Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15342 del 20/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 20/06/2017, (ud. 25/05/2017, dep.20/06/2017),  n. 15342

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3828/2014 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO ANTONINI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

UNIPOLSAI S.P.A. – P.I. (OMISSIS), in persona del SUO procuratore

speciale, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE SANTO N.

10/A, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FOSCHIANI, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

ROMA CAPITALE – C.F. (OMISSIS), in persona del Sindaco in carica,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 32, presso

lo studio dell’avvocato EMILIO SALUSTRI, che la rappresenta e

difende;

– controricorrente –

e contro

SISTEMI DI COSTRUZIONI S.R.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 16452/2012 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 29/08/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 25/05/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. B.G. ha proposto ricorso per cassazione contro Roma Capitale (già Comune di Roma), la s.r.l. Sistemi di Costruzione e la s.p.a. Unipol Assicurazioni (già U.G.F. Assicurazioni s.p.a., già Aurora Assicurazioni s.p.a.):

a) sia avverso l’ordinanza del 3 dicembre 2013, comunicata il 3 dicembre 2013, con la quale la Corte d’Appello di Roma dichiarava l’inammissibilità, ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., dell’appello da lui proposto contro la sentenza n. 16452 del 29 agosto 2012, con la quale il Tribunale di Roma, nel contraddittorio delle due società, la prima chiamata in causa dal Comune di Roma, la seconda, a sua volta, dalla terza chiamata, aveva rigettato la domanda risarcitoria da lui proposta contro il Comune di Roma, per ottenere il risarcimento dei danni sofferti a causa di una caduta, provocata – a suo dire – da una sostanza grassa presente su un tombino in prossimità di un portavasi con fiori collocatovi dal Comune;

b) sia, ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3, avverso la citata sentenza.

2. Al ricorso, che è affidato a due motivi rivolti contro la sentenza di primo grado e ad un unico motivo rivolto contro l’ordinanza, hanno resistito con separati controricorsi sia Roma Capitale, sia la s.p.a. Unipolsai (che ha dichiarato di essere subentrata alla Unipol Assicurazioni).

3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta inammissibilità per distinte ragioni contro entrambi i provvedimenti impugnati. La proposta è stata notificata agli avvocati delle parti unitamente al decreto di fissazione dell’odierna adunanza.

4. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. Il Collegio condivide le valutazioni della proposta del relatore, nel senso della inammissibilità del ricorso contro entrambi i provvedimenti impugnati.

Queste le ragioni, la cui enunciazione suppone l’esplicitazione dell’ordine di esame delle due impugnazioni.

2. Il Collegio, condividendo l’assunto della proposta, rileva che, per effetto della chiamata in causa della s.r.l. Sistemi di Costruzioni quale garante da parte dell’Amministrazione capitolina, si era verificata l’automatica estensione nei riguardi della detta società dell’accertamento della responsabilità invocata a carico della medesima dal B.: ciò, ai sensi dei principi enunciati da Cass. sez. un. n. 24707 del 2015.

Tale estensione prescindeva dall’estensione nei confronti della società della domanda di condanna, che, per come risulta dall’esposizione del fatto del ricorso, il ricorrente assume di avere fatto nelle memorie ai sensi dell’art. 183 c.p.c. e che, con il motivo rivolto contro l’ordinanza, assume ignorata dalla stessa, là dove essa, svolgendo un rilievo preliminare rispetto alla valutazione sul fondo dell’appello quanto alla negazione della fondatezza della domanda originaria, ha rilevato che la richiesta di condanna della società era domanda nuova ai sensi dell’art. 345 c.p.c..

Ne consegue che, in ragione dell’estensione di cui si è detto, tale valutazione, in quanto ha riguardato l’accertamento del rapporto processuale inerente alla domanda originaria siccome esteso alla società, ha avuto carattere prioritario rispetto alla valutazione sulla novità, di modo che la valutazione sulla novità risulta comunque dipendente e pregiudicata da quella sul detto accertamento. Per modo che l’interesse a discutere della ritualità o meno dell’estensione della domanda al profilo della condanna è dipendente da quello a discutere della valutazione sulla fondatezza della domanda di accertamento della responsabilità, da intendersi, come s’è detto, automaticamente estesa alla terza, giusta il principio di diritto di cui alla citata sentenza delle SS.UU..

Poichè l’ordinanza non solo non è stata impugnata ma non era nemmeno impugnabile quanto a tale valutazione, essendo impugnabile com’è stata impugnata al riguardo correttamente la sentenza di primo grado, deve scrutinarsi prima l’impugnazione contro di essa.

