Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15327 del 21/07/2015


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 15327 Anno 2015
Presidente: MAZZACANE VINCENZO
Relatore: ORICCHIO ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso 5843-2010 proposto da:
SCARSELLI ANTONELLA SCRNNL69D64F839E,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA MERULANA 67, presso lo studio
dell’avvocato PIERFRANCESCO COLASANTI, rappresentata e
difesa dagli avvocati SINIBALDO TINO, CAMILLO CARLO
SCARSELLI;
– ricorrente –

2015

contro

1310

BERTOLATTI

GIOVANNI

BRTGNN46S01F205Q,

BALLERINI

PUVIANI ALESSANDRA SILVIA BLLLSN57E58A944I, GIUSSANI
LUCIA

GSSLCU18E64F205G,

BIANCHI

LUCIA

Data pubblicazione: 21/07/2015

BNCLCU60047F2050,
CMPGGG42D06F205Z,

CAMPOLONGO
HERDEN

GIORGIO

KATRIN

GIUSEPPE

HRDKRN65P42Z112F,

BARBIERI SIMONE GIACOMO BRBSNG71T30F205Q,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MARIANNA
DIONIGI, 29, presso lo studio dell’avvocato ERNESTO

GIANLUCA FAUSTO LAVIZZARI;
– controricorrenti nonchè contro

BULGARELLI ALFREDO;
– intimato –

avverso la sentenza n. 2934/2009 della CORTE D’APPELLO
di MILANO, depositata il 18/11/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/05/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO
ORICCHIO;
udito l’Avvocato Viel Andrea con delega orale
dell’Avv. Tino Sinibaldo difensore della ricorrente
che ha chiesto l’accoglimento delle difese esposte ed
in atti;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
l’inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del
ricorso.

ALIBERTI, rappresentati e difesi dall’avvocato

Con atto di citazione notificato il 26 ottobre 2004 gli
odierni controricorrenti, tutti quali condomini dello
stabile sito in Milano alla via Settala 3, convenivano in
giudizio innanzi al Tribunale di Milano Scarselli
Antonella, anch’essa condomina nel medesimo edificio.
Gli attori chiedevano la condanna della convenuta alla
rimessione in pristino dello originario stato di uno
spazio comune o cavedio in corrispondenza del primo
piano chiuso con una soletta a copertura ad opera della
convenuta, nonché della porta del box, sul cortile
condominiale, della stessa Scarselli sostituita con
caratteristiche disomogenee rispetto alle altre porte
esistenti.
Con sentenza in data 20/27 luglio 2006 l’adito Tribunale
di prima istanza accoglieva la domanda di parti attrici sia
con riferimento allo spazio comune o cavedio, che con
riguardo alla porta del box, condannando la convenuta
alla rimessione in pristino ed alla sostituzione della porta
medesima.
Avverso la suddetta decisione interponeva appello la
Scarselli.
Resistevano al proposto gravame gli originari attori.
Con sentenza n. 2934/2009 l’adita Corte di Appello di
Milano, in parziale accoglimento della proposta
impugnazione, dichiarava “che la sostituzione
dell’originaria porta box…non si poneva in contrasto
con il decoro architettonico dello stabile”, respingendo in
punto la domanda e dichiarando interamente compensate
fra le parti le spese del doppio grado del giudizio.
Per la cassazione dell’anzidetta decisione della Corte
distrettuale ricorre la Scarselli con atto affidato a tre
ordini di motivi.
3

CONSIDERATO in FATTO

Resistono con controricorso le parti intimate.

Ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c. la
ricorrente Scarselli
RITENUTO in DIRITTO
1. Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di
“violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 105
c.p.c., 1117 e 1123 c.c. con riferimento ai n. 3 e 5
dell’art. 360 c.p.c.”
Il motivo in esame tende all’affermazione, da parte di
questa Corte, del principio secondo cui “i presupposti per
l’attribuzione della proprietà comune, quindi
dell’interesse ad agire (dei condomini), vengono meno se
sle cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per
oggettivi caratteri materiali sono necessari per l’esistenza
e per l’uso, ovvero sono destinato all’uso e al
servizio,non di tutto l’edificio, ma di una sola parte o di
alcune parti di esso” (Cass. n. 7885/1994 e , più di
recente, Cass. 10 ottobre 2007, n. 21246).
Parte ricorrente, in sostanza, tende a prospettare —
appigliandosi al predetto dictum della citata pronunzia di
questa Corte, una carenza di interesse delle odierne parti
contro ricorrenti.
L’assunto, tenuto conto dei reali connotati di fatto della
fattispecie per cui e causa, è del tutto infondato.
Nell’ipotesi concreta per cui è giudizio si controverte
quanto ad uno spazio comune ovvero ad un cavedio in
corrispondenza del primo piano dell’edificio
condominiale coperto con apposita soletta dall’odierna
ricorrente.
E’ palese, una volta ricostruito l’oggetto del contendere,
l’interesse — in genere- dei condomini dello stabile al
decoro del medesimo.

