Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15327 del 25/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 25/07/2016, (ud. 10/05/2016, dep. 25/07/2016), n.15327

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – rel. Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29390-2010 proposto da:

R.A., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e

difeso dall’Avvocato MARIATERESA GRIMALDI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, in

proprio e quale mandatario della S.C.C.I. – CARTOLARIZZAZIONE

CREDITI INPS SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE

BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto,

rappresentato e difeso dagli Avvocati LELIO MARITATO, ANTONINO

SGROI, LUIGI CALIULO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 303/2010 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 30/03/2010 R.G.N. 1571/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANA DORONZO;

udito l’Avvocato MARITATO LELIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marecllo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. A seguito di accertamento ispettivo, l’Inps iscrisse a ruolo e notifico’ a R.A. una cartella esattoriale con la quale gli si ingiungeva il pagamento di contributi e relative somme aggiuntive derivanti dalla mancata iscrizione del R. nella gestione speciale commercianti e dal conseguente mancato pagamento dei contributi relativi agli anni 2004 e 2005.

2. Il R. propose opposizione dinanzi al Tribunale di Firenze sostenendo che difettassero i presupposti per la sua iscrizione nella gestione commercianti: egli i infatti, in quanto architetto, insegnante e amministratore delegato della Illum s.r.l., svolgeva unicamente compiti sociali, con esclusione di ogni attivita’ lavorativa.

3. Sulla base del medesimo accertamento, furono iscritti a ruolo ed emesse ulteriori cartelle di pagamento, tutte opposte con separati ricorsi.

4. Il Tribunale, con sentenza del 7 maggio 2008, in accoglimento delle opposizioni, annullo’ le cartelle esattoriali e compenso’ le spese del processo. Proposto appello dall’Inps e dalla SCCI s.p.a., Societa’ di cartolarizzazione dei crediti, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata in data 30 marzo 2010, ha accolto l’impugnazione e ha rigettato le opposizioni.

5. A fondamento della sua decisione la Corte in primo luogo ha respinto l’eccezione di nullita’ delle cartelle emesse successivamente alla prima, proposta dal ricorrente per l’asserita violazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3, rilevando che il (primo) giudizio di opposizione con il quale il R. aveva contestato la pretesa dell’istituto previdenziale, era stato instaurato dopo la notifica della prima cartella di pagamento, mentre le successive cartelle avevano ad oggetto un periodo contributivo diverso, sicche’ non poteva trovare applicazione il principio di diritto espresso da questa Corte con la sentenza n. 16203 del 2008, invocato dalla parte ricorrente.

6. Nel merito, ha richiamato il principio in forza del quale la L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208, deve essere interpretato nel senso che introduce una deroga al principio della doppia iscrizione e prevede l’obbligo dell’iscrizione alla gestione degli esercenti commerciali soltanto nei confronti di coloro che svolgono attivita’ di lavoro professionale – che nella fattispecie e’ un’attivita’ commerciale – qualora tale attivita’ sia prevalente rispetto a quella di amministratore o legale rappresentante della societa’. Ha affermato che, nel caso di specie, tale prova doveva dirsi raggiunta sulla base delle emergenze documentali e delle prove assunte nel giudizio.

7. Contro la sentenza il R. propone ricorso per cassazione, sostenuto da due motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c., L’Inps resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e/o la falsa applicazione del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, art. 24, punto 3, e della L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 13, comma 6, come modificato dal D.L. 6 settembre 1999, n. 308, art. 1, nonche’ l’insufficienza e contraddittorieta’ della motivazione. Assume l’erroneita’ della pronuncia nella parte in cui non ha ritenuto illegittima l’iscrizione a ruolo dei crediti in pendenza dell’accertamento giudiziario sull’obbligo contributivo. Richiama la pronuncia di questa Corte n. 16203 del 2008 e censura la sentenza nella parte in cui non ha considerato che il primo ricorso contro il verbale ispettivo era stato radicato il 15/5/2003 e che al momento dell’emissione della cartella impugnata il relativo giudizio non si era ancora concluso con sentenza definitiva. Con cio’ si era violato disposto della L. n. 448 del 1998, art. 13, comma 6, a norma del quale “non possono essere iscritti a ruolo e riscossi con cartella esattoriale i crediti gia’ oggetto di procedimenti civili di cognizione ordinaria e di esecuzione”.

