Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15332 del 25/06/2010

Cassazione civile sez. I, 25/06/2010, (ud. 19/05/2010, dep. 25/06/2010), n.15332

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.P., elettivamente domiciliato in Roma, viale G.

Cesare 14A/4, presso l’avv. Pafundi Gabriele, che con l’avv. Aldo

Spirito lo rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

Fallimento Gruppo Industriale Finimpianti – G.I.FI. s.p.a. in persona

del curatore, elettivamente domiciliato in Roma, via Azuni 9, presso

l’avv. Paolo De Camelis, rappresentato e difeso dall’avv. Adinolfi

Antonio giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Cassazione n. 14055/08 del

28.5.2008;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19.5.2010 dal Relatore Cons. Dr. Carlo Piccininni;

Uditi gli avv. Pafundi per il ricorrente e De Camelis su delega per

il fallimento;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso riportandosi alla relazione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 28.5.2008 questa Corte dichiarava inammissibile il ricorso proposto da T.P. contro la sentenza con la quale la Corte di Appello di Milano aveva confermato la sentenza di primo grado, che aveva rigettato l’opposizione allo stato passivo del fallimento GI.FI. s.p.a., proposta per il mancato accoglimento dell’istanza di ammissione.

Al riguardo il relatore designato ai sensi degli artt. 377 e 380 bis c.p.c. osservava: “In particolare la Corte, nel delibare l’eccezione di inammissibilità del ricorso (notificato il 28.2.2004) per tardività, la riteneva fondata sulla base delle seguenti considerazioni: la sentenza era stata notificata il 30.12.2003 dal curatore del fallimento ai sensi dell’art. 330 c.p.c. al T. presso il suo procuratore costituito, S.A.; dalla detta data era dunque iniziato a decorrere il termine breve di cui all’art. 325 c.p.c; non era stato allegato al ricorso l’asserito atto di sospensione dall’albo del proprio difensore, nè era stato successivamente depositato il detto provvedimento con le formalità stabilite dall’art. 372 c.p.c., comma 2; nella specie doveva trovare applicazione il disposto dell’art. 99, comma 5, L. Fall., nella formulazione antecedente alla riforma, che stabilisce che l’ordinario termine per il ricorso per cassazione deve essere ridotto della metà; il termine di trenta giorni era dunque scaduto il 24.1.2004, mentre il T. aveva spedito il ricorso, per la notifica a mezzo del servizio postale, soltanto in data 28.2.2004.

Contro la detta decisione T. ha proposto ricorso per revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, sostenendo che, contrariamente a quanto affermato nella sentenza di questa Corte, in data 15.9.2005 erano stati ritualmente depositati nuovi documenti, fra i quali in particolare la comunicazione del 26.1.2004 del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di (OMISSIS) all’avv. S. della sua sospensione dall’esercizio della professione forense dal (OMISSIS), nonchè la relativa attestazione dello stesso Consiglio in data (OMISSIS).

La sentenza sarebbe dunque diretta conseguenza dell’errore di fatto risultante dagli atti, poichè la decisione sarebbe fondata sulla supposizione dell’inesistenza di fatti, la cui esistenza sarebbe viceversa incontestabilmente stabilita. Resisteva il fallimento GI.FI con controricorso, con il quale sosteneva l’infondatezza del ricorso sotto diversi aspetti, e cioè in quanto: a) il provvedimento di sospensione dall’albo è atto distinto dalla comunicazione prodotta e quindi la Corte non sarebbe incorsa in alcun errore; b) nel giudizio di appello T. era rappresentato e difeso, anche disgiuntamente, dagli avv. S.A. e V.D., presso il cui comune studio aveva eletto domicilio; la sentenza di appello era stata notificata presso lo studio dei procuratori, entrambi domiciliatari; c) l’eventuale sospensione dell’avv. S. non avrebbe potuto pertanto incidere negativamente sui diritti di difesa del ricorrente.