3. Tale impugnazione e, dunque, il ricorso in parte qua, come indicato nella proposta del relatore, appare manifestamente inammissibile per inosservanza dell’art. 366, n. 3, in quanto nell’esposizione del fatto il ricorso non riferisce in alcun modo i motivi per i quali era stato proposto appello avverso la sentenza stessa, limitandosi a dire che essa venne appellata con richiesta di integrale riforma e di accoglimento delle conclusioni di primo grado.

Ora, già nelle ordinanze nn. 8940, 89412, 8942 e 8943 del 2014 era stato sottolineata la ragione per cui, in sede di impugnazione della sentenza di primo grado dopo ordinanza dichiarativa dell’inammissibilità dell’appello, è necessario che l’esposizione del fatto indichi i motivi dell’appello. L’orientamento è consolidato: si vedano: Cass. (ord.) n. 10722 del 2014; (ord.) n. 2784 del 2015; da ultimo (ord.) n. 26936 del 2016, ex multis).

3.1. Parte ricorrente nella memoria critica la valutazione della proposta al riguardo argomentando solo con riferimento al tessuto motivazionale di cui all’ordinanza n. 10722 del 2014, giustificando tale scelta con il fatto che detta ordinanza sarebbe stata la prima che ha dichiarato inammissibile un ricorso ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3, per la carente indicazione dei motivi di appello contro la decisione di primo grado.

Senonchè, la compiuta motivazione della ragione per cui il ricorso ai sensi di detta norma contro la sentenza di primo grado su cui l’appello sia stato dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., è contenuto expressis verbis nelle ordinanze nn. 8940, 8941, 8942 e 8943 del 2014 e risulta argomentata come implicazione necessaria dell’onere del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3.

Tale requisito è distinto da quello che ora normativamente rappresenta il precipitato normativo del principio di autosufficienza, cioè il requisito dell’art. 366 c.p.c., n. 6 (Cass. n. 7455 del 2013).

Ciò è stato più volte spiegato, per escludere che il principio di autosufficienza, come talvolta poteva suggerire qualche decisione, avesse a che fare con il requisito dell’art. 366 c.p.c., n. 3.

Nell’ordinanza n. 593 del 2013 (nonchè in numerose altre decisioni), di fronte ad un caso in cui in presenza di ricorso c.d. assemblato nell’esposizione del fatto, si era sostenuto che la riproduzione di una congerie di atti processuali per assolvere al requisito dell’art. 366 n. 3 era funzionale all’assolvimento del c.d. principio di autosufficienza, la differenza di piani operativi dell’art. 366, n. 3, dell’art. 366, n. 6, è stata così spiegata: “Ora, nella struttura del ricorso per cassazione dopo la riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, il principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione (anteriormente elaborato dalla giurisprudenza di questa Corte ed allora espressione della normale applicazione della idoneità dell’atto processuale costituito dal ricorso, quale “domanda di impugnazione” rivolta alla Corte di cassazione” al raggiungimento dello scopo, in un processo privo sostanzialmente di attività istruttoria e di interlocuzione fra il giudice e le parti, al di fuori della pubblica udienza, o della particolare struttura del procedimento in Camera di consiglio) trova precipitato normativo nell’art. 366 c.p.c., n. 6, che prescrive l’indicazione specifica dei documenti e degli atti processuali su cui il ricorso si fonda (riguardo all’esegesi di tale norma si vedano, ex multis, Cass. sez. un. n. 28547 del 2008 e n. 7161 del 2010, nonchè, per gli atti processuali, ora Cass. sez. un. n. 22726 del 2011). Ne consegue che, essendo il n. 3, art. 366 ed il n. 6 relativi a due distinti requisiti di contenuto-forma del ricorso per cassazione, non si vede come possa sostenersi che una tecnica come quella con cui è stato redatto il ricorso serva ad assolvere il requisito di cui al n. 6, che non a caso parla di indicazione specifica dei documenti e degli atti su cui il ricorso di fonda, così significando un’attività diretta – attraverso i riferimenti ad essi, al loro contenuto, al loro inserimento nel processo, nonchè alla loro sede di produzione nel processo di cassazione, anche agli effetti dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 – a sorreggere i motivi (tanto che il legislatore usa il verbo “fondare”) ed a consentire alla Corte di esaminare se quanto da essi argomenta il ricorrente trova riscontro in essi. L’esposizione sommaria del fatto, viceversa, serve alla Corte di cassazione per percepire con una certa immediatezza il fatto sostanziale e lo svolgimento del fatto processuale e, quindi, acquisire l’indispensabile conoscenza, sia pure sommaria, del processo, in modo da poter procedere alla lettura dei motivi di ricorso in maniera da comprenderne il senso”.

