Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15323 del 03/06/2021

Cassazione civile sez. VI, 03/06/2021, (ud. 24/03/2021, dep. 03/06/2021), n.15323

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CONTI Roberto Giovanni – Presidente –

Dott. CAPRIOLI Maura – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30146-2019 proposto da:

COMUNE di NOLA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA FRANCESCO DENZA 50-A, presso lo studio

dell’avvocato NICOLA LAURENTI, rappresentato e difeso dall’avvocato

MAURIZIO RENZULLI;

– ricorrente –

contro

GENOVESE PELLETTERIE SRL, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIROLAMO DA CARPI 6

(AVV. L. NAPOLITANO), presso lo studio dell’avvocato ANTONIO GIASI,

che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2135/1/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata l’08/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non

partecipata del 24/03/2021 dal Consigliere Relatore Dott. CAPRIOLI

MAURA.

 

Fatto

Ritenuto che:

Con sentenza n. 2135/ 2019, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Campania accoglieva parzialmente l’appello proposto dalla società Genovese Pelletterie s.r.l. avverso la sentenza n. 1139/2018 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, con compensazione delle spese di lite.

Il giudizio aveva ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di pagamento con cui il Comune di Nola aveva richiesto alla Genovese Pellettieri s.r.l. il versamento della TARI, per l’anno di imposta 2017, alla società contribuente avente sede all’interno dell’Interporto di Nola.

La CTP aveva rigettato il ricorso, ritenendo che il Comune di Nola avesse affidato il servizio di raccolta dei rifiuti indistintamente per tutte le utenze commerciali e domestiche con il sistema “di porta a porta” e non sussistenti i presupposti che giustificavano la riduzione della tariffa.

La CTR, aveva invece parzialmente accolto il gravame, riconoscendo il tributo dovuto nella misura del 15% del totale, in applicazione della riduzione tariffaria di cui alla L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 657, rilevando che l’ente impositore aveva documentato di aver svolto il servizio lungo tutte le vie di collegamento all’Interporto, e dunque sino all’ingresso della struttura commerciale, ma non anche all’interno di essa.

Avverso la sentenza di appello il Comune impositore ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi; la contribuente ha resistito con controricorso illustrato da memoria.

Diritto

Considerato che:

Con il primo motivo il Comune ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 641, 642, 656 e 657, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e contestava la ritenuta applicabilità della riduzione tariffaria prevista dalla normativa in tema di Tari, risultando accertato in fatto che la società affidataria del servizio comunale effettuava l’attività di raccolta sino al limite dell’area interportuale di proprietà privata.

Con il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 641, 642, 656 e 657, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione del D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, e del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, commi 2 e 4, criticando la misura della riduzione disposta sulla base di una normativa non più vigente.

Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità dei motivi formulata nel controricorso, e ritenuta l’ammissibilità del ricorso, in quanto dalla lettura complessiva dell’atto è comunque possibile enucleare con chiarezza le varie censure e procedere ad un loro esame separato.

Questa Corte ha infatti già affermato che “è ammissibile il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi diversi, qualora lo stesso si concluda con una pluralità di quesiti, ciascuno dei quali si riferisca al singolo profilo dedotto, e sintetizzi le ragioni illustrate nel motivo in modo da consentire alla Corte di rispondere con l’enunciazione di una “regula iuris” idonea a trovare applicazioni ulteriori al di là del caso sottoposto all’esame del giudice che ha emesso la pronuncia impugnata” (Vedi Cass. n. 15242 del 2012) ed ancora che “In materia di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sè, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati” (Vedi Cass. n. 9100 del 2015 nonchè n. 7770 del 2009; n. 9793 del 2013; n. 20335 del 2017 e n. 8915 del 2018).

Va poi escluso che sussista la preclusione ad un esame della controversia, derivante dalla presenza di un giudicato esterno formatosi tra le stesse parti in relazione al medesimo tributo, ma per un’annualità differente (2014), eccepito nel controricorso.

In generale, la preclusione del giudicato opera nel caso di giudizi identici, nei quali cioè l’identità delle due controversie riguardi i soggetti, la causa petendi e il petitum per come questi fattori sono inquadrati nell’effettiva portata della domanda giudiziale e della decisione (cfr. per tutte Cass. n. 1514-07; n. 177300; nonchè già sez. un. 2874-98); il giudicato copre poi il dedotto e il deducibile in relazione al medesimo oggetto, e, pertanto, non soltanto le ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio ma anche tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia. (Vedi Cass. n. 3488 del 2016 e n. 25745 del 2017).

