Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15336 del 25/06/2010

Cassazione civile sez. I, 25/06/2010, (ud. 25/05/2010, dep. 25/06/2010), n.15336

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 6539-2008 proposto da:

D.R. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI, giusta

procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

05/07/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/05/2010 dal Consigliere Dott. MARIA CRISTINA GIANCOLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso come da verbale di udienza.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato il 14.12.2006, D.R. adiva la Corte di appello di Napoli chiedendo che la Presidenza del Consiglio dei Ministri fosse condannata a corrispondergli l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la violazione dell’art. 6, sul “Diritto ad un processo equo”, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con la L. 4 agosto 1955, n. 848.

Con decreto del 4.05 – 5.07.2007, l’adita Corte di appello, nel contraddittorio delle parti, condannava la Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagare all’istante della somma di Euro 7.000,00, a titolo di equo indennizzo del danno non patrimoniale, nonchè le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 80,00 per esborsi, Euro 320,00 per diritti ed Euro 600,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, distratte in favore del difensore antistatario.

La Corte osservava e riteneva, tra l’altro:

– che il D. aveva chiesto l’equa riparazione del danno non patrimoniale subito per effetto dell’irragionevole durata del processo amministrativo in tema di differenze retributive, introdotto, dinanzi al TAR Campania, con ricorso depositato il 29.01.1997, ed ancora pendente;

– che la durata ragionevole del primo grado di detto processo amministrativo, trattandosi di controversia di ordinaria complessità, poteva essere fissata in un triennio, avuto anche riguardo ai parametri temporali CEDU;

– che per il periodo d’irragionevole ritardo di definizione, quantificabile in quasi 7 anni, il chiesto indennizzo del danno morale doveva essere equitativamente liquidato nella misura di Euro 1.000,00 ad anno di ritardo, dal momento che il patema d’animo sofferto non poteva reputarsi particolarmente significativo ed apprezzabile.

Avverso questo decreto il D. ha proposto ricorso per Cassazione, notificato il 26.02.2008. La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha resistito con controricorso notificato il 5-7.04.2008.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente vanno disattese le istanze che il Pg ha formulato all’udienza pubblica, in parte inerenti a questioni anche d’incostituzionalità (cfr., tra le altre, cass. 200801354), già affrontate e risolte da questa Corte, con univoco condiviso indirizzo, ed in parte relative a temi di politica legislativa, estranei all’ambito decisorio.

Riassuntivamente ed in sintesi, con il ricorso il D. denuncia violazioni di legge e vizi motivazionali e chiede l’annullamento del decreto impugnato, in applicazione delle rubricate disposizioni normative e dei relativi principi giurisprudenziali anche sovranazionali, riferiti sia (motivi da 1 a 6) ai criteri di liquidazione del danno morale, che conclusivamente assume essergli dovuto nella misura di Euro 125 per 118 mesi di durata del processo, con integrazione del bonus di Euro 2.000,00, e sia (motivi da 7 a 13) all’insufficienza delle liquidate spese, a suo parere anche immotivatamente ridotte rispetto a quelle richieste con la nota spese depositata nel pregresso grado di merito. Il ricorso va accolto nei limiti delle argomentazioni che seguono.

Infondate risultano le censure afferenti l’insufficienza dell’indennizzo liquidato per il subito danno non patrimoniale. Nel caso in disamina, infatti, la Corte di merito:

– ha legittimamente non correlato l’indennizzo alla durata dell’intero processo, posto che la legge nazionale L. n. 89 del 2001, (art. 2 comma 3, lett. a), con una chiara scelta di tecnica liquidatoria non incoerente con le finalità sottese all’art. 6 della CEDU, impone di riferire il ristoro al solo periodo di durata eccedente il ragionevole (cfr. tra le altre, Cass. 200508568; 200608714; 200723844);

– ha legittimamente liquidato in via equitativa, l’importo di Euro 1.000,00 ad anno di incongruo ritardo (cfr. tra le altre, Cass. 200508568; 200608714; 200723844), senza maggiorazioni, dal momento che la determinazione si rivela in linea con i parametri di quantificazione della riparazione del danno non patrimoniale applicati in casi simili dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, oscillanti tra Euro 1.000,00 e 1.500,00, e che l’aderenza al parametro minimo appare congruamente seppure implicitamente argomentata con riferimento alle peculiarità del caso (tra le numerose altre, cfr. Cass. 200704845), che precludevano pure l’incrementabilità con bonus di Euro 2.000,00, il quale presuppone casi di particolare gravità del danno in relazione alla posta in gioco, nella specie non evincibile (in tema cfr Cass. 20086808; 200917684).

Fondate sono, invece, le censure inerenti all’entità delle spese processuali del giudizio di merito.

Nei processi davanti ai giudici nazionali, ivi compresi quelli di equa riparazione per irragionevole durata del processo, il regime delle spese di lite deve seguire le regole legali previste dalla legge italiana (in tema, cfr. Cass. 200318204; 200423789; 200714053), ma nella specie quanto liquidato a tale titolo appare non rispondente per difetto ai vigenti criteri tariffari, fissati per processo svoltosi innanzi alla Corte di appello, Accolta, dunque, la doglianza in questione, sulle esposte premesse ben può procedersi con riguardo soltanto alla statuizione inerente alla liquidazione delle spese del giudizio di merito alla cassazione dell’impugnato decreto e, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., alla riliquidazione di tali spese secondo gli importi indicati in dispositivo, in relazione ad attività necessariamente compiute, non avendo il ricorrente specificato le modalità anche temporali di deposito della nota spese nel pregresso grado.

L’esito del ricorso giustifica la compensazione nella misura di 2/3 delle spese del giudizio di legittimità, e la condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri a pagamento della residua parte, liquidata come in dispositivo. Spese distratte.

P.Q.M.

Accoglie nei limiti di cui in motivazione il ricorso del D., cassa in parte qua il decreto impugnato e decidendo nel merito liquida le spese del giudizio di merito in complessivi Euro 1.170,00 (di cui Euro 80,00 per esborsi ed Euro 490,00 per onorari), oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, condannando la Presidenza del Consiglio dei Ministri al relativo pagamento in favore della ricorrente. Compensa, inoltre, nella misura di 2/3, le spese del giudizio di legittimità e condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore della ricorrente della residua parte, che liquida in complessivi Euro 322,00, di cui Euro 35 per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge, spese tutte da distarsi in favore dell’Avv.to A.L. Marra antistatario.

Così deciso in Roma, il 25 maggio 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2010

 

 

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