Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15341 del 17/07/2020

Cassazione civile sez. VI, 17/07/2020, (ud. 06/03/2020, dep. 17/07/2020), n.15341

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6485 R.G. anno 2018 proposto da:

Banca Monte dei Paschi di Siena, elettivamente domiciliata in Roma,

viale Gorizia 22, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Ludovico

Motti Bersini, rappresentata e difesa dall’avvocato Carlo Varvaro;

– ricorrente –

contro

COS.IT. s.r.l., M.V., M.A.L. e

C.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1956/2017 della Corte di appello di Palermo,

depositata il 27 ottobre 2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 6/3/2020 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con sentenza del 12 ottobre 2012 il Tribunale di Termini Imerese, pronunciando sull’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da COS.IT. s.r.l., M.S., M.V., M.A.L. e C.A., con cui era stato ai medesimi ingiunto, su ricorso della Banca Monte dei Paschi di Siena, il pagamento della complessiva somma di Euro 252.904,67, oltre interessi, dichiarava la nullità delle clausole del contratto di conto corrente posto a fondamento della domanda ingiuntiva relativa agli interessi anatocistici e alla commissione di massimo scoperto e revocava il provvedimento monitorio, rideterminando il saldo del conto corrente.

2. – La banca proponeva gravame che la Corte di appello di Palermo respingeva.

3. – Contro la sentenza del 27 ottobre 2017 della Corte siciliana ricorre per cassazione Banca Monte dei Paschi di Siena, che fa valere tre motivi di impugnazione. Gli intimati non hanno svolto difese. Il ricorso è stato seguito da memoria.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Col primo motivo è denunciata la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.. Secondo l’istante, la documentazione prodotta, menzionata nel corpo del motivo, che non era stata contestata dagli avversari, avrebbe dato conto di come la banca ricorrente avesse assolto all’onere probatorio che le incombeva.

Col secondo mezzo è lamentato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La Corte di appello, ad avviso della ricorrente, avrebbe omesso di esaminare la documentazione prodotta dalla ricorrente a fondamento del credito.

I due motivi, che possono scrutinarsi congiuntamente, sono inammissibili.

Il primo non tiene conto che la violazione del principio per cui il precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni, e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 29 maggio 2018, n. 13395; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107). Il secondo si risolve in una censura vertente sul cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove. Infatti la Corte di merito, con riferimento al conto anticipi su fatture, ha confermato le conclusioni cui era pervenuto il giudice di primo grado, il quale, sulla scorta della consulenza tecnica esperita, aveva rilevato che la documentazione prodotta era nella sostanza inidonea a dar ragione del credito azionato dalla banca. Ciò posto, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non è inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che attribuisce invece rilievo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e presenti carattere decisivo per il giudizio (Cass. 26 settembre 2018, n. 23153; Cass. 10 giugno 2016, n. 11892).

2. – Il terzo mezzo oppone la violazione dell’art. 2909 c.c.. E’ osservato che il giudice distrettuale avrebbe violato il giudicato interno, e ciò avendo specificamente riguardo alle affermazioni, contenute nella sentenza di primo grado, relative alla legittimità della capitalizzazione degli interessi passivi a partire dal 1 luglio 2000 e alla riconduzione degli interessi usurari al tasso soglia per effetto del meccanismo di integrazione legale del contratto di cui all’art. 1339 c.c., con riferimento ai periodi in cui, nel corso del rapporto, tale tasso soglia era stato superato.

Il motivo è inammissibile.

Rammentato che la deduzione con il ricorso per cassazione di errores in procedendo implica che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” (Cass. Sez. U. 25 luglio 2019, n. 20181), è a dirsi che la ricorrente non riproduce, per la parte che interessa, il contenuto della decisione di primo grado e non consente così di far comprendere alla Corte, con la dovuta precisione, cosa avesse stabilito il Tribunale con riguardo agli interessi usurari e anatocistici.

Con riferimento ai primi, la banca si limita a riferire, in modo del tutto generico, che, secondo il Tribunale, essi andavano ridotti al tasso soglia (pag. 7 del ricorso): ma una statuizione in tal senso non trova riscontro nella sentenza impugnata, secondo cui – per contro – il giudice di primo grado aveva dichiarato la nullità delle sole clausole relative alla capitalizzazione e alla commissione di massimo scoperto (pag. 3 della pronuncia della Corte di appello). Peraltro, l’istante nemmeno individua il passaggio della pronuncia resa in sede di gravame da cui dovrebbe desumersi che la Corte di merito abbia inteso operare la riduzione del tasso usurario a quello legale.

Con riguardo agli interessi anatocistici, l’affermazione della ricorrente appare ancora meno intellegibile E’ infatti la stessa banca ad affermare che secondo il Tribunale la capitalizzazione operata a far data dal 1 luglio 2000 risultava essere legittima (pag. 17 del ricorso); ma un tale assunto non risulta affatto smentito dalla sentenza impugnata, che reca anzi menzione di un doppio procedimento di ricalcolo del saldo, da parte del c.t.u. a ciò incaricato in fase di gravame: ricalcolo da operarsi, in entrambe le versioni, con esclusione della capitalizzazione attuata a partire da quella data (pagg. 6 s. della sentenza).

Peraltro, al di là delle enunciazioni espresse nella decisione impugnata (che si spende effettivamente in poco pertinenti considerazioni circa l’illegittimità di una capitalizzazione che, nel periodo di vigenza della Delib. CICR 9 febbraio 2000, fosse stata operata “in difetto di apposita pattuizione scritta”: pag. 8 della pronuncia), il gravame proposto è stato comunque respinto: la Corte di appello ha infatti concluso nel senso che la pronuncia del Tribunale andasse “confermata in ogni sua parte” (cfr. sentenza, pag. 10). Non si vede, allora, in che modo l’odierna ricorrente possa dolersi di affermazioni della Corte di appello che sarebbero contrastanti con statuizioni non impugnate della pronuncia di primo grado: tali affermazioni non si sono evidentemente tradotte in un risultato più sfavorevole rispetto a quello determinatosi per effetto della decisione del Tribunale. Per il che la divisata violazione del giudicato interno è da reputarsi insussistente.

3. – Non vi sono spese da liquidare.

PQM

La Corte

dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 6 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2020

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