Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15340 del 20/06/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 20/06/2017, (ud. 25/05/2017, dep.20/06/2017),  n. 15340

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1683/2014 proposto da:

COMPAGNIA MURANESE S.R.L. IN LIQUIDAZIONE – C.F. (OMISSIS), in

persona del liquidatore e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIERLUIGI DA PALESTRINA 63,

presso lo studio dell’avvocato MARIO CONTALDI, che la rappresenta e

difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato PAOLO ROMOR;

– ricorrente –

contro

NAVAGERO MURANO S.R.L. – P.I. (OMISSIS), in persona del suo legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 11, presso lo studio dell’avvocato RENATO TOBIA, che la

rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente all’avvocato CARLO

BARONCINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2060/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 27/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 25/05/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE FRASCA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

1. La Compagnia Muranese s.r.l. in liquidazione ha proposto ricorso per cassazione contro la Navagero Murano s.r.l. avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia del 27 novembre 2012, con la quale, in parziale riforma della sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Venezia nel dicembre del 2009, è stata dichiarata la risoluzione di un contratto di locazione intercorso tra le parti per colpa dell’intimata e la stessa è stata condannata – con conferma della statuizione di primo grado sul punto – al pagamento della somma di Euro 55.000,00 oltre interessi dalla domanda al saldo, a titolo di risarcimento del danno.

2. Al ricorso, che propone due motivi entrambi concernenti la conferma della statuizione sull’ammontare del danno, l’intimata ha resistito con controricorso.

3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testi modificati dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore proposta di definizione del ricorso con declaratoria di inammissibilità ed è stata fissata con decreto l’adunanza della Corte. Il decreto è stato notificato, unitamente alla proposta, agli avvocati dele parti.

4. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

1. Il Collegio condivide la proposta di inammissibilità formulata dal relatore sotto il profilo che i due motivi di ricorso, entrambi dedotti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, appaiono prospettati senza il rispetto dei requisiti e dei limiti che con riferimento al detto paradigma sono stati individuati da Cass. sez. un. nn. 8053 e 8054 del 2014. Entrambi i motivi, intestati come “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti (in merito all’entità del risarcimento riconosciuto alla Compagnia Muranese)”, infatti, nel censurare sotto distinti profili la liquidazione equitativa del danno effettuata dal giudice di primo grado e confermata dal giudice d’appello, lo fanno in primo luogo senza evocare in alcun modo il “fatto” cui si riferirebbe l’omesso esame, bensì ripercorrendo una serie di risultanze probatorie, testimoniali e documentali nel primo motivo, anche relative alla c.t.u. nel secondo e sollecitandone una valutazione diversa da quella effettuata dai giudici di merito.

2. Le citate sentenze delle Sezioni Unite hanno così statuito in orine dell’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5: “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.”; “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

Nel solco di dette decisioni Cass., Sez. Un., 22 settembre 2014, n. 19881, ha ulteriormente rilevato che, da un lato, il sindacato sulla motivazione è ormai ristretto ai casi di inesistenza della motivazione in sè, cioè alla “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, alla “motivazione apparente”, al “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, alla “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”; dall’altro lato, (che) il controllo previsto dell’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5, concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (cioè che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia): l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti”.

A maggior ragione dopo una tale novella legislativa resta fermo il principio, già del tutto consolidato (per tutte: Cass. 27 ottobre 2015, n. 21776; Cass. Sez. Un., 12 ottobre 2015, n, 20412; Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 23 dicembre 2009, n. 27162; Cass. sez. un” 21 dicembre 2009, n. 26825; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 9 agosto 2007, n. 17477; Cass. 18 maggio 2006, n. 11670; Cass. 17 novembre 2005, n. 23286) dell’esclusione del potere di questa Corte di legittimità di riesaminare il merito della causa, essendo ad essa consentito, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile): sicchè sarebbe inammissibile (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai cristallizzate quoad effectum) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, non potendo darsi corso ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai cristallizzato, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di quella ricostruzione procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello – non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata -, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

3. Ebbene, l’illustrazione del motivo non si articola con i contenuti indicati dalle Sezioni Unite, in quanto, in disparte la mancanza di individuazione del fatto di cui si sarebbe omesso l’esame e l’espressa assunzione nella intestazione dell’entità del risarcimento, che non è un fatto, si imputa alla sentenza d’appello di aver mal valutato risultanze probatorie e di essere per tale ragione pervenuta a giustificare la liquidazione del danno operata dal primo giudice.

Ciò, è tanto vero, che a pagina 18, nella parte iniziale dell’esposizione del primo motivo, si dice che “non vi è alcuna prova che la Compagnia Muranese avrebbe – comunque – chiusa l’attività durante i periodi invernali, ma – anzi – il Giudice ha omesso di considerare come dalle risultanze probatorie emerga un quadro ben diverso”: tali affermazioni programmatiche della successiva esposizione preannunciano appunto un’attività di commento critico della valutazione delle risultanze probatorie, che poi trova puntuale conferma nella successiva esposizione.

Nella memoria di parte ricorrente si sostiene che il fatto storico cui il motivo si riferirebbe sarebbe “la circostanza per cui, in assenza delle lamentate infiltrazioni piovane, l’attività commerciale non sarebbe stata chiusa in inverno”, ma si omette di spiegare come e perchè essa non sarebbe stata considerata dalla Corte territoriale e, dunque, sarebbe fatto su cui si è omessa la motivazione. In proposito, si rileva che la stessa ha considerato tale preteso “fatto”, tanto che parla di “fraintendimento” e di “errore di valutazione”, in tal modo confessandosi che i giudici di appello l’hanno considerato nella loro motivazione, il che colloca la censura al di fuori del paradigma del n. 5 nuovo.

Sempre nella memoria la ricorrente adduce, a proposito del secondo motivo, che il fatto colà contemplato sarebbe “la circostanza per cui non vi fosse, nel contratto per cui causa, alcuna previsione di prevalenza del’utilizzo a fini produttivi del’immobile”, ma anche qui nessuna attività argomentativa si svolge circa la sua omessa considerazione. E la ragione è che lo si può fare, perchè la sentenza si è occupata della circostanza, come emerge sempre dalla stessa illustrazione del secondo motivo: pagine 26, in fine, e 27 all’inizio.

4. Il ricorso è, conclusivamente, dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo ai sensi del D.M. n. 55 del 2014. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro cinquemilaseicento, oltre duecento per esborsi, le spese generali e gli accessori come per legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per i rispettivi ricorsi a norma del citato art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3, il 25 maggio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 giugno 2017

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