Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15342 del 21/07/2015


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 15342 Anno 2015
Presidente: CURZIO PIETRO
Relatore: MAROTTA CATERINA

SENTENZA
sul ricorso 1665-2014 proposto da:
MARO’r I A GIOVANNI (MRTGNN48L29A717L), elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso lo studio
dell’avvocato GIUSEPPE SANTE ASSENNATO, che lo rappresenta e
difende giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE, in persona del legale rappresentante

pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29,
presso l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO,

3991′

Data pubblicazione: 21/07/2015

rappresentato e difeso dagli avvocati LIDIA CARCAVALLO,
ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO
giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente e ricorrente incidentale –

MAROTTA GIOVANNI (MRTGNN48L29A717L), elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA CARLO POMA 2, presso lo studio
dell’avvocato GIUSEPPE SANTE ASSENNATO, che lo rappresenta e
difende giusta procura speciale a margine del ricorso in cassazione;
– conttroricorrente al ricorso incidentaleavverso la sentenza n. 827/2013 della CORTE D’APPELLO di
SALERNO del 5/6/2013, depositata il 2/7/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
20/5/2015 dal Consigliere Relatore Dott. CATERINA MAROTTA;
udito l’Avvocato GIOIA SACCONI (delega avvocato ASSENNATO)
difensore del ricorrente che si riporta agli scritti;
udito l’Avvocato SERGIO PREDEN difensore del controricorrente
che si riporta agli scritti.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata in data 2/7/2013 la Corte di appello di
Salerno confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva
rigettato la domanda proposta da Giovanni Marotta intesa ad ottenere il
riconoscimento del beneficio della rivalutazione contributiva per
esposizione all’amianto ex art. 13, comma 8, della legge n. 257/1992 e
successive modifiche, in relazione all’attività lavorativa svolta alle
dipendenze della Nexans S.p.A.. Differenti erano state le ragioni che
avevano indotto i giudici di merito a respingere l’azionata domanda. Il
giudice di primo grado aveva, infatti, ritenuto l’improponibilità della
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nonchè contro

domanda per aver il ricorrente omesso di presentare all’I.N.P.S. l’istanza
per il conseguimento degli invocati benefici. La Corte territoriale,
superata preliminarmente la questione della necessità di una domanda
amministrativa (in ragione del fatto che il Marotta, non rientrando nella
disciplina di cui all’art. 47, comma 5, del d.l. n. 269/2003, non era tenuto

fatto che una domanda era stata presentata all’I.N.A.I.L.), escluso che si
fosse verificata la decadenza “speciale” di cui all’art. 47, comma 5, del
D.L. n. 269/2003, convertito nella legge n. 326/2003 (essendo
l’assicurato titolare di pensione da epoca precedente l’entrata in vigore
dell’art. 47 del D.L. n. 269/2003) nonché quella “generale” di cui all’art.
47 della legge n. 639/1970 (ritenendo che tale decadenza non potesse
trovare applicazione in assenza di un obbligo di domanda
amministrativa) ed altresì escluso che fosse maturata la prescrizione,
rigettava tuttavia il gravame ritenendo che non fosse risultata provata
l’esposizione decennale e traendo a tal fine elementi di valutazione da
una CTU espletata in un giudizio analogo.
Avverso tale sentenza Giovanni Marotta propone ricorso per
cassazione fondato su due motivi.
Resiste con controricorso l’I.N.P.S. e formula altresì ricorso
incidentale condizionato cui il lavoratore resiste con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo e secondo motivo il ricorrente principale denuncia:
“Falsa applicazione degli artt. 100, 101, 112, 116, 409, 416, 420, 434, 437
cod. proc. civ. e 111 Cost. nonché omessa ed insufficiente motivazione
su un fatto controverso e decisivo”. Si duole dell’utilizzazione da parte
della Corte territoriale, ai fini del proprio convincimento, di una
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obbligatoriamente alla presentazione di tale domanda e, comunque, del

consulenza tecnica (“relativa a tale operaio Cataldo Giuseppe”) svolta in
analogo giudizio, mai acquisita agli atti processuali ed al contraddittorio
del giudizio di primo grado ovvero di quello di appello. Censura, inoltre,
la valenza attribuita alla certificazione negativa dell’I.N.A.I.L. e la
sottovalutazione delle risultanze della c.t.u. ritualmente prodotta – cui