Va tuttavia precisato che il processo tributario, rispetto a quello civile, conserva la specificità correlata al rapporto sostanziale che ne costituisce oggetto, ed attiene (v. C. Cost. n. 53-98 e n. 18-00) “alla fondamentale e imprescindibile esigenza dello Stato di reperire i mezzi per l’esercizio delle sue funzioni attraverso l’attività dell’amministrazione finanziaria, la quale ha il potere-dovere di provvedere, con atti autoritativi, all’accertamento e alla pronta riscossione dei tributi”.

Una similare ratio rileva anche in presenza di tributi non destinati allo Stato, ovvero di contributi obbligatori secondo la definizione propria delle scienze delle finanze, in rapporto alle esigenze di reperimento dei proventi necessari a finanziare i servizi assicurati dagli enti preposti.

In base all’insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte (v. Sez. un. 1391606), il processo tributario, ancorchè generalmente instaurato mediante impugnazione di un atto lato sensu impositivo (cfr. il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 2, lett. d) e art. 19, comma 1), ha per oggetto lo specifico rapporto tributario dedotto in giudizio quale risulta, da un lato, dalla pretesa fatta valere dall’amministrazione con l’atto medesimo e, dall’altro, dai motivi della sua impugnazione.

In ragione di siffatta complessità oggettiva, associata all’autonomia dei singoli periodi d’imposta (che, T.U.I.R. ex art. 7, è espressione di un principio generale in materia, valevole per tutti i tributi, anche non destinati allo Stato), deve negarsi la possibile esistenza di un’unica obbligazione tributaria corrispondente a più periodi (v. già Cass. n. 14714-01). Per cui l’eventualità che il giudicato, formatosi in ordine a un periodo, possa avere efficacia preclusiva nel giudizio relativo al medesimo tributo per un altro periodo va limitata al caso in cui si discorra degli elementi rilevanti necessariamente comuni ai distinti periodi d’imposta, onde potersene desumere che l’accertamento di fatto su tali elementi (e solo l’accertamento di fatto) debba fare stato nel giudizio relativo alle obbligazioni sorte in un periodo d’imposta diverso.

Come da ultimo ribadito da questa Corte “nel processo tributario, l’effetto vincolante del giudicato esterno in relazione alle imposte periodiche concerne i fatti integranti elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di annualità, abbiano carattere stabile o tendenzialmente permanente mentre non riguarda gli elementi variabili, destinati a modificarsi nel tempo.” (Vedi Cass. n. 25516 del 2019), e quindi “in relazione alle imposte periodiche, è limitato ai soli casi in cui vengano in esame fatti che, per legge, hanno efficacia permanente o pluriennale, producendo effetti per un arco di tempo che comprende più periodi di imposta, o nei quali l’accertamento concerne la qualificazione di un rapporto ad esecuzione prolungata” (Vedi Cass. n. 31084 del 2019; Cass. n. 1300 del 2018;).

Nella fattispecie, l’accertamento sulle modalità di espletamento del servizio di raccolta rifiuti e sulla percentuale di riduzione applicabile, compiuto dalla CTP di Napoli con la sentenza n. 12942/19/2015, sul cui passaggio in giudicato non vi è contestazione, con riferimento alla Tari dovuta per l’anno di imposta 2014, non può essere esteso agli anni successivi, nella specie 2017, in quanto tale valutazione non investe un elemento costitutivo della fattispecie a carattere stabile o tendenzialmente permanente e comune ai vari periodi di imposta, posto che sia le condizioni di erogazione del servizio sia le concrete modalità di attuazione dell’attività di raccolta, che potrebbero giustificare l’applicazione di una riduzione, costituiscono circostanze mutevoli nel tempo che richiedono di volta in volta una verifica ed un accertamento per ciascun periodo di imposta. Trattandosi di presupposti fattuali specificamente riferibili alle singole annualità di prestazione del servizio, gli effetti delle sentenze in giudicato non possono temporalmente estendersi oltre i periodi in esse considerate, difettando il requisito imprescindibile della durevolezza e permanenza nel tempo del dato oggettivo di attivazione ed erogazione del servizio, inteso quale presupposto dell’imposizione. (Vedi Cass. n. 1963 del 2018).

Il ricorso non merita accoglimento.