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e la falsa applicazione della L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, commi 203 e 208, della L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, n. 5, dell’art. 2697 c.c., nonche’ l’erroneita’ e insufficienza della motivazione. Assume in sintesi che la Corte aveva ritenuto sussistenti i requisiti per la sua iscrizione negli elenchi IVS della gestione commercianti in difetto dei presupposti previsti dalla legge, in particolare dall’art. 1, comma 203, legge cit. Inoltre, la Corte non aveva tenuto conto dei dati fattuali emergenti dal verbale di accertamento, ossia l’assenza del R. dal posto di lavoro al momento dell’accertamento perche’ fuori per lavoro e la peculiarita’ dei compiti da lui svolti, i quali erano espressione dell’attivita’ professionale di architetto svolta nell’ambito societario, attivita’ che non puo’ essere oggetto di iscrizione alla gestione commercianti, per il divieto posto dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 202, che esclude espressamente dall’obbligo assicurativo di cui alla L. n. 613 del 1996, l’attivita’ dei professionisti e degli artisti. La sua attivita’ nell’ambito della societa’ era o di professionista o di consigliere delegato, per la quale svolgeva funzioni rappresentative in aggiunta a quelle attribuite dagli organi sociali al presidente, signora T.. Le altre attivita’ indicate dai dipendenti sentiti in sede di accertamento ispettivo (colloqui per l’assunzione di dipendenti, rapporti con i grandi clienti) costituivano espressione della sua attivita’ di amministratore delegato e comunque non erano da ritenersi attivita’ abituale e prevalente, ne’ erano espressione di poteri gestori o volti alla commercializzazione dei prodotti di illuminazione o alla conduzione del punto vendita, ovvero al coordinamento e organizzazione dei fattori di produzione, attribuiti peraltro nello stesso verbale ispettivo al presidente, signora T.. A tal fine erano decisive le prove testimoniali assunte nel corso di un precedente giudizio tra le medesime parti. Inoltre, la Corte non aveva tenuto conto che spettava all’Inps l’onere di provare lo svolgimento dell’attivita’ commerciale con carattere di abitualita’ e di prevalenza nel periodo al quale si riferivano i contributi. Ne’ era possibile applicare il D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 11, convertito con modificazioni nella L. 30 luglio 2010, n. 122, la quale per il suo carattere innovativo non poteva applicarsi a fatti antecedenti alla sua entrata in vigore.

3. Il primo motivo e’ infondato. Il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 3, consente agli enti previdenziali, per i contributi e premi di cui siano creditori, di procedere all’iscrizione a ruolo anche in mancanza del titolo esecutivo, che invece e’ necessario per tutti gli altri soggetti, come prescritto dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 21. Per i contributi e premi e’ sufficiente l’esistenza di un accertamento ispettivo che li riconosca dovuti, a condizione pero’ che detto accertamento non venga impugnato. Nulla pero’ impedisce all’ente previdenziale di astenersi dall’iscrizione a ruolo, che lo facoltizzerebbe direttamente all’esecuzione, e di agire in giudizio per procurarsi appunto un titolo esecutivo giudiziale. Si tratta di un percorso meno agevole rispetto al primo, che pero’ ha il vantaggio di eliminare tutte le questioni relative alla legittimita’ dell’iscrizione a ruolo, governata dalle regole di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, consentendo di trattare il merito della pretesa, non essendovi dubbio che l’obbligo di versamento di contributi e premi resta pur sempre passibile di accertamento in sede giudiziale. In altri termini, la ritenuta illegittimita’ del procedimento di iscrizione a ruolo non esime il giudice dall’accertamento del merito sulla fondatezza dell’obbligo di pagamento dei contributi.

