Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15337 del 25/07/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile sez. I, 25/07/2016, (ud. 11/02/2016, dep. 25/07/2016), n.15337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALVAGO Salvatore – Presidente –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna C. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.I.G.A.T. – SOCIETA’ ITALIANA GESTIONI ALBERGHIERE E TURISTICHE

S.R.L. in liquidazione, in persona del liquidatore p.t.

M.R., elettivamente domiciliata in Roma, alla via Illiria n. 19,

presso l’avv. ANTONELLA ZAINA, unitamente all’avv. MAURIZIO

BARBATELLI, dal quale è rappresentata e difesa in virtù di procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI NAPOLI, in persona del Sindaco p.t., elettivamente

domiciliato in Roma, alla via A. Catalani n. 26, presso l’avv.

ENRICO D’ANNIBALE, unitamente all’avv. EDOARDO BARONE, dal quale è

rappresentato e difeso in virtù di procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente

e

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI – DIPARTIMENTO DI PROTEZIONE

CIVILE, in persona del Presidente p.t., domiciliata in Roma, alla

via dei Portoghesi n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO,

dalla quale è rappresentata e difesa per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 3025/07,

pubblicata il 2 ottobre 2007;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11

febbraio 2016 dal Consigliere dott. Guido Mercolino;

udito l’Avvocato dello Stato per la Presidenza del Consiglio dei

ministri;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. RUSSO Rosario Giovanni, il quale ha concluso per

l’accoglimento dei primi due motivi di ricorso, con l’assorbimento

del terzo motivo.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – La S.I.G.A.T. – Società Italiana Gestioni Alberghiere e Turistiche S.r.l., in qualità di avente causa della A.G. S.r.l., a seguito di fusione per incorporazione, convenne in giudizio il Comune di Napoli ed il Ministero per il coordinamento della protezione civile, per sentirli condannare al pagamento della somma complessiva di Lire 580.000.798, dovuta alla sua dante causa per l’ospitalità alberghiera prestata ad alcuni nuclei familiari rimasti privi di abitazione a seguito degli eventi sismici del 1980, su disposizione del Commissario straordinario di Governo per le zone terremotate della Campania e della Basilicata e previa stipulazione di apposita convenzione con il Comune.

Si costituirono la Presidenza del Consiglio dei ministri, succeduta al Ministero per il coordinamento della protezione civile, ed il Comune di Napoli, ed eccepirono la prescrizione del credito e l’infondatezza della domanda.

1.1. – Con sentenza del 29 maggio 2003, il Tribunale di Napoli rigettò la domanda, dichiarando il difetto di legittimazione passiva del Comune e la prescrizione del credito nei confronti del Ministero.

2. – L’impugnazione proposta dalla SIGAT è stata rigettata dalla Corte d’Appello di Napoli, che con sentenza del 2 ottobre 2007 ha rigettato anche il gravame incidentale proposto dal Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri.

A fondamento della decisione, la Corte ha dichiarato inammissibile il motivo d’impugnazione concernente la carenza di legittimazione passiva del Comune, rilevandone il difetto di specificità, in considerazione della mancata esposizione di qualsiasi ragione di doglianza avverso la relativa statuizione della sentenza di primo grado. Premesso inoltre che la prescrizione del credito era stata tempestivamente eccepita dal Comune nella comparsa di costituzione e dal Ministero entro il termine per la proposizione delle eccezioni non rilevabili d’ufficio, ed escluso che l’eccezione dovesse essere tipizzata mediante il riferimento ad una delle ipotesi previste dalla legge, l’uso di formule rituali o l’indicazione di norme specifiche, ne ha riconosciuto la fondatezza, osservando che la pretesa aveva ad oggetto differenze dovute sul corrispettivo di prestazioni rese tra il 1984 ed il 1988, mentre il primo atto interruttivo era stato compiuto nel mese di ottobre 1999 attraverso l’inoltro di una richiesta di pagamento. Ha confermato infine la legittimazione passiva del Dipartimento della protezione civile, osservando che le motivazioni espresse dalla sentenza di primo grado trovavano riscontro nell’orientamento della giurisprudenza di legittimità.