Giova ricordare che La Tari è stata destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti ed è disciplinata dai commi da 641 a 668, che individuano i presupposti della stessa (comma 641) e i criteri di determinazione della tariffa, come stabiliti dal D.P.R. 27 aprile 1999, n. 158 (commi 650 e 651), sulla base dei principi contenuti nei commi 252 e 254 del “chi inquina paga”, di cui alla Direttiva 2008/98/CEE (art. 14).

La Tassa sui rifiuti (TARI) ha sostituito, dunque, a decorrere dal 1 gennaio 2014, i preesistenti tributi dovuti ai Comuni dai cittadini, enti ed imprese quale pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti conservandone, peraltro, la medesima natura tributaria.

Questa Corte ha più volte già ritenuto che alla TARI sono estensibili gli orientamenti di legittimità formatisi per i tributi omologhi che l’hanno preceduta, quali la TARSU e la TIA (vedi in Cass. n. 22130 del 2017; n. 1963 del 2018; n. 12979 del 2019).

In materia si è ormai consolidato un orientamento interpretativo costante secondo cui “In tema di tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, sulla base del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 62 e 64, i Comuni devono istituire una apposita tassa annuale su base tariffaria che viene a gravare su chiunque occupi o conduca i locali, a qualsiasi uso adibiti, esistenti nelle zone del territorio comunale in cui i servizi sono istituiti. Tale tassa è dovuta indipendentemente dal fatto che l’utente utilizzi il servizio, salva l’autorizzazione dell’ente impositore allo smaltimento dei rifiuti secondo altre modalità, purchè il servizio sia istituito e sussista la possibilità della utilizzazione, ma ciò non significa che, per ogni esercizio di imposizione annuale, la tassa è dovuta solo se il servizio sia stato esercitato dall’ente impositore in modo regolare, così da consentire al singolo utente di usufruirne pienamente (Vedi Cass. n. 18022 del 2013; n. 14541 del 2015; n. 1963 e n. 11451 del 2018; n. 26183 del 2019).

Va pertanto ribadito che tale tassa, e quindi anche la TARI, è un tributo che il singolo soggetto è tenuto a versare in relazione all’espletamento da parte dell’ente pubblico di un servizio nei confronti della collettività che da tale servizio riceve un beneficio, e non già in relazione a prestazioni fornite ai singoli utenti, per cui “sarebbe (…) contrario al sistema di determinazione del tributo pretendere di condizionare il pagamento al rilievo concreto delle condizioni di fruibilità che del resto, per loro natura, oltre ad essere di difficile identificazione mal si prestano a una valutazione economica idonea a garantire una esatta ripartizione fra gli utenti del costo di gestione.” (Vedi Cass. n. 21508 del 2005). Posto che i criteri di ripartizione del servizio di smaltimento dei rifiuti non sono collegati al concreto utilizzo, bensì ad una fruizione potenziale desunta da indici meramente presuntivi, quali l’occupazione e detenzione di locali ed aree, che tengono conto della quantità e qualità che, ordinariamente, in essi possono essere prodotti, il legislatore ha ritenuto di temperare la rigidità di tale criterio impositivo introducendo ipotesi di esclusione e di riduzione, riduzioni che a loro volta si distinguono in obbligatorie, i cui presupposti sono già fissati dalla legge, e facoltative, spettanti solo se previste dal regolamento comunale e secondo le modalità ivi determinate.

Venendo al tributo di cui si controverte, ai sensi della L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 641, la TARI è dovuta, per la disponibilità dell’area produttrice di rifiuti e, dunque, unicamente per il fatto di occupare o detenere locali ed aree scoperte a qualsiasi uso adibiti; sono poi previste dai commi successivi deroghe, riduzioni di tariffe ed agevolazioni che operano in base a diversi presupposti di fatto e di diritto, di cui è onere del contribuente dedurre e provare la relativa sussistenza per vincere la presunzione di produttività di rifiuti posta dal suindicato comma 641.

