunzione di interposizione fittizia prevista dall’art. 1 cit., comma 3 (per il caso di fornitura all’appaltatore da parte del committente di capitale, macchine ed attrezzature) – procedere ad una dettagliata analisi di tutti gli elementi che caratterizzano il rapporto instaurato tra le parti allo scopo di accertare se l’impresa appaltatrice, assumendo su di sè il rischio economico dell’impresa, operi concretamente in condizioni di reale autonomia organizzativa e gestionale rispetto all’impresa committente; se sia provvista di una propria organizzazione d’impresa; se in concreto assuma su di sè l’alea economica insita nell’attività produttiva oggetto dell’appalto; infine se i lavoratori impiegati per il raggiungimento di tali risultati siano effettivamente diretti dall’appaltatore ed agiscano alle sue dipendenze”, (Cass., 18281 del 2007; Cass. n. 11957 del 2000). 27. L’assenza di quest’ultimo elemento, quindi l’assoggettamento dei dipendenti dello pseudo appaltatore al potere direttivo e di controllo dell’effettivo utilizzatore delle prestazioni lavorative costituisce, secondo quanto evidenziato in giurisprudenza, (Cass. n. 86431 del 2001, Cass. n. 3196 del 2000, Cass. n. 5087 del 99), uno degli indici principali dell’interposizione e, quindi della non genuinità dell’appalto. 28. Tanto premesso, ritiene la Corte che ferma la ratio legis che sottende la disciplina di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003 e l’autonomia e specificità degli istituti ivi previsti rispetto alle disposizioni previgenti abrogate, l’interprete può tutt’ora rinvenire nei principi sopra richiamati parametri significativi al fine della verifica della ricorrenza o meno di un contratto di appalto attraverso cui si intenda eludere le disposizioni che disciplinano il mercato del lavoro e, quindi, di una somministrazione irregolare di manodopera. Ciò, in particolare, tenendo conto che il D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 nell’indicare le peculiarità del contratto di appalto fa riferimento alla “organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonchè per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d’impresa”, e, dunque, naturalmente, nei limiti della persistenza, nelle disposizioni vigenti, di analoghi indici rivelatori della insussistenza di un contratto di appalto di opere e di servizi (Cass. n. 16515 del 2011).

29. Ciò comporta che l’analisi della fattispecie concreta in base ai parametri appena enunciati potrà ritenersi riferita ad entrambi i testi normativi che si sono succeduti prima e dopo il 24.10.2003, come peraltro è nell’impostazione del ricorso proposto dalla F., le cui censure non sono differenziate in base alla diversa legge applicabile ratione temporis.

37. Deve quindi escludersi che nell’utilizzare i criteri anzidetti la Corte territoriale abbia violato le disposizioni di legge elencate nel primo motivo di ricorso.

38. Non solo, la sentenza impugnata ha correttamente sottoposto gli elementi indiziari ad una valutazione complessiva, cogliendo solo dal significato unitario e convergente degli stessi la convinzione della illecita interposizione di manodopera realizzata. 39. Ciò in conformità alla giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto non plausibile, in relazione a fattispecie che presentino ambiguità, che la riconduzione del rapporto di lavoro all’uno o all’altro tipo contrattuale o, deve aggiungersi, al datore di lavoro formale o di fatto, possa essere fondata su elementi indiziari valutati singolarmente, essendo ciascuno di essi, di per sè considerato, inidoneo a costituire il criterio generale e astratto preordinato al suddetto risultato, (Cass., n. 9108 del 2012; Cass. S.U., n. 584 del 2008; Cass. n. 722 del 2007; Cass., n. 19894 del 2005; Cass., n. 13819 del 2003; Cass., S.U., n. 379 del 1999).

40. Al contrario, la F. ha fondato le proprie argomentazioni su una lettura non globale bensì atomistica degli indici sintomatici che sono, infatti, esaminati singolarmente e in tal modo privati della loro complessiva significatività, in contrasto con l’indirizzo consolidato di questa Corte in tema di prova per presunzioni.

41. Per le ragioni finora esposte, il primo motivo di ricorso deve giudicarsi infondato.

42. Col secondo motivo di ricorso la F. pretende di censurare ai sensi del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omesso esame della circostanza decisiva su chi esercitasse, nei confronti dei dipendenti C. impiegati nell’appalto, i poteri datoriali di direzione, controllo e disciplinare.