ed altresì il mancato approfondimento istruttorio (al fine di verificare se
sussistessero differenze nella esposizione di un impiegato o di un
operaio, entrambi addetti alla stessa produzione nello stesso ambiente di
lavoro).
2. Con l’unico motivo di ricorso incidentale l’I.N.P.S. denuncia la
violazione degli artt. 7 e 8 della legge 11 agosto 1973, n. 533 e dell’art.
443 cod. proc. civ. (art. 360, n. 3, cod. proc. civ.). Critica la sentenza
impugnata nella parte in cui ha ritenuto proponibile la domanda pur in
assenza di preventiva domanda amministrativa di prestazione all’I.N.P.S.
e della conseguente non assoggettabilità dell’azione giudiziaria alla
decadenza di cui all’art. 47 del d.P.R. n. 639/1970.
3. I motivi del ricorso principale, da trattarsi congiuntamente in
ragione della intrinseca connessione, sono infondati e determinano
l’assorbimento del ricorso incidentale.
E’ pur vero che il giudice del merito può legittimamente tenere
conto, ai fini della decisione, delle prove acquisite in un altro processo
solo a condizione che la relativa documentazione venga ritualmente
acquisita al giudizio al fine di farne oggetto di valutazione critica delle
parti e stimolare la valutazione giudiziale su di esse (cfr. Cass. n.
23132 del 10 dicembre 2004; Cass. n. 9843 del 7 maggio 2014).
Tuttavia nella specie la doglianza non coglie nel segno.
Si osserva, innanzitutto, che il riferimento alle risultanze di una
consulenza svolta “in analogo giudizio, relativo all’operaio Cataldo
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pure tale certificazione era allegata e che anzi ne aveva confutato l’esito –

Giuseppe” non assume, nel complessivo impianto motivazionale, valore
decisivo.
Si rileva, infatti, dalla sentenza impugnata: “Risulta agli atti che il
Marotta ha lavorato alla Nexans in qualità di impiegato e non di operaio
e manca qualsivoglia elemento agli atti che faccia propendere per il fatto

che stando alla perizia in atti, risultano aver comportato il diretto
contatto con materiali contenenti amianto”. La “perizia in atti” è con
ogni evidenza quella dell’ing. Portolano, consulente tecnico d’ufficio
nella causa Caliendo Giuseppe contro I.N.P.S. ed I.N.A.I.L. che, come
lo stesso ricorrente riferisce, era stata ritualmente prodotta (cfr. pag. 3
del ricorso per cassazione).
Non si evince, peraltro, con chiarezza dalla sentenza impugnata se la
c.t.u. svolta “in analogo giudizio relativo all’operaio Cataldo Giuseppe”,
cui la Corte territoriale fa rifermento nel successivo passaggio
motivazionale, corrisponda effettivamente ad una consulenza, come si
assume, giammai acquisita agli atti ovvero proprio a quella dell’ing.
Portolano (come sostenuto dal controricorrente I.N.P.S. e come farebbe
propendere l’espressione “in produzione di parte appellante”), essendosi
solo erroneamente indicato il nominativo della parte nel cui giudizio tale
consulenza era stata svolta (Cataldo in luogo di Caliendo).
Aderendo a quest’ultima opzione interpretativa (che appare la più
ragionevole), il rilievo risulta del tutto inconferente.
In ogni caso, anche a voler ritenere che la Corte abbia inteso riferirsi
ad una consulenza diversa, non può non essere evidenziato come il
richiamo alla stessa, nei termini in cui è stato svolto, sia servito solo per
rafforzare un ragionamento già delineato nei tratti essenziali. Si è
trattato, dunque, di una argomentazione svolta “ad abundantiam” e non
costituente da sola la “ratio decidendr della sentenza con la conseguenza
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che egli abbia operato nei reparti di produzione e manutenzione, i soli

che il motivo inteso a censurate tale argomentazione è inammissibile
(cfr. ex multis Cass. n. 24591 del 23 novembre 2005; Cass. n. 23635
del 22 novembre 2010).
Per il resto va osservato che, pur denunciando il ricorrente anche
plurime violazioni di legge, i motivi veicolano, in realtà, una critica alla

dunque, nella sostanza si risolvono nella denuncia di un vizio
motivazionale.
Va, al riguardo, rilevato che la sentenza impugnata è stata depositata
dopo 1’11 settembre del 2012 e pertanto al ricorso per cassazione è
applicabile, quanto all’anomalia motivazionale, l’art. 360, n. 5, cod. proc.
civ. nella formulazione introdotta con il D.L. 83/2012, conv. con legge
n. 134 del 2012.
In base a tale formulazione la sentenza è impugnabile per omesso
esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di
discussione tra le parti.
Com’è noto, secondo la sentenza n. 8053/14 delle S.U. di questa
Corte, la riformulazione di tale norma deve essere interpretata, alla luce
dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al
“minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione.
Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che
si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto
attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal
testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le
risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella
“motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
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sufficienza del ragionamento logico posto alla base della decisione e,