3. Avverso la predetta sentenza la SIGAT ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi, illustrati anche con memoria. Il Comune ed il Dipartimento della protezione civile hanno resistito con controricorsi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia la violazione e l’errata interpretazione dell’art. 342 c.p.c., nonchè l’insufficienza della motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto generico il motivo di appello concernente la carenza di legittimazione del Comune, senza tenere conto dei mezzi istruttori dedotti ai fini della relativa prova e delle indicazioni fornite in ordine alla statuizione censurata.

Premesso di aver fatto valere, a sostegno dell’impugnazione, il comportamento defatigatorio tenuto dall’ente, che aveva sempre interloquito con essa ricorrente, ed il carattere meramente interno della nota con cui erano state contestate le fatture, nonchè il contrasto dell’eccezione sollevata dal Comune con quella analoga proposta dal Ministero e con l’affermazione secondo cui alcune fatture sarebbero state pagate, afferma che, ai fini della specificità dei motivi, non è richiesta l’indicazione della norma violata, la cui individuazione è rimessa al giudice d’appello, nè un’approfondita illustrazione dell’errore commesso dal giudice di primo grado, ma è sufficiente che siano enunciate le ragioni del riesame, attraverso la specificazione del punto della sentenza che s’intende contestare e la precisazione della decisione ritenuta esatta.

2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la violazione e l’errata interpretazione dell’art. 180 c.p.c., nel testo anteriore alle modificazioni introdotte dal D.L. 13 marzo 2005, n. 35, convertito con modificazioni dalla L. 14 maggio 2005, n. 80, e dell’art. 2938 c.c., sostenendo che, nel ritenere ritualmente eccepita la prescrizione, la Corte di merito non ha considerato che il Ministero non ne aveva fatto alcuna menzione nella comparsa di costituzione, avendovi accennato in via meramente eventuale nella memoria depositata il 15 marzo 2001, mentre il Comune, pur avendo sollevato l’eccezione nella comparsa di costituzione, aveva omesso di tipizzarla in base ad una delle ipotesi previste dalla legge, in particolare mediante l’allegazione dell’avvenuto decorso del tempo necessario per la maturazione della prescrizione.

3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e l’errata interpretazione degli artt. 2935 e 2946 c.c., nonchè l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione, affermando che, nel dichiarare prescritto il credito, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della continuità dei rapporti intercorsi tra le parti e del carattere unitario dell’obbligazione, in virtù dei quali la decorrenza della prescrizione avrebbe dovuto essere ancorata all’emissione dell’ultima fattura, nè dei molteplici atti interruttivi compiuti e della scrittura privata di transazione e rinuncia stipulata con il Comune in virtù dell’autorizzazione concessa dalla Commissione straordinaria di liquidazione con delibera del 25 giugno 1998, la quale aveva fatto salvo il credito in questione. Nel ritenere prescritto l’intero credito, la Corte di merito è incorsa in contraddizione, in quanto, pur avendo dato atto della efficacia interruttiva della richiesta di pagamento inoltrata il 22 ottobre 1999, non ha considerato che la stessa era intervenuta entro il decimo anno dall’emissione dell’ultima fattura, avvenuta il 31 dicembre 1989.

4.- L’illustrazione delle predette censure è seguita dalla formulazione di distinti enunciati, con cui la ricorrente chiede a questa Corte di stabilire, in estrema sintesi, al) se sia inammissibile il motivo di appello recante l’individuazione della parte della sentenza impugnata che s’intende censurare e delle relative ragioni, con il supporto di adeguati mezzi istruttori, a2) se sia contraddittoria ed insufficiente la motivazione che, dopo aver individuato la pronuncia contestata, rilevi la mancata indicazione delle statuizioni investite dal gravame, richiamando a tal fine un precedente inconferente, b) se l’eccezione di prescrizione, oltre a dover essere sollevata nel termine di cui all’art. 180 c.p.c., nel testo anteriore alle modificazioni introdotte dal D. L. n. 35 del 2005, richieda l’indicazione del dies a quo e del relativo termine, e cl) se per i crediti derivanti da un rapporto contrattuale nell’ambito del quale sia stata emessa una pluralità di fatture il termine di prescrizione decorra dalla data dell’ultima fattura, c2) per tutti i crediti o soltanto per quelli maturati in data successiva al decennio anteriore all’emissione della fattura.