43. Il motivo è, anzitutto, inammissibile perchè privo di tutti i requisiti che, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053 del 2014), devono ricorrere in relazione al vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 nella nuova formulazione.

….47. Come precisato dalla S.U. nella sentenza n. 8053 del 2014, a seguito delle modifiche apportate al testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 dal D.L. n. 83 del 2012, convertito in. L. n. 134 del 2012, il sindacato di legittimità sulla motivazione deve considerarsi ridotto al minimo costituzionale. Con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, tanto da configurare un vizio così radicale da comportare la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, per mancanza di motivazione.

48. Come di recente ribadito dalle Sezioni Unite, (sentenza n. 22232 del 2016), “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture”.

49. Tale vizio non è riscontrabile nella sentenza in esame che ha specificamente analizzato il materiale probatorio, testimoniale e documentale, ed ha tratto dallo stesso una serie di indici sintomatici che, con un percorso logico rigoroso, ha valutato globalmente come gravi, precisi e concordanti nel senso della riconducibilità alla Federazione dell’organizzazione e direzione del lavoro dei dipendenti C..

50. Il quarto motivo di ricorso, se pure prospettato come violazione di legge, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, mira in realtà a provocare una rivisitazione dell’intero materiale probatorio, non possibile in questa sede in base alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nel testo applicabile ratione temporis.

51. Come più volte precisato da questa Corte (cfr. Cass. n. 11892 del 2016; Cass. n. 25029 del 2015; Cass. n. 25216 del 2014), la violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e art. 2697 c.c. può porsi, rispettivamente, ove il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti in cui ciò sia consentito dalla legge; abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi probatori soggetti invece a valutazione; abbia invertito gli oneri probatori. Nessuna di queste situazioni è rappresentata nel motivo di ricorso in esame ove è unicamente dedotto che il giudice ha fatto mal governo delle risultanze istruttorie. Nè appare dirimente il dato secondo cui C. sarebbe dotata di una propria ed effettiva organizzazione imprenditoriale nonchè di beni materiali, quali due stabilimenti in provincia di T., con uffici, impianti, personale, e di caveau per la conservazione dei documenti, in quanto elementi di contorno rispetto al tema centrale della fattispecie che investe le modalità concrete di esercizio della prestazione da parte dei dipendenti C. impiegati nell’appalto e l’individuazione del soggetto che ha esercitato i poteri di organizzazione e direzione degli stessi….”);

pertanto, le anzidette argomentazioni possono allo stesso modo valere per quanto concerne le doglianze di cui ai surriferiti motivi 7 e 8, avuto riguardo altresì agli accertamenti in punto di fatto operati dalla Corte di merito, di cui anche già detto;

inoltre, deve disattendersi l’ultimo motivo addotto a sostegno dei due ricorsi, circa la pretesa violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. con riferimento alle assoluzioni in sede penale di cui alle menzionate sentenze nn. 388/2009 e 70/2011, laddove, a parte la carenza di complete allegazioni in proposito occorrenti a norma dell’art. 366 c.p.c., neppure viene specificamente confutata, con l’indicazione di ogni elemento processuale necessario, l’argomentazione secondo la quale le anzidette pronunce non erano tanto meno vincolanti. Ed invero, posto che non risultano precisati gli estremi di rito da cui poter desumere con piena certezza e cognizione di causa gli asseriti giudicati penali, d’altro canto risulta unicamente riprodotto per intero il solo capo di imputazione relativo a S.C. per il r.p.p. dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 18, comma 2 perchè, quale legale rapp.nte della M. S.r.l. – socio amministratore dall'(OMISSIS) – ricorreva a manodopera fornita dalla M. TRUCK scarl che non era in possesso di alcuna autorizzazione a tale scopo ai sensi dell’art. 276/03, avendo in particolare ricevuto dalla M. TRUCK ed utilizzato nella propria attività di impresa i lavoratori nominativamente indicati per il numero di giornate lavorative e i periodi a fianco di ciascuno di essi indicati in (OMISSIS) dal primo marzo 2004 al 30 giugno 2007. Nè risulta che nei menzionati procedimenti penali sia intervenuto in qualche modo l’istituto previdenziale, attuale controricorrente;

