Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15332 del 21/07/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 15332 Anno 2015
Presidente: PICCIALLI LUIGI
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

SENTENZA
sul ricorso 1473-2010 proposto da:
DURANTE

ANDREA

DRNNDR7OL24D014X,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA PADRE SEMERIA 63, presso lo
studio dell’avvocato STEFANIA STASI, rappresentato e
difeso dall’avvocato SALVATORE COLUCCIA;
– ricorrente contro

2015
1419

COSTRUZIONI EDILI BATTISTUTTA E MEDEOT SNC, IN PERSONA
DEL LEGALE RAPP.TE P.T.;

intimata

avverso la sentenza n. 712/2008 del TRIBUNALE di

Data pubblicazione: 21/07/2015

GORIZIA, depositata il 22/12/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 26/05/2015 dal Consigliere Dott. LUIGI
GIOVANNI LOMBARDO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il

rigetto del ricorso.

L

RITENUTO IN FATTO
1. – Durante Andrea convenne in giudizio, innanzi al giudice di pace
di Gorizia, la società “Costruzioni edili Battistutta e Medeot s.n.c.”,
proponendo opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal medesimo
giudice di pace, col quale gli era stato intimato il pagamento, alla detta

quale debito residuo relativo alla prestazione d’opera e fornitura di materiali
di cui alla fattura emessa dalla ditta convenuta (relativa alla costruzione di
una pensilina nell’abitazione dell’opponente) per un totale di € 4.017,00.
Chiese dichiararsi nullo o annullarsi o revocarsi il decreto ingiuntivo
opposto per carenza delle condizioni di ammissibilità, nel merito, rigettare
la domanda di parte attrice e dichiarare l’inesistenza del credito da essa
vantato.
La società convenuta resistette all’opposizione, chiedendone il rigetto
con l’efficacia esecutiva del decreto opposto.
Il giudice adito respinse l’opposizione e confermò il decreto
ingiuntivo impugnato, condannando l’opponente a rifondere alla società
convenuta le spese del giudizio.
2. – Sull’appello proposto dal Durante, il Tribunale di Gorizia, con
sentenza del 22 dicembre 2008, rigettò l’impugnazione e confermò la
sentenza impugnata, condannando l’appellante alle ulteriori spese del grado.
3. – Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione Durante
Andrea, formulando tre motivi.
La società “Costruzioni edili Battistutta e Medeot s.n.c.”, ritualmente
intimata, non ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Col primo motivo, si deduce la violazione degli artt. 633 e 634
cod. proc. civ., nonché l’inammissibilità, nullità, annullabilità del decreto

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società, della somma di € 2.017,00, oltre agli interessi e alle spese legali,

ingiuntivo opposto, del quale si chiede anche la declaratoria di inefficacia o
la revoca. Si deduce, in particolare, che il giudice di pace non avrebbe
potuto emettere il decreto ingiuntivo sulla base della semplice fattura
proveniente dalla società attrice, in quanto il credito da essa vantato non
sarebbe stato liquido.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, costituisce prova scritta,
atta a legittimare la concessione del decreto ingiuntivo a norma degli artt.
633 e 634 cod. proc. civ., qualsiasi documento proveniente dal debitore o
da un terzo, purché idoneo a dimostrare il diritto fatto valere, anche se privo
di efficacia probatoria assoluta (quale, avuto riguardo alla sua formulazione
unilaterale, la fattura commerciale), fermo restando che la completezza
della documentazione esibita va accertata nel successivo giudizio di
opposizione, a cognizione piena, nel quale il creditore può provare il suo
credito indipendentemente dalla legittimità, validità ed efficacia del
provvedimento monitorio, allo stesso modo in cui il debitore può
dimostrare la insussistenza del preteso diritto (Sez. 1, Sentenza n. 9685 del
24/07/2000, Rv. 538722). Anche la fattura costituisce titolo idoneo per
l’emissione di un decreto ingiuntivo, in favore di chi l’ha emessa, ma
nell’eventuale giudizio di opposizione la stessa non costituisce prova
dell’esistenza del credito, che dovrà essere dimostrato con gli ordinari
mezzi di prova dall’opposto (Sez. 3, Sentenza n. 5071 del 03/03/2009, Rv.
606941; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 5915 del 11/03/2011, Rv. 617411; e, in
tema di appalto privato, Sez. 2, Sentenza n. 10860 del 11/05/2007, Rv.
596784).
Legittimamente, perciò, i giudici di merito hanno ritenuto la fattura
emessa dalla società “Costruzioni edili Battistutta e Medeot s.n.c.” titolo

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La censura non è fondata.

idoneo alla emissione del decreto ingiuntivo, risultando sul punto la
sentenza impugnata immune dai vizi denunciati.
2. – Col secondo motivo di ricorso, si deduce la nullità della sentenza
impugnata per omessa pronuncia (art. 360 n. 4 in relazione all’art. 112 cod.
proc. civ.). Si deduce, in particolare che il giudice di appello avrebbe

ingiuntivo per la illiquidità del credito azionato, eccezione proposta in
primo grado e riproposta con l’atto di appello.
Anche questa censura è priva di fondamento per le ragioni dianzi
evidenziate.
Invero, la fattura costituisce — come dianzi ricordato — titolo idoneo
alla emissione del decreto ingiuntivo, in quanto la stessa, quantificando la
somma dovuta, rende il credito di una somma di denaro “liquido”, come
richiesto dall’art. 633 comma 1 cod. proc. civ. ai fini dell’ammissibilità del
procedimento d’ingiunzione. Quanto detto, tuttavia, vale solo ai fini
dell’emissione del decreto ingiuntivo, in quanto nel successivo giudizio di
opposizione, quando il preteso debitore muove contestazioni sull’an o sul