‘`sufficienza” della motivazione. Con la medesima sentenza le S.U.
hanno, altresì, precisato, che tale vizio si riferisce all’omesso esame di un
fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo
della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se

consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 cod.
proc. civ., comma 1, n. 6 e art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, il
ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso,
il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e
il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le
parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di
elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un
fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato
comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza
non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Nella specie, parte ricorrente, prestato ossequio formale alla nuova
lettera della norma (intestazione del secondo motivo di ricorso), lamenta
in realtà un difetto di spiegazione in ordine a determinate affermazioni
(e così a quelle concernenti la mancanza di prova che il Marotta avesse
lavorato “nei reparti di manutenzione e produzione”, i soli che stando
alla perizia in atti, risultano aver comportato il diretto contatto con
materiali contenenti amianto – pag 8 del ricorso -) o una incongruità
logica (quando si afferma che si è utilizzato il parere CONTARP in
contrasto con la relazione dell’ing. Portolano cui pure tale parere era
allegato – pag. 10 del ricorso -), sicché la doglianza investe non il
mancato esame, ma l’insufficienza o l’illogicità della motivazione,
evocando un tipo di controllo non più ammissibile.

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esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne

Non solo, ma ciò che si lamenta non essere stato esaminato
corrisponde non ad un fatto storico, ma all’allegazione difensiva a
contenuto tecnico operata su di esso, vale a dire la valutazione fattane
nel giudizio d’appello dal consulente il cui elaborato era stato prodotto
dalla parte odierna ricorrente. Più precisamente, il ricorso censura la

a loro volta specialmente il giudizio espresso dal consulente ing.
Portolano circa la presenza di amianto, in concentrazione maggiore a
quella prevista per legge, in tutti i comparti di lavorazione dello
stabilimento ed in particolare nelle aree di produzione e manutenzione.
In definitiva, dunque, la censura formulata ai sensi dell’art. 360, n. 5,
cod. proc. civ., riguarda non il fatto controverso ma il giudizio
formulato su di esso.
Né può ritenersi che, nel complesso, la sentenza impugnata presenti
le gravi anomalie che solo rilevano ai fini del nuovo testo dell’art. 360, n.
5, cod. proc. civ..
Ed infatti, la Corte territoriale, con una coerente ricostruzione, ha
ritenuto assolutamente compatibili le risultanze della certificazione
dell’I.N.A.I.L. (CONTARP) con l’attività lavorativa del Marotta e con
gli esiti della consulenza dell’ing. Portolano (il quale aveva comunque
distinto tra i reparti comportanti il diretto contatto con materiali
contenenti amianto e gli altri) e considerato preclusa, alla luce delle
emergenze già in atti, la possibilità di dare ingresso ad una nuova
consulenza, che avrebbe avuto valore meramente esplorativo.
4. Da tanto consegue che il ricorso principale deve essere rigettato
con assorbimento dell’incidentale.
5. La regolamentazione delle spese segue la soccombenza.
6. Il ricorso principale è stato notificato in data successiva a quella
(31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (art. 1,
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mancata motivazione sulle deduzioni difensive svolte, aventi ad oggetto

comma 17 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 del 2012), che ha
integrato l’art. 13 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, aggiungendovi il
comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche
incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o
improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore

impugnazione, principale o incidentale, a norma art. 1 bis. Il giudice dà
atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al
periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del
deposito dello stesso”.
La suddetta condizione sussiste nel caso di specie.

P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, assorbito
l’incidentale; condanna il ricorrente principale al pagamento, in favore
dell’I.N.P.S., delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in
euro 100,00 per esborsi ed euro 2.000,00 per compensi professionali
oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del
ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis
dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, il 20 maggio 2015

Caterina Marotta, e

re

importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa

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