Si e’ pertanto affermato che, in tema di riscossione di contributi e premi assicurativi, il giudice dell’opposizione alla cartella esattoriale che ritenga illegittima l’iscrizione a ruolo non puo’ limitarsi a dichiarare tale illegittimita’, ma deve esaminare nel merito la fondatezza della domanda di pagamento dell’istituto previdenziale valendo gli stessi principi che governano l’opposizione a decreto ingiuntivo (cfr, ex plurimis, Cass., 6 agosto 2012, n. 14149i v. Cass., 15 giugno 2015, n. 12333), con la conseguenza che gli eventuali vizi formali della cartella esattoriale opposta comportano soltanto l’impossibilita’, per l’Istituto, di avvalersi del titolo esecutivo, ma non lo fanno decadere dal diritto di chiedere l’accertamento in sede giudiziaria dell’esistenza e dell’ammontare del proprio credito (cfr, Cass., 19 gennaio 2015, n. 774; Cass. 26 novembre 2011, n. 26395).

Alla luce di questi principi, non e’ ravvisabile un interesse concreto ed attuale della parte (sul quale v. Cass. Sez. Un. 15 gennaio 1996, n. 264; Cass. 18 aprile 2002, n. 5635) di rilevare l’illegittimita’ delle iscrizioni a ruolo e delle relative cartelle di pagamento successive alla prima, giacche’ un’eventuale pronuncia sul punto non comporterebbe alcun risultato giuridicamente apprezzabile per la parte, venendo qui in rilievo esclusivamente l’accertamento della fondatezza della pretesa contributiva dell’ente e non essendo stato neppure dedotto che le cartelle di pagamento emesse siano state azionate in via esecutiva.

4. La questione interpretativa posta con il secondo motivo del ricorso trova il principale riferimento normativo nel D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, comma 11, convertito in legge, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122, art. 1, comma 1, recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitivita’ economica. Tale disposizione prevede, con norma dichiaratamente di interpretazione autentica: “La L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 208, si interpreta nel senso che le attivita’ autonome, per le quali opera il principio di assoggettamento all’assicurazione prevista per l’attivita’ prevalente, sono quelle esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti, i quali vengono iscritti in una delle corrispondenti gestioni dell’INPS. Restano, pertanto, esclusi dall’applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 208, i rapporti di lavoro per i quali e’ obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26”.

5. La disposizione interpretata prevedeva nel suo primo periodo: “Qualora i soggetti di cui ai precedenti commi esercitino contemporaneamente, anche in un’unica impresa, varie attivita’ autonome assoggettabili a diverse forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidita’, la vecchiaia e i superstiti, sono iscritti nell’assicurazione prevista per l’attivita’ alla quale gli stessi dedicano personalmente la loro opera professionale in misura prevalente”.

6. Le Sezioni unite di questa Corte, con sentenza resa in data 8 agosto 2011, n. 17076, hanno affermato che “il criterio dell’”attivita’ prevalente”, quale parametro di valutazione per individuare la gestione assicurativa dell’INPS alla quale versare i contributi previdenziali nel caso di svolgimento di plurime attivita’ che, autonomamente considerate, comporterebbero l’iscrizione a diverse gestioni previdenziali, opera per le attivita’ esercitate in forma d’impresa dai commercianti, dagli artigiani e dai coltivatori diretti. Per queste attivita’ vale il criterio (semplificante) dell’attivita’ prevalente per individuare l’unica gestione assicurativa alla quale versare i contributi previdenziali in riferimento anche all’attivita’ non prevalente che, ove esercitata da sola, comporterebbe l’iscrizione in un’altra gestione assicurativa” e cio’ con l’assenso dell’INPS che, in ragione del disposto del secondo periodo del medesimo art. 1, comma 208 cit., deve “decidere” sulla iscrizione nell’assicurazione corrispondente all’attivita’ prevalente.