quantum debeatur,, le fatture non valgono a dimostrare l’esistenza del
credito, né — tanto meno – la sua liquidita ed esigibilità.
La Corte territoriale si è attenuta a tale principio, ritenendo — sia pure
con motivazione implicita — che sussistesse la liquidità del credito ai fini
della emissione del decreto ingiuntivo. Non ricorre pertanto la dedotta
omissione di pronuncia, risultando su tale punto la sentenza impugnata
immune dal vizio denunciato.
3. – Col terzo motivo, si deduce infine l’omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione della sentenza impugnata relativamente alla
richiesta di revoca del decreto ingiuntivo opposto, nonché la violazione
degli artt. 2725, 2707 e 2997 cod. civ., in relazione alla ritenuta sussistenza

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omesso di pronunciare sulla eccezione di inammissibilità del decreto

del credito azionato. In particolare, si deduce che i giudici di merito
avrebbero errato a non ritenere che le parti contraenti avevano concordato,
per l’esecuzione dei lavori, la somma di lire 4.000.000, corrispondente
all’importo di C 2.000,00 effettivamente versato dal ricorrente alla società
opposta; il giudice di appello avrebbe poi errato nel ritenere che il Durante

merito avrebbero errato nel ritenere congruo il prezzo dei lavori indicato
nella fattura sulla base delle risultanze delle dichiarazioni testimoniali
assunte e della consulenza tecnica d’ufficio esperita nel giudizio di primo
grado.
Il motivo è inammissibile, per la mescolanza e la sovrapposizione di
censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione.
Invero, secondo la giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal
Collegio, in tema di ricorso per cassazione, è inammissibile la mescolanza e
la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento
alle diverse ipotesi contemplate dall’art. 360 primo comma nn. 3 e 5 cod.
proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima
questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme
di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si
deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio
di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere
in discussione; o quale l’omessa motivazione, che richiede l’assenza di
motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e
l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica
indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe
stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorietà della motivazione, che
richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella
sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti,

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non avesse contestato l’importo della fattura; in ogni caso, i giudici di

l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti
l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa
mira a rimettere al giudice di legittimità il compito di isolare le singole
censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi
d’impugnazione enunciati dall’art. 360 cod. proc. civ., per poi ricercare

inammissibilmente, al giudice di legittimità il compito di dare forma e
contenuto giuridici alle lagnanze del ricorrente, al fine di decidere
successivamente su di esse (Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011, Rv.
619790).
In ogni caso, il motivo è inammissibile, perché sottopone alla Corte
censure in fatto, precluse in sede di legittimità.
Premesso che l’affermazione del giudice di appello secondo cui il
Durante non avrebbe contestato prima del giudizio l’importo della fattura
costituisce un’argomentazione della sentenza impugnata svolta

“ad

abundantiam” — non costituente “ratio decidendi” della medesima —
cosicché la censura sul punto è inammissibile per difetto di interesse,
(Sez. L, Sentenza n. 23635 del 22/11/2010 Rv. 615018; Sez. L, Sentenza n.
22380 del 22/10/2014, Rv. 633495), il ricorrente in realtà censura la
valutazione delle prove acquisite da parte dei giudici di merito e le
conclusioni cui essi sono pervenuti nel ritenere la insussistenza della prova
che le parti contraenti avessero concordato il prezzo (in lire 4.000.000)
delle opere da eseguire e la congruità dell’importo fatturato rispetto alle
opere effettivamente eseguite.
E tuttavia, in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte,
va ribadito che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità
non il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al
suo vaglio, ma solo la facoltà di controllare — sotto il profilo della

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quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo, così attribuendo,

correttezza giuridica e della coerenza logico-formale — le argomentazioni
svolte dal giudice di merito, al quale soltanto spetta, in via esclusiva, il
compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di valutarne
l’attendibilità e la concludenza, di scegliere — tra le complessive risultanze
del processo — quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la

o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvi i casi, tassativamente previsti
dalla legge, in cui la valutazione delle prove è sottratta alla discrezionalità
del giudice: c.d. prove legali). Ne consegue che il preteso vizio di
motivazione sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà
della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel
ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del
mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia,
prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esista insanabile
contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non
consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base
della decisione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 2357 del 07/02/2004,
Rv. 569961; Sez. 5, Sentenza n. 27197 del 16/12/2011 Rv. 620709; Sez.
L, Sentenza n. 12052 del 23/05/2007, Rv. 597230).
Nella specie, i giudici di merito hanno chiarito, con dovizia di
argomenti, le ragioni della loro decisione; non si ritiene, peraltro — per ovvi
motivi — di riportare qui integralmente tutte le suddette argomentazioni,
sembrando sufficiente al Collegio far rilevare che le stesse non sono né
illogiche né insufficienti; e che, anzi, l’estensore della sentenza ha esposto
in modo ordinato e coerente le ragioni che giustificano la decisione
adottata.
Riducendosi la censure del ricorrente a doglianze relative al merito
della valutazione delle prove, le stesse risultano inammissibili.

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veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno

4. – Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Stante la mancata
costituzione dell’intimato, nulla va statuito sulle spese.
P. Q. M.
La Corte Suprema di Cassazione

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda
Sezione Civile, addì 26 maggio 2015.

rigetta il ricorso.

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