Anche la TARI, come la TARSU, è pertanto caratterizzata, indipendentemente dal nomen iuris utilizzato dalla normativa che la disciplina, da una struttura autoritativa e non sinallagmatica della prestazione, con la conseguente doverosità della prestazione, caratterizzata da una forte impronta pubblicistica; i servizi concernenti lo smaltimento dei rifiuti devono essere obbligatoriamente istituiti dai Comuni, che li gestiscono, in regime di privativa, sulla base di una disciplina regolamentare da essi stessi unilateralmente fissata, ed i soggetti tenuti al pagamento dei relativi prelievi (salve tassative ipotesi di esclusione o di agevolazione) non possono sottrarsi a tale obbligo adducendo di non volersi avvalere dei suddetti servizi, in quanto la legge non dà alcun sostanziale rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti nel rapporto tra gestore ed utente del servizio, avendo il tributo la funzione di coprire anche le pubbliche spese afferenti a un servizio indivisibile, reso a favore della collettività e, quindi, non riconducibile a un rapporto sinallagmatico con il singolo utente. (Vedi in tema di TARSU Corte Cost. n. 238 del 2009, richiamata da Cass. n. 7647 e n. 1981 del 2018).

Va poi certamente estesa alla TARI l’interpretazione già offerta dalla giurisprudenza di legittimità in tema di riduzioni TARSU, secondo cui “Il diritto alla riduzione presuppone l’accertamento specifico (mirato sul periodo, sulla zona di ubicazione dell’immobile sulla tipologia dei rifiuti conferiti e, in generale, su ogni altro elemento utile a verificare la ricorrenza in concreto della richiesta riduzione) della effettiva erogazione del servizio di raccolta rifiuti in grave difformità dalle previsioni legislative e regolamentari, il cui onere probatorio grava sul contribuente che invoca la riduzione, il quale deve dimostrare il presupposto della riduzione della Tarsu ai sensi del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, comma 4; che consiste nel fatto obiettivo che il servizio di raccolta, istituito ed attivato: – non sia svolto nella zona di residenza o di dimora nell’immobile a disposizione o di esercizio dell’attività dell’utente; – ovvero, vi sia svolto in grave violazione delle prescrizioni del regolamento del servizio di nettezza urbana, relative alle distanze e capacità dei contenitori ed alla frequenza della raccolta, in modo che l’utente possa usufruire agevolmente del servizio stesso” (cfr. Cass. n. 3265 e n. 22767 del 2019).

Tale orientamento si pone in linea con il principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo il quale l’onere della prova dei fatti costituenti fonte dell’obbligazione tributaria spetta all’amministrazione, per quanto attiene alla quantificazione della tassa, mentre l’onere di provare eventuali esenzioni o riduzioni tariffarie è posto a carico dell’interessato (In Cass. n. 4766 e 17703 del 2004, 1759 del 2009, 775 del 2011, 1635 del 2015, 10787 del 2016, 21250 del 2017 e 13395 del 2018).

Va pertanto ribadito che “In materia di imposta sui rifiuti (TARI), pur operando il principio secondo cui è l’Amministrazione a dover fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare del diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile o, addirittura, l’esenzione costituendo questa un’eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale (Vedi Cass. n. 22130 del 2017 e n. 12979 del 2019).

In materia di riduzioni TARI rilevano la legge cit., art. 1, commi 656 e 657, che costituiscono una migliore specificazione delle riduzioni di tariffa già previste per la TARSU dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 59, rispettivamente ai commi 6 e 4.

Ai sensi del comma 656 cit.: “La TARI è dovuta nella misura massima del 20 per cento della tariffa, in caso di mancato svolgimento del servizio di gestione dei rifiuti, ovvero di effettuazione dello stesso in grave violazione della disciplina di riferimento, nonchè di interruzione del servizio per motivi sindacali o per imprevedibili impedimenti organizzativi che abbiano determinato una situazione riconosciuta dall’autorità sanitaria di danno o pericolo di danno alle persone o all’ambiente.”

Ai sensi del successivo comma 657: “Nelle zone in cui non è effettuata la raccolta, la TARI è dovuta in misura non superiore al 40 per cento della tariffa da determinare, anche in maniera graduale, in relazione alla distanza dal più vicino punto di raccolta rientrante nella zona perimetrata o di fatto servita.”

In entrambi i casi siamo in presenza di riduzioni cd. tecniche, chiamate a regolare situazioni in cui si realizza una contrazione del servizio, e quindi dei costi per il suo espletamento, per motivi oggettivi ed a favore di una pluralità indistinta e generalizzata di utenti, i cui presupposti operativi sono dettagliatamente disciplinati dalla legge.