7. Secondo la norma di interpretazione autentica sopra citata, il criterio dell’”attivita’ prevalente” non opera invece per i rapporti di lavoro quelli a carattere autonomo – per i quali e’ obbligatoriamente prevista l’iscrizione alla gestione previdenziale di cui alla L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 2, comma 26.

8. Questa disposizione ha creato una nuova gestione assicurativa nel complesso sistema della previdenza obbligatoria introducendo l’obbligo assicurativo per i lavoratori autonomi. Ha infatti previsto che a decorrere dal 1 gennaio 1996, sono tenuti all’iscrizione presso una apposita Gestione separata dellnINPS, finalizzata all’estensione dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidita’, la vecchiaia ed i superstiti, i soggetti che esercitano per professione abituale, ancorche’ non esclusiva, attivita’ di lavoro autonomo, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 49, comma 1 (Testo Unico delle imposte sui redditi), nonche’ i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui all’art. 49, comma 2, lett. a), del medesimo testo unico e gli incaricati alla vendita a domicilio di cui alla L. 11 giugno 1971, n. 426, art. 36.

9. La regola espressa dalla norma risultante dalla disposizione interpretata (L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 208,) e dalla disposizione di interpretazione autentica (D.L. 31 maggio 2010, n. 78, art. 12, comma 11) e’ molto chiara: l’esercizio di attivita’ di lavoro autonomo, soggetto a contribuzione nella Gestione separata, che si accompagni all’esercizio di un’attivita’ di impresa commerciale, artigiana o agricola, la quale di per se’ comporti l’obbligo dell’iscrizione alla relativa gestione assicurativa presso l’INPS, non fa scattare il criterio dell’”attivita’ prevalente”.

10. In altri termini, per queste attivita’, non opera il criterio “semplificante” (dell’art. 1, comma 208, cit.) e derogatorio – dell’unificazione della posizione previdenziale in un’unica gestione con una sorta di fictio juris per cui chi e’ ad un tempo commerciante ed artigiano (o coltivatore diretto), con caratteristiche tali da comportare l’iscrizione alle relative gestioni assicurative, e’ come se svolgesse un’unica attivita’ d’impresa quella “prevalente” – con la conseguenza che unica e’ la posizione previdenziale.

11. Al contrario, la regola espressa dalla norma risultante dalla disposizione interpretata e dalla disposizione di interpretazione autentica e’ quella per la quale il concorso di attivita’ di lavoro autonomo (come amministratore della societa’), soggetta ex se alla contribuzione nella Gestione separata sui compensi a tale titolo percepiti, e quella di socio lavoratore della societa’ stessa comporta l’obbligo della duplice iscrizione. In tal caso, come in quello in esame, la fattispecie non e’ quella del contemporaneo esercizio dell’attivita’ di commerciante (comprensivo delle nuove figure previste dalla L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 196, 197, 202 e 202), artigiano o coltivatore diretto, previsto dalla norma suddetta, ma vede un’attivita’ di lavoro autonomo affiancata ad una collaborazione come socio lavoratore nell’impresa, fattispecie quest’ultima per la quale testualmente non opera il criterio dell’attivita’ prevalente”, ma ogni attivita’ segue il suo regime previdenziale (in tal senso Cass. n. 17076/2011).

12. Sono stati cosi’ superati i principi espressi dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 3240/2010, invocata dal ricorrente. Cosi’ come sono stati superati i dubbi di legittimita’ costituzionale e di compatibilita’ con l’art. 6 della CEDU sollevati con riferimento alla norma di interpretazione autentica (Corte Cost. n. 15/2012).

