Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15326 del 03/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 03/06/2021), n.15326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32729-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)) in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

contro

F.R.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 9, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO FAVI,

rappresentata e difesa dall’avvocato ANDREA OREFICE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2843/25/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata l’01/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 24/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MAURA

CAPRIOLI.

 

Fatto

FATTO e DIRITTO

Ritenuto che:

La CTR della Campania, con sentenza nr 2834/2019, accoglieva l’appello di F.R.A. nei riguardi dell’Agenzia delle entrate avverso la pronuncia della CTP di Napoli con cui era stato rigettato il ricorso della contribuente avente ad oggetto l’accertamento emesso dall’Ufficio ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38. Il giudice di appello condivideva le eccezioni sollevate dall’appellante in relazione alla dimostrazione della provvista economica cui aveva contribuito la propria madre per l’acquisto dell’immobile, elemento questo ritenuto essenziale per superare la presunzione di evasione.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi cui resiste con controricorso la contribuente.

Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 132 c.p.c., dell’art. 118disp. att. c.p.c., e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, motivazione apparente.

Si lamenta, infatti, che la CTR avrebbe aderito pedissequamente alla tesi della contribuente omettendo del tutto la valutazione delle prove e delle argomentazionì fornite dall’Ufficio il quale aveva nelle proprie controdeduzioni contestato nel merito la documentazione depositata dalla parte rilevando che le argomentazioni addotte si discostavano da quelle fornite in sede amministrativa offrendo in tal modo una motivazione meramente apparente.

Con un secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4, 5 e 6, degli artt. 2728 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè degli artt. 113 e 155 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si duole il ricorrente che la CTR avrebbe annullato l’avviso malgrado l’assenza di una concreta e valida prova fornita dal contribuente in contrasto con le previsioni del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e degli orientamenti giurisprudenziali formatosi sul punto.

Il primo motivo è infondato.

Costituisce ius receptum (in termini, Cass. n. 2876 del 2017) il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata; invero, l’obbligo del giudice “di specificare le ragioni del suo convincimento”, quale “elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale” è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle Sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che “l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità” e che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti”.

Pertanto, la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata; v. da ultimo Cass. 22949 del 2018). Come da ultimo precisato da questa Corte, “ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di merito ometta ivi di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero li indichi senza un’approfondita loro disamina logica e giuridica, rendendo, in tal modo, impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento” (Cass. n. 9105 del 07/04/2017; Cass. 25456 del 2018); Ciò posto nel caso di specie il giudice di appello, con una motivazione sia pure succinta ma non al di sotto del minimo costituzionale, ha ritenuto che la contribuente avesse superato la presunzione di evasione ed assolto al relativo onere probatorio dimostrando la provenienza della provvista necessaria per l’acquisto dell’immobile.

Il secondo motivo è invece fondato.

Infatti, come questa Corte ha già avuto modo di chiarire, “deve ritenersi legittima, a mente del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38 e 39, la rettifica induttiva del reddito d’impresa operata in presenza di contabilità formalmente regolare quando, sulla base di presunzioni dotate dei requisiti prescritti dall’art. 2729 c.c., comma 1, possa fondatamente ritenersi che l’entità del reddito dichiarato si ponga in evidente contrasto con il comune buon senso e con le regole basilari della ragionevolezza” (Cass. 1/05/2018, n. 13884).

E’ stato inoltre precisato che “In tema di accertamenti in rettifica ai fini IRPEF, gli uffici competenti sono autorizzati, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 e ss., ad avvalersi della “prova per presunzione”, la quale presuppone la possibilità logica di inferire, in modo non assiomatico, da un fatto noto e non controverso, il fatto da accertare, con conseguente onere della prova contraria a carico del contribuente il quale, ove intenda contestare l’efficacia presuntiva dei fatti addotti dall’ufficio a sostegno della propria pretesa, oppure sostenere l’esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi, deve a sua volta dimostrare gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano (Cass. 12/10/2018, n. 25521).

Il dato normativo che consente di ricostruire la fattispecie in oggetto è costituito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, (nella formulazione applicabile “ratione temporis”), che prevede che ai fini della dimostrazione dell’erroneità dell’accertamento sintetico sono idonee solo le prove che siano rivolte a dimostrare che il maggior reddito sia costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi soggettì a ritenuta alla fonte a titolo di imposta e che l’entità di tali redditi e “la durata del loro possesso devono risultare da idonea documentazione”.

La questione di causa attiene all’idoneità della prova fornita a superare l’evasione contestata venendo quindi in rilievo la necessità di documentare il possesso di tali redditi da parte del contribuente per la durata di tempo sufficiente a far presumere che egli li abbia impiegati come provvista per l’acquisto di un bene fornendo la relativa prova.

In proposito giova ricordare quanto affermato da questa Corte (Cass. 1332/2016; 2020 n. 1297) secondo cui “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, (applicabile “ratione temporis”), la relativa prova deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi (nella specie, da parte della madre, titolare di maggiore capacità economica), ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente (nella specie, la figlia) interessato dall’accertamento”.

Ciò posto nel caso di specie la CTR non si è conformata a tali principi riconoscendo valenza probatoria idonea a superare la presunzione di evasione a mere allegazioni (basate sul fatto che la provvista per l’acquisto fosse stata data dalla madre) sfornite del benchè minimo supporto documentale senza dare rilievo alcuno alle puntuali controdeduzioni fatte valere dall’Ufficio.

La sentenza va cassata e rinviata alla CTR che riesaminerà il caso alla luce delle considerazioni sopra esposte e provvederà alla liquidazione delle spese della fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Campania, in diversa composizione per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2021

 

 

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