La previsione normativa precisa ed incondizionata sia delle condizioni di operatività che di una misura massima della tariffa applicabile, rispettivamente 20% e 40%, graduabile in ribasso, consente di affermare che tali riduzioni siano obbligatorie e che, al verificarsi delle indicate situazioni oggettive che vanno ad incidere sul presupposto impositivo, spettino ope legis, a prescindere cioè da una loro previsione nel regolamento comunale, come si evince del resto dall’utilizzo dell’espressione “la TARI è dovuta”.

Per gli stessi motivi, non essendo collegate alla peculiarietà di situazioni soggettive, le stesse vanno riconosciute senza la necessità di una specifica e preventiva domanda che contenga l’indicazione delle condizioni per fruirne, incombendo sul contribuente il solo onere di provarne i presupposti normativi. Diverso invece il regime delle riduzioni o esenzioni di natura agevolativa, previste dalla L. n. 147 del 2013, art. 1, commi 659 e 660, le quali, innanzitutto, sono meramente eventuali, e quindi subordinate ad una esplicita previsione del regolamento comunale, che ne condiziona l’an, la disciplina di dettaglio ed il quantum, tutti elementi non predeterminati dalla legge che, appunto, ne prevede l’introduzione come possibile, ma non dovuta.

Inoltre, operando in conseguenza di specifiche condizioni non altrimenti conoscibili dall’ente, in quanto collegate alle posizioni peculiari dei singoli utenti che si vengono a trovare nella situazione per poterne fruire, il riconoscimento del diritto a tali agevolazioni, oltre che ai medesimi oneri probatori delle precedenti, è subordinato alla ulteriore condizione della presentazione di una preventiva domanda del contribuente, corredata naturalmente della documentazione necessaria per giustificarne l’attribuzione.

Quanto alla specifica riduzione del 40% di cui al comma 657 cit., ritiene il Collegio che la stessa spetti per il solo fatto che il servizio di raccolta, pur debitamente istituito e attivato nel perimetro comunale, non venga poi concretamente svolto in una determinata zona del territorio comunale, purchè tale zona sia di significativa estensione.

Per zona, infatti, non può che intendersi un ambito territoriale ove sia ragionevole configurare un omesso servizio, un’area quindi di considerevole estensione che, in mancanza di espresse indicazioni del regolamento comunale, sarà compito del giudice di merito individuare, ponendone come elemento costitutivo e qualificante che la stessa abbia dimensioni tali per cui l’assenza di raccolta renda impossibile la fruizione del servizio tanto da richiedere interventi sostitutivi; zona che, pertanto, non potrà coincidere con le usuali estensioni dei parchi residenziali o dei condomini privati, ove la contenuta distanza dal punto di raccolta più vicino arreca al più una mera difficoltà di accesso al servizio.

Non rileva, invece, che tale zona sia pubblica o privata, non essendo la natura pubblica della zona su cui insistono i locali o le aree soggette a tassazione un presupposto costitutivo dell’istituzione del servizio, salvo che eventuali limitazioni di accesso non ne impediscano di fatto l’espletamento; irrilevante anche la sussistenza di una ipotesi di inadempimento contrattuale o extracontrattuale, e quindi di un elemento soggettivo (di colpa contrattuale o extracontrattuale) che renda la mancata erogazione soggettivamente imputabile all’amministrazione comunale.

La riduzione tariffaria non opera, infatti, quale risarcimento del danno da mancata raccolta dei rifiuti, nè quale sanzione per l’amministrazione comunale inadempiente, bensì al diverso fine di temperare l’imposizione, entro la percentuale massima già individuata dalla norma, equilibrando l’ammontare della tassa comunque pretendibile, che nella misura ordinaria tiene conto dei costi generali del servizio completo svolto nell’area municipale, con i costi che il cittadino è tenuto presumibilmente a sostenere per far fronte alla mancata raccolta, laddove il Comune non assicuri in un ambito territoriale della zona perimetrata l’intero ciclo di smaltimento, ma lo garantisca solo in parte.

Il legislatore, nella sua insindacabile, e nella specie ragionevole, discrezionalità, ha ritenuto dunque che nelle aree del territorio comunale ove, a prescindere dalle ragioni, il servizio di raccolta non venga effettuato il tributo possa essere preteso nella misura massima del 40% della tariffa ordinaria.

La norma prevede poi che la percentuale di riduzione venga graduata in misura della distanza dal punto di raccolta più vicino, presupponendo quindi che il servizio venga svolto, ma non nella zona ove è allocato il bene oggetto di imposizione, e adeguando la riduzione al peso economico della carenza, parametrato in termini chilometrici.