13. La sentenza della Sezioni Unite di questa Corte e’ stata poi seguita da altre pronunce (Cass. 1 luglio 2015, n. 13446; Cass., 5 marzo 2013 n. 5444; v. pure Cass., ord. 27 aprile 2016, n. 8303; Cass., 26 febbraio 2016, n. 3835), le quali – partendo dall’esatta premessa secondo cui sussiste l’obbligo di iscrizione e contribuzione sia alla gestione commercianti che a quella separata stante l’autonomia delle posizioni hanno affermato la necessita’ che per ciascuna di esse ricorrano i presupposti previsti dalla legge, e cioe’ che si realizzi una “coesistenza” di attivita’ riconducibili, rispettivamente, al commercio e all’amministrazione societaria.

14. La disciplina previgente e’ stata modificata dalla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 203, che cosi’ sostituisce la L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 29, comma 1: “L’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attivita’ commerciali di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613, e successive modificazioni ed integrazioni, sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti: a) siano titolari o gestori in proprio di imprese che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari coadiutori preposti al punto di vendita; b) abbiano la piena responsabilita’ dell’impresa ed assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito non e’ richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonche’ per i soci di societa’ a responsabilita’ limitata; c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualita’ e prevalenza; d) siano in possesso, ove previsto da leggi o regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri e ruoli”.

15. La iscrizione alla gestione commercianti e’ quindi obbligatoria ove si realizzino congiuntamente le fattispecie previste dalla legge e cioe’: la titolarita’ o gestione di imprese organizzate e/o dirette in prevalenza con il lavoro proprio e dei propri familiari; la piena responsabilita’ ed i rischi di gestione (unica eccezione proprio per i soci di s.r.l.); la partecipazione al lavoro aziendale con carattere di abitualita’ e prevalenza; il possesso, ove richiesto da norme e regolamenti per l’esercizio dell’attivita’ propria, di licenze e qualifiche professionali (in tal senso, Cass., n. 5444/2013, cit.).

16. Ai fini, dunque, di tale ulteriore (rispetto a quello della gestione separata) obbligo contributivo non e’ richiesta la verifica del requisito della prevalenza (che vale nel solo ambito delle attivita’ autonome inquadrabili nei settori produttivi del commercio, dell’artigianato e dell’agricoltura; vale, cioe’, solo al fine di evitare piu’ di una contribuzione nel caso di un soggetto esercente contemporaneamente, anche in un’unica impresa, attivita’ plurime, ma pur sempre tutte “assicurabili” nelle gestioni previste per le attivita’ in parola), bensi’ quella della sussistenza degli elementi della abitualita’ e della professionalita’ della prestazione lavorativa, nonche’ degli altri requisiti eventualmente previsti dalle rispettive discipline normative di settore (Cass., 19 gennaio 2016, n. 873). Per il doppio onere occorre, dunque, una “coesistenza” di attivita’ riconducibili, rispettivamente, al commercio e all’amministrazione societaria.

17. La verifica della sussistenza di requisiti di legge per tale “coesistenza” e’ compito del giudice di merito, fermo restando che l’onere probatorio grava sull’ente previdenziale, tenuto a provare i fatti costitutivi dell’obbligo contributivo (cfr. ex multis Cass., 20 aprile 2002, n. 5763; Cass., 6 novembre 2009, n. 23600).

18. Ai fini di tale valutazione e, quindi, della prova del personale apporto all’attivita’ di impresa, con diretta ed abituale ingerenza dell’amministratore nel ciclo produttivo della stessa, possono assumere rilevanza elementi quali la complessita’ o meno dell’impresa, l’esistenza o meno di dipendenti e/o collaboratori, la loro qualifica e le loro mansioni (cosi’, ad esempio, in presenza di una societa’ di capitali con numerosi dipendenti ed un sistema organizzato di controlli sul personale, la diretta partecipazione al lavoro aziendale dell’amministratore, ancorche’ pure socio, non beneficia di elementi presuntivi che diversamente possono sussistere quando si e’ in presenza di una societa’ con due soli soci, di cui uno amministratore, e senza dipendenti – (si veda, per una ipotesi di questo secondo tipo, Cass. 11 luglio 2012, n. 11685).