di conseguenza, opera nella specie il principio secondo cui ai sensi dell’art. 654 c.p.p. nei giudizi civili o amministrativi non di danno (come per esempio quello di opposizione a ordinanza sanzionatoria di illecito amministrativo), il giudicato penale di assoluzione non è opponibile a soggetti, quale l’ente impositore, non intervenuti nel relativo processo (cfr. Cass. II civ. n. 11352 del 22/05/2014. V. altresì Cass. II civ. n. 4961 del 2/3/2010, secondo cui l’art. 654 c.p.p., diversamente dall’art. 652 cit. codice relativo ai giudizi civili di risarcimento del danno, esclude che possa avere efficacia in un successivo giudizio civile la sentenza penale di condanna o di assoluzione, con riferimento ai soggetti che non abbiano partecipato al giudizio penale, indipendentemente dalle ragioni di tale mancata partecipazione. Il suddetto art. 654, peraltro, esclude comunque l’efficacia in sede civile del giudicato penale di assoluzione ove i fatti oggetto del giudizio penale non siano sovrapponibili a quelli oggetto del processo civile. Cfr. parimenti Cass. lav. n. 17652 del 13/08/2007, secondo cui, quindi, nel giudizio relativo alla legittimità del licenziamento disciplinare, intimato ad un lavoratore sulla base di un fatto per il quale sia stata esercitata l’azione penale, il giudice civile non è vincolato dal giudicato penale ed è di conseguenza abilitato a procedere autonomamente alla valutazione del materiale probatorio acquisito al processo, nel caso di mancata partecipazione al giudizio penale del datore di lavoro, che pure era stato posto in condizione di farlo. Ed analogamente, secondo Cass. n. 17907 del 30/06/2008 nel procedimento di opposizione ad ordinanza ingiunzione della sanzione amministrativa per indebita percezione di aiuti comunitari, l’efficacia del giudicato penale di assoluzione del presunto trasgressore – nella specie per il reato di truffa aggravata – non può essere estesa, a norma dell’art. 654 c.p.p., nei confronti della pubblica amministrazione adottante il provvedimento sanzionatorio, la quale, non essendosi costituita nel giudizio penale, a questo non aveva partecipato);

peraltro, anche riguardo alla doglianza circa la pretesa violazione dell’art. 654 c.p.p., ed indipendentemente altresì dal profilo strettamente processuale inerente all’asserito conseguente effetto vincolante del giudicato penale (da escludersi per quanto sopra osservato, non rilevando del resto sul punto, ovviamente, la richiesta di parte volta alla sospensione a suo tempo avanzata ex art. 295 c.p.c.), va ancora rimarcato il difetto di autosufficienza dei ricorsi, che infatti si sono limitati soltanto a citare le menzionate sentenze penali e a riportare l’anzidetto capo d’imputazione, senza riprodurre quanto meno le parti salienti di tali pronunce, da cui poter desumere e comprendere il percorso argomentativo delle vantate assoluzioni in forza elementi probatori acquisiti in quelle diverse sedi processuali, però non enunciati appunto dalle ricorrenti;

pertanto, i due ricorsi vanno respinti, con conseguente condanna della sola ricorrente principale, soccombente, al rimborso delle relative spese a favore dell’I.N.P.S. (anche nella qualità di mandatario della società di cartolarizzazione), il cui controricorso è stato invero riferito esclusivamente alla M. S.r.l. (alla quale risulta notificato il 23 giugno 2014, oltre che all’agente per la riscossione per la provincia di Campobasso, EQUITALIA SUD S.p.a., già S.R.T. S.p.a., rimasta intimata, ma non anche alla S. Group S.p.a., già M. s.n.c. di S.A.), giusta la liquidazione di cui al seguente dispositivo (avuto riguardo, peraltro, al valore della controversia siccome desumibile dal prospetto riepilogativo I.N.P.S. per le irregolarità accertate nei riguardi della stessa M. S.r.l., integralmente allegato in copia ad entrambi i ricorsi);

infine, tenuto conto dell’esito negativo delle anzidette impugnazioni, sussistono i presupposti di legge relativi al versamento di ulteriori importi a titolo di contributo unificato.

PQM

la Corte RIGETTA entrambi i ricorsi. Condanna la ricorrente M. S.r.l., in persona del suo l.r.p.t., al pagamento delle spese, che liquida, a favore del controricorrente I.N.P.S. (anche nella qualità di mandatario della S.C.C.I. S.p.a.), in Euro =10.000,00= (diecimila/00) per compensi professionali ed in Euro =200,00= (duecento/00) per esborsi, oltre spese generali al 15%, accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per i ricorsi, principale e incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2020

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