Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15333 del 25/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 25/07/2016, (ud. 17/05/2016, dep. 25/07/2016), n.15333

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13070-2013 proposto da:

C.R., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

LUNGOTEVERE FLAMINIO 26, presso lo studio dell’avvocato ROSARIO

STEFANO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIA

ROSARIA DAMIZIA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

ANAS S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo

studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 894/2011 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA,

depositata il 18/05/2012 R.G.N. 778/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2016 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito l’Avvocato MARIANI DANIELE per delega orale Avvocato PESSI

ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità o

improcedibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 894/2011, depositata il 18/5/2012, la Corte di appello di Bologna, in accoglimento del gravame di ANAS S.p.A. e in riforma della sentenza del Tribunale di Bologna, respingeva il ricorso, con il quale C.R., dipendente di ANAS con inquadramento nell’Area Operativa e di Esercizio da ultimo con posizione economica B, aveva chiesto che venisse accertato il suo diritto al superiore inquadramento nell’Area Quadri A1 – profilo di Coordinatore Amministrativo, sul rilievo di avere svolto dal 18 aprile 1996 mansioni di Responsabile dell’ufficio Contravvenzioni e in seguito, per alcuni anni, anche mansioni di addetta alla trattazione dette liti “attive” munita di procura e con rappresentanza della società.

La Corte, esaminate le declaratorie contrattuali e le risultanze dell’istruttoria orale, rilevava che le mansioni svolte dall’appellata risultavano prive del grado di autonomia e, più in generale, delle “dimensioni qualitative” proprie del profilo rivendicato.

Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la C. con unico articolato motivo; l’ANAS ha resistito con controricorso, assistito da memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La ricorrente censura la sentenza impugnata per avere svolto un esame non corretto delle declaratorie contrattuali e per avere male interpretato le dichiarazioni rese dai testi nel primo grado di giudizio.

Si deve peraltro, in via preliminare, rilevare che, avverso la sentenza di appello n. 894/2011, depositata il 18/5/2012, la C. ha proposto un primo ricorso per cassazione notificato il 31/7/2012 (ma non seguito da deposito) ed un secondo ricorso, notificato il 13/5/2013 (depositato il 31/5 successivo).

Su tali premesse, la presente impugnazione risulta improcedibile.

E’, infatti, consolidato l’orientamento di questa Corte di legittimità, per il quale “la consumazione dell’impugnazione – mentre non consente a chi abbia già proposto una rituale impugnazione di proporne una successiva (di diverso o identico contenuto) non esclude, fatti salvi determinati limiti, che, dopo la proposizione di un’impugnazione viziata, possa esserne proposta una seconda immune dai vizi della precedente e destinata a sostituirla. In particolare, per espressa previsione normativa (ai sensi degli artt. 358 e 387 c.p.c., rispettivamente per l’appello e per il ricorso per cassazione), la consumazione del diritto di impugnazione presuppone l’esistenza – al tempo della proposizione della seconda impugnazione – di una declaratoria di inammissibilità o improcedibilità della precedente; per cui, in mancanza di tale (preesistente) declaratoria, è legittimamente consentita la proposizione di un’altra impugnazione (di contenuto identico o diverso) in sostituzione della precedente viziata, a condizione che il relativo termine non sia decorso. Peraltro, con riferimento alla tempestività della seconda impugnazione, occorre aver riguardo non al termine annuale, ma a quello breve, il quale decorre – in difetto di anteriore notificazione della sentenza appellata – dalla data di proposizione della prima impugnazione. Infatti, la proposizione di impugnazione equivale alla conoscenza legale della decisione impugnata da parte del soggetto che l’abbia proposta e, pertanto, fa decorrere il termine breve per le ulteriori impugnazioni nei confronti del medesimo e/o delle altre parti” (Cass. 27 ottobre 2005, n. 20912).

Conforme, fra le più recenti, Cass. 3 settembre 2014, n. 18604: “il principio di consumazione dell’impugnazione non esclude che, fino a quando non intervenga una declaratoria di inammissibilità, possa essere proposto un secondo atto di impugnazione, immune dai vizi del precedente e destinato a sostituirlo, purchè esso sia tempestivo, requisito per la cui valutazione occorre tenere conto, anche in caso di mancata notificazione della sentenza, non del termine annuale, che comunque non deve essere già spirato al momento della richiesta della notificazione della seconda impugnazione, ma del termine breve, che decorre dalla data di proposizione della prima impugnazione, equivalendo essa alla conoscenza legale della sentenza da parte dell’impugnante”.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

la Corte dichiara il ricorso improcedibile; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2016

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