Ritiene il relatore che sia condivisibile il rilievo sub 1) del fallimento (gli altri due profili esulano dall’ambito del giudizio revocatorio), e ciò in quanto, non essendovi coincidenza fra la documentazione non riscontrata in atti e quella viceversa che risulterebbe dalla successiva nota di deposito del T. non è configurabile il vizio denunciato.

Nè può ritenersi che la sostanziale identità di contenuti possa equiparare sotto il profilo formale le due produzioni, e ciò tenuto conto, da una parte, del preciso riferimento operato dalla Corte di Cassazione al provvedimento in se e, dall’altra, della diversità dell’atto con il quale è stata disposta la sospensione rispetto a quelli che, più semplicemente, ne richiamano il contenuto”. Tali rilievi sono stati contrastati dal ricorrente con memoria, con la quale ha ribadito il convincimento che questa Corte non avesse considerato la documentazione – ritualmente prodotta – attestante l’avvenuta sospensione dell’avv. S. e che comunque la notifica della sentenza eseguita presso il domicilio eletto nelle mani dell’avv. S. sarebbe stata invalida, pur a fronte di una delega con poteri disgiunti rilasciata dal T. anche in favore dell’avv. V., collega di studio dell’avv. S.. Ritiene il Collegio che i detti rilievi siano condivisibili.

Quanto all’affermata mancanza dell’atto di sospensione dall’albo del difensore avv. S., l’assenza di ogni riferimento al contenuto della documentazione prodotta ed alla sua implicita inidoneità a dare dimostrazione di quanto sostenuto, legittima il convincimento che la Corte, piuttosto che ritenerli inidonei, abbia omesso di considerarli.

Quanto alla invalidità della notifica della sentenza impugnata, la stessa è stata eseguita nei confronti dell’avv. S., all’epoca sospeso dall’albo, e pertanto è del tutto irrilevante che il T. avesse rilasciato delega anche in favore dell’avv. V., e che quest’ultimo e l’avv. S. operassero nello stesso studio, presso il quale l’attuale ricorrente aveva eletto domicilio. Il ricorso per revocazione deve dunque essere accolto.

Scendendo quindi al merito del ricorso per cassazione (art. 402 c.p.c.), si osserva che lo stesso è articolato in quattro motivi e denuncia l’erroneità della sentenza con la quale la Corte di Appello di Milano ha confermato la decisione di primo grado, che aveva rigettato la domanda di ammissione allo stato passivo del fallimento G.I.F.I. – Gruppo Industriale Finimpianti s.p.a., inoltrata da T.P..

In particolare con i motivi di impugnazione quest’ultimo ha rispettivamente dedotto:

1) la nullità della sentenza impugnata per violazione del contraddittorio, atteso che il fallimento non avrebbe sollevato alcuna eccezione in ordine alla certezza della data della scrittura posta a base della pretesa creditoria (la questione sarebbe stata proposta soltanto con la comparsa conclusionale, e quindi tardivamente);

2) violazione dell’art. 112 c.p.c., per il fatto che sarebbero stati valorizzati argomenti diversi da quelli prospettati dalle parti;

3) vizio di motivazione per illogicità, atteso che secondo la Corte di appello la risoluzione dell’accordo verbale fra le parti risalirebbe all’aprile 1996, la detta risoluzione presupponeva logicamente l’esistenza di un accordo, l’avvenuta determinazione della data certa al 31.1.1997 (allegata alla richiesta di decreto ingiuntivo) con inopponibilità per il periodo precedente sarebbe dunque contraddittoria, il curatore viceversa avrebbe dovuto dare dimostrazione del carattere simulato della scrittura, prova nella specie non fornita;

4) violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento ” ad una non corretta valutazione delle prove in violazione dell’art. 116 c.p.c.”. Le doglianze sono infondate.