Anche in tal caso, in mancanza di esplicite indicazioni del regolamento comunale, sarà compito del giudice di merito, incombendo comunque sul contribuente l’onere di allegare, dedurre e provare la sussistenza dei presupposti per beneficiare di una maggiore riduzione, graduare ulteriormente la percentuale di riduzione applicabile, tenendo conto di circostanze di fatto quali l’ubicazione dei locali o aree oggetto di tassazione all’interno della zona e la loro distanza dal più vicino punto di raccolta; in assenza di una richiesta specifica in tal senso o di una prova specifica dei presupposti per applicare la ulteriore graduazione, resta fermo che la riduzione dovrà essere applicata nella misura prevista dalla norma, e che quindi la TARI sarà dovuta in misura pari al 40% della tariffa intera applicabile.

Riduzione ulteriore al 20%, e mai esonero totale, è prevista, invece, dal comma 656 nei casi in cui il servizio non venga svolto del tutto o venga svolto in una situazione patologica di grave disfunzione per difformità dalla disciplina regolamentare, o venga temporaneamente sospeso per motivi sindacali ovvero per imprevedibili impedimenti organizzativi.

Nella specie emerge in punto di fatto, sulla scorta delle risultanze di causa, e quindi non necessita di ulteriore accertamento, che il Comune di Noia abbia istituito ed espletato regolarmente il servizio di raccolta lungo le strade di collegamento alla zona dell’Interporto di Nola, sino ai punti di accesso, ma non anche all’interno di essa, ove il servizio viene espletato da una società privata. Pacifico anche che l’Interporto di Nola insista su di una area privata, con libero accesso, di vastissime dimensioni, pari a circa 3 milioni di mq. con all’interno oltre 24 km di strade e viadotti, adibita ad insediamenti commerciali, riconducibile senza necessità di ulteriore verifica al concetto di “zona” di cui al citato comma 657, avente una significativa estensione nei termini innanzi specificati al punto 4, sicchè tale modalità di espletamento del servizio determina in fatto l’impossibilità per le aziende che operano all’interno di fruire di un servizio di raccolta sino alla prossimità delle strutture, con la conseguente necessità di sopperire a tale carenza mediante il ricorso ad un servizio sostitutivo privato (Cass. 2020 nr 17334/ nr 19767 avente ad oggetto la medesima problematica)

Il mancato svolgimento in fatto del servizio di raccolta, nell’irrilevanza delle ragioni da cui è determinato, va, pertanto, correttamente sussunto nella fattispecie astratta di cui alla L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 657, e dà certamente diritto ad una riduzione nella misura inferiore da determinarsi in relazione alla distanza della contribuente dal più vicino punto di raccolta comunale.

La CTR, nel ritenere applicabile la riduzione ha anche dato il giusto rilievo all’accordo transattivo raggiunto con l’Amministrazione sfociato nella Delib. comunale 18 maggio 2010, considerando irrilevante che l’accordo riguardasse a Tarsu mentre nel caso in esame si verte in tema di Tari stante la continuità anche normative esistente fra le due norme e la mancanza di un mutamento della situazione di fatto esistente nell’anno 2010 rispetto alla situazione oggetto della odierna vertenza.

Ed ha correttamente ritenuto esistenti le condizioni per ridurre l’imposta.

Con riguardo al secondo motivo va osservato che la L. n. 147 del 2013, art. 1, comma 657, prevede testualmente che nelle zone in cui non è effettuata la raccolta la Tari è dovuta in misura non superiore al 40%.

Il legislatore ha dunque espressamente previsto che la misura della riduzione possa andare da O fino al massimo del 40% sicchè la percentuale stabilita dalla CTR è pienamente conforme alla normativa citata.

Per tutto quanto esposto, il ricorso va rigettato.

In considerazione della novità delle questioni giuridiche trattate e della peculiarità della fattispecie, va disposta la compensazione delle spese del giudizio di legittimità tenuto conto che l’orientamento sfavorevole al Comune si è formato in epoca successiva alla proposizione del ricorso.

Atteso il tenore della decisione trova applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: ai sensi di tale disposizione, il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che la definisce, a dare atto – senza ulteriori valutazioni discrezionali della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta, a norma dell’art. 13 cit., comma 1-bis.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso; compensa le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 3 giugno 2021

 

 

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