Ora va qui ribadito che il distinguo fra l’ambito delle due previsioni normative debba essere fatto attribuendo: a) all’autosufficienza e, quindi, al requisito di cui dell’art. 366, n. 6, l’indicazione di dove e come – e, quindi, del documento o dell’atto processuale o dell’accordo o contratto collettivo – nello svolgimento processuale la questione su cui si fonda il motivo è emersa, è entrata nel processo; b) all’esposizione del fatto l’individuazione dell’eventuale svolgimento processuale che, a seconda della fase in cui la questione è entrata nel processo, poteva legittimarne l’entrata.

Ebbene, i rilievi che la memoria svolge per criticare la valutazione di inammissibilità della proposta si svolgono in primo luogo sul piano della evocazione di Cass. n. 7455 del 2013 per dimostrare che il precetto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, siccome modificativo della c.d. autosufficienza non giustificherebbe l’assunto che l’esposizione sommaria del fatto debba comprendere l’indicazione dei motivi dell’appello. Tale argomentazione viene svolta perchè Cass. (ord.) n. 10722 del 2014ebbe ad evocare in punto di significato del requisito dell’esposizione del fatto Cass. n. 7455 del 2013 e per sostenere che la motivazione di quest’ultima non sarebbe stata idonea a giustificare la conclusione che l’esposizione nel ricorso ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3, debba indicare i motivi.

Ora, ciò è senz’altro vero, ma resta fermo che Cass. n. 10722 del 2014 in concreto argomenta sempre con riferimento all’art. 366 c.p.c., n. 3 e, soprattutto, restano valide, nella cornice che distingue l’ambito dell’art. 366, n. 3 e quello dell’art. 366, n. 6, le ragioni, teorizzate già da Cass. (ord.) nn. 8940, 8941, 8942 e 8943 del 2014 e dalla stessa ord. n. 10722 del 2014, e, quindi, ribadite costantemente, nel senso di spiegare, conforme a quanto si è sopra esposto, la necessità della indicazione dei motivi per assolvere al profilo funzionale dell’esposizione del fatto.

Ciò è tanto vero che recentemente si è detto che: “nel giudizio di cassazione, il requisito di contenuto-forma previsto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), deve essere assolto necessariamente con il ricorso e non può essere ricavato da altri atti, quali la sentenza impugnata o il controricorso, perchè la causa di inammissibilità non può essere trattata come una causa di nullità cui applicare il criterio del raggiungimento dello scopo, peraltro, riferibile ad un unico atto (Cass. (ord.) n. 18623 del 2016); e che: “nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, proposto ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 3, l’onere di indicare i motivi di appello e la motivazione dell’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., non si pone in contrasto con l’art. 6 CEDU, in quanto esso è imposto in modo chiaro e prevedibile (risultando da un indirizzo giurisprudenziale di legittimità ormai consolidato), non è eccessivo per il ricorrente e risulta, infine, funzionale al ruolo nomofilattico della Suprema Corte, essendo volto alla verifica in ordine alla mancata formazione di un giudicato interno” (Cass. (ord.) n. 26936 del 2013).

L’orientamento consolidato risulta – e parte ricorrente ne è consapevole – avallato da Cass. sez. un. n. 10876 del 2015, che anch’essa lo giustifica ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 3.

3.2. La memoria sostiene, poi, che il rilievo di inammissibilità potrebbe essere superato, perchè dall’accenno alla pagina 31 del ricorso alla riproposizione di tutte le conclusioni di primo grado, si comprenderebbe che l’appello aveva riguardato ogni statuizione di primo grado, ma non è dato comprendere come ciò possa aver rivelato il tenore dei motivi di appello.

3.3. Il ricorso contro la sentenza di primo grado dev’essere, dunque, dichiarato inammissibile.

4. Ne segue gradatamente che diventa inammissibile per difetto di interesse il ricorso contro l’ordinanza, in quanto la statuizione di essa impugnata con l’unico motivo, è statuizione che, una volta esclusa la possibilità di disporre la cassazione della sentenza di primo grado e, quindi, un rinvio al giudice d’appello, diventa irrilevante, in quanto si consolida il rigetto della domanda del ricorrente, che, quanto all’accertamento della responsabilità del Comune anche nei confronti della s.r.l. Sistemi di Costruzioni, risultava effetto determinato automaticamente dalla chiamata in causa di tale società, dal quale dipendeva la possibilità di ottenere da parte del B. anche la condanna, estensione negata dall’ordinanza.

5. Il ricorso è, dunque, dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di cassazione possono compensarsi, come si richiede nella memoria, atteso che solo con le ordinanze nn. 8940, 8941, 8942 e 8943, nonchè con quella n. 10722 del 2014 venne affermato l’orientamento esegetico a proposito del requisito dell’art. 366 c.p.c., n. 3, in subiecta materia. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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