Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15327 del 17/07/2020

Cassazione civile sez. II, 17/07/2020, (ud. 21/02/2020, dep. 17/07/2020), n.15327

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20348-2019 proposto da:

A.K., rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO NOVELLI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2972/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 14/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/02/2020 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza depositata il 14 dicembre 2018, la Corte d’appello di Ancona ha rigettato l’impugnazione proposta da A.K., alias A.K., cittadino del (OMISSIS), avverso la decisione di primo grado, che aveva respinto il ricorso proposto FIA, avverso il provvedimento negativo della commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha osservato: a) che i fatti narrati dal richiedente (fuga dal proprio Paese, per paura di essere arrestato dalla polizia, a seguito della morte di una persona che aveva accompagnato presso un villaggio, pur nulla sapendo della vicenda giudiziaria nè se fosse ricercato dalla polizia) esprimevano un timore personale, che non consentiva di ritenere integrato il pericolo di atti di persecuzione; b) che i generici riferimenti alla situazione del (OMISSIS) non consentivano l’emersione di profili specificamente riferibili alla condizione del richiedente; c) che, del pari, non era dato ravvisare situazioni di conflitto ma di pericolo per i cittadini stranieri; d) che non emergevano situazioni di vulnerabilità giustificative del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

3. Avverso tale sentenza il soccombente ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 lamentando che la Corte territoriale non si era attenuta ai criteri normativamente fissati per la valutazione di attendibilità delle dichiarazioni e aveva omesso di cooperare a livello istruttorio, travisando il significato della narrazione del richiedente, il quale aveva riferito di avere appreso da un amico che era ricercato dalla polizia.

Ora, questa Corte ha chiarito, in linea generale, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass., Sez. Un., 27 dicembre 2019, n. 34476).

Nel caso di specie, la Corte territoriale ha dato argomentatamente conto dei profili di inverosimiglianza del racconto.

La circostanza, peraltro priva di alcuna puntuale puntuale riferimento al contenuto della dichiarazione che sarebbe stata resa dal richiedente quanto al fatto di essere ricercato, non è tale da scardinare la valutazione espressa dalla Corte territoriale, con riguardo alla globalità del racconto.

2. Con il secondo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c) per avere la Corte territoriale sottovalutato il rischio di trattamento inumano e degradante al quale sarebbe soggetto il ricorrente, in caso di rientro nel suo Paese. Il ricorrente si duole, altresì, che la Corte territoriale non abbia fornito una visione aggiornata della realtà politico – giudiziaria del (OMISSIS) e della inaffidabilità degli strumenti di tutela dei diritti.

La critica è inammissibile, in quanto la ritenuta inverosimiglianza del racconto del richiedente esclude in radice la possibilità di un arresto per le ragioni indicate.

3. Con il terzo motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, per avere la Corte territoriale omesso di svolgere qualunque concreta ed effettiva istruttoria in ordine alla situazione del (OMISSIS), senza procedere al reperimento di documentazione aggiornata, prodotta, al contrario, dalla difesa.

La doglianza è inammissibile, per l’assorbente ragione che muove dal presupposto dell’esistenza di documentazione concernente la situazione del (OMISSIS), sia pure perchè prodotta dalla difesa, ma non ne indica il contenuto, con la conseguenza che si traduce nella incomprensibile protesta nei confronti della Corte territoriale di non avere acquisito ex officio fonti di conoscenza esistenti agli atti del processo.

La genericità della doglianza neppure consente poi di intendere in che misura il contenuto di tali documenti riuscirebbe a dimostrare l’esistenza di fatti rilevanti trascurati dalla sentenza impugnata.

4. Con il quarto motivo si lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3 sottolineando che esistevano condizioni di vulnerabilità e che il richiedente non ha alcun onere di allegare, a sostegno della domanda di protezione umanitaria, motivi diversi da quelli posti a fondamento delle altre richieste.

La doglianza è inammissibile, dal momento che, a tacer della genericità di formulazione della prima articolazione (del tutto assertiva, quanto alla sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione invocata), non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, la quale si è limitata ad evidenziare l’assenza di circostanze indicative di situazioni di vulnerabilità e non ha affatto presupposto che debba trattarsi di circostanze diverse da quelle indicate in relazione alle altre forme di protezione.

5. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso non consegue condanna alle spese, dal momento che il Ministero intimato non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2020

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