Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15330 del 25/06/2010

Cassazione civile sez. I, 25/06/2010, (ud. 08/06/2010, dep. 25/06/2010), n.15330

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 33787-2006 proposto da:

C.M. (c.f. (OMISSIS)), in proprio e nella

qualità di procuratore di G.G., elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA SAVOIA 72, presso l’avvocato DI NAPOLI ROBERTO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PALMA ANTONIO, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

U.G.C. S.P.A., UNICREDIT BANCA S.P.A.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 585/2006 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 14/09/2006;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/06/2010 dal Consigliere Dott. RENATO RORDORF;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato ANTONIO PALMA che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

il P.G. oggi presente in udienza si riporta a quanto già scritto.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Il sig. C.M., anche quale procuratore della sig.ra G.M.G., ha impugnato per cassazione la sentenza depositata il 14 settembre 2006 dalla Corte d’appello di Lecce, che aveva rigettato un gravame proposto contro una precedente sentenza del tribunale di quella stessa città. Con tale sentenza era stata respinta la domanda di revocazione, per dolo della controparte, avanzata avverso un decreto ingiuntivo non opposto, emesso su richiesta del Credito Romagnolo s.p.a., avente ad oggetto il pagamento di L. 109.331.615, oltre agli accessori ed alle spese, quale debito derivante da un’apertura di credito in conto corrente operata dalla banca, in favore di detta sig.ra G., garantita con fideiussione del sig. C..

L’istituto di credito intimato non ha svolto difese in questa sede.

Il consigliere relatore ha prospettato l’inammissibilità del ricorso per le ragioni appresso indicate.

“Il ricorrente lamenta, in primo luogo, la violazione dell’art. 115 c.p.c., assumendo che alcune affermazioni dell’impugnata sentenza contrasterebbero con le risultanze acquisite al giudizio o sarebbero comunque frutto di congetture del giudice, avulse da tali risultanze.

E’ dubbio se una siffatta censura valga davvero ad integrare la denuncia di un errore di diritto, come tale deducibile in cassazione, o se non si traduca piuttosto in un’ inammissibile richiesta di riesame nel merito delle risultanze istruttorie e delle valutazioni operate in punto di fatto dal giudice di merito. E’ anche dubbio, peraltro, ove pure le suaccennate censure fossero astrattamente riconducibili alla violazione del citato art. 115 ed integrassero perciò gli estremi di un error in procedendo del giudice, se possa dirsi nella specie rispettato il disposto dell’art. 366-bis c.p.c. (applicabile al presente ricorso ratione temporis): atteso che il quesito di diritto formulato a corredo del motivo dfimpugnazione si risolve nella mera articolazione, in forma retorica, di domande volte a sapere se il giudice può o meno violare la legge e non contiene l’enunciazione di alcun principio di diritto, contrapposto a quello sul quale si sia fondata la decisione impugnata, di cui il ricorrente auspichi l’affermazione ad opera della Suprema corte.

Quest’ultima considerazione sembra riferibile anche ai quesiti posti a corredo delle ulteriori censure con cui il ricorrente invoca l’applicazione della legge di ratifica della Convenzione europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo (che parrebbe peraltro del tutto estranea al thema decidendum del giudizio di merito, nel quale unicamente si doveva discutere e si è discusso della sussistenza o meno del vizio revocatorio ravvisato dal ricorrente in un decreto ingiuntivo a suo tempo emesso nei suoi confronti e non tempestivamente opposto) e fa riferimento a diversi articoli della costituzione (l’applicazione dei quali parrebbe d’altronde ugualmente dubbia, in una causa che non è stata proposta quale opposizione tardiva a decreto ingiuntivo, bensì sul presupposto – non tuttavia riscontrato dai giudici di merito – che l’emissione del decreto sarebbe stato effetto del dolo della controparte, non immediatamente percepibile dal ricorrente).

Per le stesse ragioni è dubbia l’idoneità dei quesiti relativi al motivo di ricorso in cui viene denunciata la violazione degli artt. 82, 83, 111 e 100 c.p.c., in relazione al mancato rilievo di un preteso difetto di capacità di stare in giudizio da parte della Unicredit Gestione Crediti s.p.a., costituitasi in secondo grado quale procuratore della Unicredit Banca (succeduta alla Rolo Banca (OMISSIS), a propria volta subentrata al Credito Romagnolo). Violazione, questa, che, se anche fosse sussistente, non è sicuro abbia comunque avuto una qualche effettiva incidenza sull’esito del giudizio.

Le medesime considerazioni paiono da fare anche per il quesito relativo al motivo di ricorso per asserita violazione dell’art. 634 c.p.c., che peraltro sembrerebbe aver poca attinenza con il giudizio per revocazione, mentre le censure volte a denunciare la violazione dell’art. 116 c.p.c., dell’art. 1284 c.c. e della L. n. 108 del 1996 risultano del tutto sfornite di quesiti di diritto.

L’ultimo motivo di ricorso, con cui si lamentano vizi di motivazione dell’impugnata sentenza, è corredato da un quesito di diritto del pari formulato in guisa di interrogativo meramente retorico e non contiene, invece, l’indispensabile momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) idoneo a circoscrivere puntualmente i limiti della censura in ordine ai punti della decisione ed ai fatti decisivi cui essa allude (si veda, a questo ultimo riguardo, Sez. un., n. 20603/07)”.

Le ragioni d’inammissibilità ipotizzate nella relazione pienamente sussistono; nè i rilievi successivamente formulati dal ricorrente nella memoria da lui depositata valgono in alcun modo a scalfirle, giacchè unicamente si sostanziano nella riproposizione delle tesi già esposte in ricorso, accompagnata da una copiosa produzione documentale del pari in questa sede inammissibile.

Alla declaratoria d’inammissibilità non deve far seguito alcun provvedimento sulle spese del giudizio di cassazione, non essendo stata svolta difesa alcuna da parte dell’intimato.

P.Q.M.

La corte dichiara il ricorso inammissibile.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2010

 

 

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