Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15330 del 03/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 03/06/2021), n.15330

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 37478-2019 proposto da:

C.A.A.V., elettivamente domiciliato in ROMA,

V.LE GIUSEPPE MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO

ALBERTO PENNISI, rappresentato e difeso dall’avvocato SERGIO ANTONIO

MARIA CACOPARDO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE E DEL TERRITORIO (C.F. (OMISSIS)) in persona

del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE CENTRALE NORMATIVA E CONTENZIOSO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2715/13/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA SEZIONE DISTACCATA di CATANIA, depositata il

06/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 24/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Considerato che:

C.A.A.V., quale socio unico e legale rappresentante della società Autostore s.r.l., poi fallita all’esito della notificazione di due PVC impugnava alcuni avvisi di accertamento relativi ai periodi di imposta degli esercizi 2004/2006 con i quali veniva rettificato il reddito di impresa della società ai fini delle imposte dirette e conseguentemente accertata maggiore IRPEF in capo al socio per presunzione di distribuzione di utili extracontabili accertati in società a ristretta base partecipativa.

Il ricorso è stato respinto dalla CTP di Catania, con sentenza confermata da una decisione della CTR della Sicilia sezione distaccata di Catania.

Il giudice di appello rilevava l’assenza di elementi in grado di scalfire gli esiti dell’accertamento ispettivo e di far ritenere non attendibile la ricostruzione dei maggiori ricavi imputati alla società a seguito dell’incrocio fra i contratti di finanziamento per l’acquisto delle auto e le fatture di vendita delle stesse.

Avverso tale sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione sulla base di un unico ed articolato motivo illustrato da memoria cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Si denuncia in particolare l’omesso fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non avere la CTR espresso alcuna valutazione sulla sussistenza di elementi certi che avrebbero collegato i maggiori ricavi accertati in capo alla società Autostore s.r.l. al C. come utili occulti.

Si lamenta altresì che i giudici di merito non avevano fornito una risposta giudiziale alla questione della legittima applicazione al caso in esame del principio della ristretta base sociale o familiare.

In particolare il ricorrente si duole che non sarebbe stata fornita la prova che nell’anno 2006 i maggiori redditi accertati in capo alla società siano transitati nel c.c. del contribuente e concretamente confluiti nella sua disponibilità reddituale come utili occulti.

A tali considerazioni si aggiunge che per i medesimi fatti contestati contemporaneamente all’accertamento tributario si è svolto uno penale conclusosi con la sentenza di assoluzione perchè il fatto non sussiste.

Il motivo è infondato.

Il giudice di appello ha chiaramente posto a fondamento della presunzione di distribuzione degli utili al socio la ristretta base sociale della società, avendo la presunzione di distribuzione origine nella partecipazione sociale (Cass., Sez. V, 20 dicembre 2018, n. 32959): “la ristrettezza della base sociale è presupposto sufficiente per poter presumere che gli utili accertati in capo alla società, anche sono a loro volta frutto di un accertamento presuntivo, siano stati distribuiti ai soci, sui quali grava l’onere di fornire l’eventuale prova contraria (…) ciò in applicazione dell’art. 2263 c.c., comma 1 (..)”.

La legittimità dell’accertamento rivolto al contribuente è stata argomentata dalla Corte territoriale sulla natura di società di capitali a ristrettissima base azionaria della Autostore s.r.l. (con compagine costituita da un socio unico), dalla mancanza di una prova contraria (ad onere del contribuente) circa la distribuzione degli utili recuperati a tassazione.

Si tratta di motivazione in pieno conforme al monolitico indirizzo ermenutico del giudice della nomofilachia – al quale va data continuità non offrendo il ricorrente alcuno spunto per un ripensamento critico secondo cui in tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali a ristretta base azionaria, ove siano accertati utili non contabilizzati, opera la presunzione di attribuzione pro quota ai soci degli utili stessi, salva la prova contraria che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti, non occorrendo che l’accertamento emesso nei confronti dei soci risulti fondato anche su elementi di riscontro tesi a verificare, attraverso l’analisi delle loro movimentazioni bancarie, l’intervenuto acquisto di beni di particolare valore, non giustificabili sulla base dei redditi dichiarati, cfr. in particolare Cass. 11/08/2020, n. 16913; Cass. 02/07/2020, n. 13550; Cass. 2020 nr 29345; Cass. 19/12/2019, n. 33976; Cass. 24/01/2019, n. 1947; Cass. 20/12/2018, n. 32959; Cass. 22/11/2017, n. 27778; Cass. 18/10/2017, n. 24534).

Va altresì osservato che non è sufficiente a vincere la presunzione di distribuzione degli utili extracontabili l’eventuale assoluzione in sede penale. Costituisce infatti principio giurisprudenziale consolidato quello per cui, in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario (Cass. Civ., 21126/2020; 28 giugno 2017, n. 16262 Cass., sez. 5, 27 giugno 2019, n. 17258, in relazione alla formula assolutoria “perchè il fatto non sussiste”; Cass., 24 novembre 2017, n. 28174; Cass., 13 febbraio 2015, n. 2938; Cass., 27 febbraio 2013, n. 4924; Cass., 28 ottobre 2016, n. 21873). Correttamente in questo quadro la CTR, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente ha esaminato la questione dell’assoluzione penale relativa al reato di bancarotta fraudolenta aggravata osservando che l’accertamento in sede penale, anche quando riguardi gli stessi fatti posti a fondamento dell’accertamento tributario non vincola il giudice del procedimento civilistico stante l’autonomia dei giudizi da esprimersi nei due processi conformandosi in tal modo agli orientamenti sopra esposti.

Va peraltro rilevato solo per completezza espositiva che il ricorrente non ha illustrato le ragioni per le quali la decisione favorevole ottenuta in sede penale risulti idonea ad inficiare l’intero accertamento tributario emesso nei suoi confronti non spiegando se la verifica abbia avuto ad oggetto l’intero compendio di fatture contestate alla società Autostore s.r.l. ed ai suoi soci ed amministratori oppure soltanto una parte dei documenti contabili sicchè in mancanza di tali indicazioni non può essere valutata la decisività della circostanza.

Alla stregua delle considerazioni sopra esposte il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo secondo i criteri normativi vigenti.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, che si liquidano in complessivi Euro 8.000,00 oltre s.p.a.d..

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2021

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