In quanto idonee a riassumere le questioni giuridiche prospettate ed a ricapitolare le ragioni per cui la motivazione della sentenza impugnata deve ritenersi omessa, insufficiente o contraddittoria, le predette indicazioni consentono di ritenere soddisfatti i requisiti prescritti dall’art. 366-bis c.p.c., con la conseguente infondatezza delle eccezioni d’inammissibilità sollevate dai difensori dei controricorrenti. L’enunciazione del quesito di diritto imposta dal primo periodo della predetta disposizione e del momento di sintesi previsto dal secondo periodo non esige infatti il rispetto di forme particolari, risultando a tal fine sufficiente che l’illustrazione delle censure sia accompagnata nei casi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1-4 da una chiara sintesi logico-giuridica della questione di diritto sottoposta all’esame di questa Corte, formulata in termini tali per cui dalla risposta, negativa od affermativa, che ad essa si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento o il rigetto dell’impugnazione (cfr. Cass., Sez. Un., 12 marzo 2008, n. 6530; 11 marzo 2008, n. 6420; 28 settembre 2007, n. 20360), e nel caso di cui al n. 5 medesimo articolo dall’enucleazione del fatto al cui accertamento la censura si riferisce e delle ragioni che la sorreggono, in modo da evitare che la formulazione del ricorso ingeneri incertezze in sede di valutazione della sua ammissibilità e fondatezza (cfr. Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass., Sez. lav., 25 febbraio 2009, n. 4556; Cass., Sez. 3, 7 aprile 2008, n. 8897).

Analogamente, deve escludersi che l’inammissibilità delle censure possa essere ricollegata alla prospettazione cumulativa di profili riconducibili rispettivamente all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la cui deduzione in un unico contesto, contrariamente a quanto sostenuto dai difensori dei controricorrenti, oltre a non trovare ostacolo in alcuna disposizione di legge, non nuoce alla chiarezza del motivo, purchè, come accade nel ricorso in esame, la relativa illustrazione consenta di distinguere chiaramente le critiche mosse all’accertamento dei fatti emergente dalla sentenza impugnata da quelle concernenti l’interpretazione o l’applicazione delle norme giuridiche (cfr. Cass., Sez. Un., 31 marzo 2009, n. 7770; Cass., Sez. 2, 23 aprile 2013, n. 9793; Cass., Sez. 1, 18 gennaio 2008, n. 976).