19. Cosi’ la sussistenza di un’attivita’ comportante l’obbligo contributivo nei confronti della gestione commercianti va valutata con i criteri di cui al gia’ sopra ricordata L. n. 662 del 1996, medesimo art. 1, comma 203.

20. Nella specie, la Corte ha con accertamento di fatto congruo ed esaustivo ritenuto provato il coinvolgimento diretto nel lavoro aziendale del R., riconoscendo il carattere di abitualita’ e prevalenza dell’attivita’ lavorativa svolta. In particolare, la Corte ha esaminato le prove documentali acquisite al giudizio e quelle assunte dal Tribunale, dando rilievo alle dichiarazioni rese dalla testimone B., responsabile amministrativa dell’azienda, la quale ha dichiarato che il R. si occupava della progettazione degli impianti di illuminazione, previo sopralluogo; che era presente saltuariamente in azienda per risolvere problemi nella interpretazione e/o esecuzione dei disegni; altri testi hanno dichiarato che, in qualita’ di architetto, egli si occupava di problematiche tecniche all’esterno dell’azienda e che era quasi sempre fuori per appuntamenti e per coordinare l’attivita’ degli addetti tecnici; il teste C. ha poi dichiarato che il R. era responsabile del settore tecnico e si occupava di procacciare il lavoro che i tecnici eseguivano e che lavorava prevalentemente fuori dall’azienda.

2t. La Corte ha poi esaminato le dichiarazioni anche in sede ispettiva e, componendole con i dati ricavabili dalle testimonianze e dalla documentazione acquisita, ha espresso un giudizio di univoco svolgimento di vera e propria attivita’ commerciale da parte del R. ritenendola prevalente sull’attivita’ di amministratore: ha quindi affermato che il R. era in definitiva “il vero dominus dell’impresa, provvedendo, data la sua qualificazione professionale, alla gestione dei clienti piu’ importanti e alla progettazione degli impianti in un’azienda che… progetta, realizza e vende impianti di illuminazione” e che tale attivita’ non era riconducibile a quella di amministratore dell’azienda quanto piuttosto all’esercizio del commercio.

21. Si e’ in presenza di un giudizio di prevalenza e abitualita’ dell’attivita’ di lavoro del R. corretto ed esaustivo, che investe nella sua completezza tutti gli elementi che, a norma della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 203, devono concorrere perche’ sorga l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti, ivi compresa la gestione e l’organizzazione della societa’ con il lavoro prevalentemente proprio e dei componenti la famiglia, laddove non e’ mai stato posto in contestazione l’ulteriore requisito costituito dal possesso di licenze o autorizzazioni o iscrizioni.

22. La motivazione e’ dunque certamente esistente (sicche’ non sussiste l’omessa motivazione), oltre che sufficiente, dovendosi peraltro ricordare che e’ principio acquisito dalla giurisprudenza di legittimita’ quello secondo cui “La motivazione omessa o insufficiente e’ configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non gia’ quando, invece, vi sia difformita’ rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione” (Cass., Sez. U, del 25/10/2013, n. 24148). E ancora, “la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al Giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (v. Cass., 13 giugno 2014, n.13485; Cass., 15 luglio 2009, n. 16499; Cass., 5 ottobre 2006, n. 21412; Cass. 15 aprile 2004 n. 7201; Cass. 7 agosto 2003 n. 11933).

23. Le censure mosse alla sentenza impugnata, particolarmente diffuse anche nella memoria ex art. 378 c.p.c., mirano in realta’ ad ottenere un nuovo apprezzamento dei fatti, precluso al giudice di legittimita’, risolvendosi il motivo di ricorso, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito e, percio’, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura e alle finalita’ del giudizio di cassazione.

24. In definitiva, il ricorso deve essere rigettato. In applicazione del criterio della soccombenza il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio, nella misura liquidata in dispositivo.

PQM

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 1.600,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre al 15% di spese generali e altri accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio il 10 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2016

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