4

5

E tanto anche con riferimento a quei condomni che la
ricorrente postula come “non interessati” in quanto
titolari di unità immobiliari non aventi affaccio sul
cavedio oggetto di causa.
In ogni caso dalla questione di interesse ad agire, come
innanzi ricostruita, non discende la caducabilità
dell’impugnata sentenza
Il motivo in esame va quindi rigettato.
2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di
“violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., 1102
c.c., con riferimento ai n. 3 e 5 dell’art. 360 c.p.c.” con
riferimento taluni condomini.
Il motivo in esame ripropone, parzialmente, la medesima
doglianza di cui al motivo innanzi già esaminato.
In particolare la ricorrente deduce l’erroneità della
gravata sentenza all’interesse ad agire con riferimento a
taluni condomini ed, in particolare, alla Giussani Lucia.
Il motivo, anche per lo stesso ordine di ragioni di cui sub
1., è del tutto infondato.
La circostanza, invocata dalla ricorrente, di non aver
tolto, con la soletta a copertura del succitato cavedio, “né
aria, né luce alla Giussani” non fa venir meno l’interesse
di tutti i condomini al decoro dell’edificio in tutti suoi
spazi comuni e, conseguentemente, non comporta —sotto
il profilo della sollevata questione- una violazione e falsa
applicazione, in ipotesi, delle norme in ordine alle quali
si lamenta la violazione e falsa applicazione di legge.
Il motivo deve, quindi, essere respinto.
3.- Con il terzo motivo(erroneamente indicato come IV)
parte ricorrente lamenta la “violazione e falsa
applicazione dell’art. 115 c.p.c. e degli artt. 1110,1102,
1120 e 1139 c.c., con riferimento al numero 3 dell’art.
360 c.p.c. con riferimento alla domanda riconvenzionale
proposta nei confronti di Giussani Lucia”.

-

il ricorso deve essere rigettato.
6

Parte ricorrente lamenta l’errore in tema di disponibilità
delle prove in ordine alla domanda riconvenzionale dalla
stessa svolta, in via riconvenzionale, nei confronti di
altra parte in causa per “sentir dichiarare ed accertare
che Giussani Lucia si è appropriata di uno spazio
comune che consentiva l’accesso alla base del cavedio”.
L’impugnata sentenza ha esaminato, pronunciandosi in
proposito, la detta domanda subordinata.
In particolare è stato
ritenuto ed espressamente
affermato che “la Giussani non si è appropriata di una
porzione comune” giacchè apparteneva alla proprietà
esclusiva di quest’ultima il cavedio, già chiuso, a piano
terra dell’edificio.
La valutazione svolta nella gravata sentenza non risulta
inficiata dalle deduzioni della odierna ricorrente ed, in
particolare, dall’addotta circostanza che “la Giussani è
divenuta proprietaria dell’unità immobiliare de qua nel
1972” e, quindi, ben dopo la costituzione del
Condominio e la redazione del relativo Regolamento per
atto Notaio Beransconi del 1948.
Risulta, infatti, che la Giussani (allorchè
veniva
contestata dalla ricorrente la sua qualità) ha fornito fin
dal primo grado del giudizio con apposta produzione
(doc. 15/19) la dimostrazione del proprio titolo di
acquisto e di quelli ad esso precedenti di guisa da
consentire di far risalire l’acquisto del medesimo
immobile a data di certo antecedente alla costituzione del
condominio.
Anche il motivo in esame del ricorso è, dunque,
infondato e va rigettato.
4. In considerazione di quanto innanzi esposto e ritenuto

5.- Le spese seguono la soccombenza e, per l’effetto, si

determinano come da dispositivo.
P.Q.M.

La Corte
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento
determinate in € 2.700,00, di cui € 200,00 per esborsi,
oltre spese generali ed accessori come per legge.
Così deciso nella Camera di Consiglio della Seconda
Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione il

in favore dei controricorrenti delle spese del giudizio,

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