5. Il primo motivo è peraltro infondato.

Premesso che la questione sollevata dalla ricorrente non è deducibile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riflettendo un error in procedendo, in ordine al quale questa Corte è giudice anche del fatto, e può quindi procedere al riscontro del vizio lamentato attraverso l’esame diretto degli atti di causa, indipendentemente dalla motivazione adottata dal giudice di merito (cfr. Cass., Sez. 6, 28 novembre 2014, n. 25308; Cass., Sez. 1, 10 settembre 2012, n. 15071; Cass., Sez. 3, 31 luglio 2012, n. 13683), si osserva che, ai fini della specificità dei motivi di appello, prescritta dall’art. 342 c.p.c., pur non essendo necessaria l’indicazione delle norme di diritto che si assumono violate nè una rigorosa e formalistica enunciazione delle doglianze addotte a sostegno del gravame, occorre che l’atto d’impugnazione consenta d’individuare con certezza le statuizioni contestate e le ragioni per cui se ne chiede la riforma, in modo tale da consentire al giudice di comprendere esattamente il contenuto delle censure proposte ed alle controparti di predisporre appropriate difese (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. Un., 9 novembre 2011, n. 23299; Cass., Sez. 3, 23 ottobre 2014, n. 22502; Cass., Sez. 1, 27 gennaio 2014, n. 1651). Tale onere nella specie non può ritenersi adeguatamente soddisfatto, essendosi la ricorrente limitata, nell’atto di appello, ad insistere genericamente sulla legittimazione passiva dell’Amministrazione comunale (recle: sull’obbligo della stessa di provvedere al pagamento del corrispettivo delle prestazioni alberghiere), ed in particolare ad evidenziare la situazione d’incertezza determinata dalle equivoche indicazioni fornite dal Ministero e dal comportamento attivo tenuto dal Comune nella vicenda, senza farsi carico di censurare la ratio decidendi della sentenza di primo grado, imperniata sull’affermazione secondo cui, avendo il Sindaco agito nella veste non già di organo dell’Amministrazione comunale, ma di ufficiale di governo, in virtù della delega prevista dalla L. 29 aprile 1982, n. 167 e dei poteri conferitigli in qualità di Commissario straordinario per le Zone terremotate, ai sensi del D.P.R. 16 febbraio 1981, n. 66, art. 16 gli effetti della sua attività erano imputabili direttamente al Ministero. Tale assunto, che implicava al tempo stesso un accertamento in fatto e l’applicazione di un principio di diritto, è rimasto incontestato sotto entrambi i profili, avendo la ricorrente concentrato le proprie critiche su aspetti sostanzialmente irrilevanti della vicenda, in tal modo venendo meno all’onere, posto a suo carico a pena d’inammissibilità del gravame, di contrappone alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata ragioni di fatto e di diritto idonee ad incrinarne il fondamento logico-giuridico (cfr. Cass., Sez. Un., 9 novembre 2011, n. 23299; Cass., Sez. 6, 22 settembre 2015, n. 18704; Cass., Sez. 2, 27 gennaio 2011, n. 1924).

6. – E’ altresì infondato il secondo motivo.

Il giudizio in esame è stato promosso con atto di citazione notificato il 25 ed il 28 febbraio 2000, ed è pertanto assoggettato alla disciplina dettata dagli artt. 167 e 180 c.p.c. (nel testo modificato dapprima dalla L. 26 novembre 1990, n. 353 e successivamente dal D.L. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito con modificazioni dalla L. 20 dicembre 1995, n. 534, ma anteriore alle ulteriori modificazioni introdotte dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2), i quali, nell’imporre al convenuto di propone tutte le sue difese nella comparsa di costituzione, ricollegavano all’inosservanza di tale onere un’immediata sanzione di decadenza soltanto in riferimento alle domande riconvenzionali, prevedendo invece, in ordine alle eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio, che le stesse potessero essere comunque proposte entro il termine perentorio che il giudice istruttore era tenuto ad assegnare alle parti all’udienza di prima comparizione, contestualmente alla fissazione dell’udienza di trattazione (cfr. Cass., Sez. 2, 3 aprile 2014, n. 7807; 3 settembre 2013, n. 20147). Nella specie, il termine in questione è stato puntualmente rispettato dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, la quale, dopo essersi limitata ad eccepire, nella comparsa di costituzione, il proprio difetto di legittimazione passiva, nella memoria depositata il 15 marzo 2001 ai sensi dell’art. 180 c.p.c., comma 2, secondo periodo ha formalmente eccepito la prescrizione dei crediti azionati, manifestando, sia pure incidentalmente ma univocamente, la volontà di far valere l’intervenuta estinzione della pretesa fatta valere. Nessun rilievo può assumere, a tal fine, la circostanza che la predetta deduzione non fosse accompagnata dal riferimento ad una delle ipotesi specificamente previste dalla legge, dovendo ritenersi sufficiente, ai fini della proposizione dell’eccezione in esame, la mera allegazione dei suoi elementi costitutivi, rappresentati dall’inerzia dell’attrice e dalla volontà di profittare dell’effetto ad essa ricollegato dall’ordinamento, in quanto l’individuazione del relativo termine si traduce in una quaestio juris, concernente l’identificazione del diritto azionato e la determinazione del regime prescrizionale applicabile, e costituisce pertanto un’operazione rimessa al giudice, previa attivazione del contraddittorio (cfr. Cass., Sez. 6, 20 gennaio 2014, n. 1064; Cass., Sez. lav., 22 ottobre 2010, n. 21752; Cass., Sez. 1, 22 maggio 2007, n. 11843).