Sul primo motivo si rileva che la questione era già stata sottoposta all’esame della Corte territoriale, che l’aveva disattesa sotto il duplice aspetto che “il giudice, nell’esercizio del potere-dovere di valutare le risultanze ritualmente acquisite al processo, non è certo vincolato dalle argomentazioni delle parti”, nonchè in quanto la contestata eccezione non sarebbe stata sollevata in sede di comparsa conclusionale, ma fin con la comparsa di costituzione.

Tali affermazioni, tuttavia, non sono state correttamente censurate, poichè la doglianza è sostanzialmente incentrata su una differente valutazione di merito rispetto a quella adottata dalla Corte dì Appello, in ragione della non coincidente interpretazione dei riscontri probatori acquisiti. Per di più è assolutamente errata l’argomentazione del ricorrente secondo cui dall’accertamento dell’opponibilità dell’accordo alla procedura sarebbe dovuto derivare, al fine di paralizzarne l’efficacia, la prova della sua simulazione, e ciò in quanto nei confronti del curatore, terzo rispetto alle parti, la data della scrittura si considera certa soltanto dalla data in cui si verifica uno degli eventi indicati nell’art. 2704 c.c..

In ordine al secondo valgono gli stessi argomenti svolti con il primo motivo. Il ricorrente non ha invero censurato la statuizione secondo cui il giudice non è vincolato alle argomentazioni svolte dalle parti (p. 8), ha svolto il motivo di doglianza riproponendo non consentite deduzioni in fatto, non ha chiarito le ragioni per cui, al di là della generica enunciazione, la decisione sarebbe errata, non ha indicato al contrario i motivi per cui dall’interpretazione da lui suggerita dovrebbe discendere necessariamente un esito diverso della controversia.

E’ poi insussistente il vizio di motivazione sotto il profilo dell’illogicità, denunciato con il terzo motivo di impugnazione. In proposito la Corte di appello si è espressa nei seguenti termini: “Infatti ciò che rileva è che la data dell’accordo di collaborazione si può ritenere accertata non prima del 31.1.1997, mentre per il periodo precedente l’accordo stesso e le sue vicende non possono essere invocati a sostegno della domanda dell’odierno appellante; infatti è priva di significato giuridico la cd. revoca dell’accordo, che si assume avvenuta in una data che non è computabile nei confronti della massa dei creditori; al riguardo è assorbente considerare che, anteriormente al 31.1.1997, non si può ritenere giuridicamente esistente un contratto scritto di collaborazione opponibile alla curatela fallimentare” (p. 11).

Si tratta di motivazione del tutto immune da vizi logici poichè, come detto, è errato voler desumere dalla esistenza di un rapporto in corso di svolgimento, accertato ai sensi del disposto di cui all’art. 2704 c.c., una certezza anche con riferimento ai periodi antecedenti a quello in cui si è verificato l’evento conferente la detta certezza. Ne discende l’insussistenza della denunciata contraddizione.

Resta infine l’ultimo motivo, con il quale il ricorrente ha lamentato l’erronea interpretazione delle deposizioni dei testi escussi, soprattutto in quanto non considerate nell’ambito del contesto generale cui avevano fatto riferimento. Anche a tale proposito si rileva che il T. ha riproposto sostanzialmente in questa sede la valutazione di elementi di fatto già considerati ed analizzati dal giudice del merito, contrapponendo una difforme interpretazione del materiale probatorio acquisito e senza fra l’altro addurre specifici rilievi idonei a rappresentare, da una parte, i profili di erroneità (a parte il non condiviso esito) che avrebbe posto in essere la Corte territoriale e, dall’altra, le ragioni per cui la difforme interpretazione suggerita avrebbe dovuto comportare un diverso esito della lite. Ne consegue, conclusivamente, che il ricorso va rigettato, con condanna del ricorrente, soccombente, al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso, revoca la sentenza impugnata e, pronunziando sul ricorso, lo rigetta. Condanna infine il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 10.200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2004.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2010

 

 

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