7. Il terzo motivo, infine, è in parte inammissibile, in parte infondato.

A fondamento della dichiarazione di prescrizione dei crediti posti a fondamento della domanda, la sentenza impugnata ha infatti accertato che gli stessi avevano ad oggetto differenze dovute sul corrispettivo di prestazioni alberghiere rese dalla ricorrente nel periodo compreso tra il 1984 ed il 1988, e pertanto, pur dando atto dell’astratta idoneità ad interrompere la prescrizione di una richiesta di pagamento inviata ai convenuti nel mese di ottobre 1999, ha escluso in concreto che quest’ultima avesse potuto spiegare la predetta efficacia, in quanto alla data della sua spedizione il termine decennale di prescrizione risultava già scaduto per tutti gl’importi richiesti. Nel contestare tale conclusione, la ricorrente lamenta l’omessa valutazione dell’ultima fattura, emessa nel decennio anteriore all’invio della predetta richiesta, sottolineando il carattere unitario del rapporto da cui traevano origine i crediti azionati, ma astenendosi dal precisare se il corrispettivo delle prestazioni rese dovesse essere pagato in unica soluzione al termine del rapporto, ovvero, come sembra potersi desumere dal riferimento a fatture periodicamente emesse, a determinate scadenze contrattualmente concordate o individuate in via amministrativa: l’esistenza di una causa debendi a carattere continuativo non è infatti sufficiente ad escludere la decorrenza della prescrizione per le singole prestazioni dovute, ogni qualvolta le stesse abbiano carattere periodico, ed il relativo diritto possa quindi essere fatto valere dal creditore fin dal momento della relativa scadenza, indipendentemente dalla prosecuzione del rapporto con la controparte. La ricorrente, inoltre, pur insistendo sull’idoneità della richiesta di pagamento ad interrompere la prescrizione quanto meno per il corrispettivo indicato nell’ultima fattura, non contesta l’accertamento risultante dalla sentenza impugnata, secondo cui anche quell’importo si riferiva a prestazioni rese in data precedente all’inizio del decennio anteriore alla predetta richiesta, omettendo di considerare che, per effetto di tale ricostruzione dei fatti, l’esclusione del decorso della prescrizione avrebbe richiesto innanzitutto la deduzione e la prova dell’efficacia interruttiva della fattura, necessariamente condizionata al tempestivo inoltro della stessa all’Amministrazione debitrice. Nell’invocare gli ulteriori atti interruttivi compiuti e la transazione stipulata con il Comune, la ricorrente non si fa infine carico di trascriverne nel ricorso almeno i passi salienti, in modo da consentire a questa Corte di verificarne l’idoneità ad orientare in senso diverso la decisione, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione dei vizi di violazione di legge e difetto di motivazione, una rivisitazione dell’apprezzamento risultante dalla sentenza impugnata, non consentito a questa Corte, alla quale non spetta il compito di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di controllare la correttezza giuridica e la coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte a fondamento della decisione (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. 1, 4 novembre 2013, n. 24679; Cass., Sez. 5, 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass., Sez. lav., 18 marzo 2011, n. 6288).

8. – Il ricorso va pertanto rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali, che si liquidano come dal dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, e condanna la S.I.G.A.T. – Società Italiana Gestioni Alberghiere e Turistiche S.r.L. al pagamento delle spese processuali, che si liquidano per ciascun controricorrente in complessivi Euro 10.200,00, ivi compresi Euro 10.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 11 febbraio 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA