Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15322 del 25/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 25/07/2016, (ud. 14/04/2016, dep. 25/07/2016), n.15322

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21040/2013 proposto da:

C.A., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR,

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE FERRARA, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA CAVOUR 19, presso lo STUDIO TOFFOLETTO – DE LUCA TAMAJO,

rappresentata e difesa dall’avvocato DE LUCA TAMAJO RAFFAELE, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1660/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 14/03/2013 R.G.N. 9094/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/04/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERVELLO Gianfranco, che ha concluso per l’inammissibilita’ del

ricorso, in subordine rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1.Con sentenza depositata il 14 marzo 2013 la Corte d’appello di Napoli ha confermato la decisione del giudice di primo grado che aveva respinto la domanda proposta da C.A. nei confronti di POSTE ITALIANE s.p.a. al fine di conseguire la pronuncia di illegittimita’ del licenziamento intimatole il 13/2/2009. Alla lavoratrice, riassunta nel posto di lavoro in esecuzione della sentenza del Tribunale di Napoli, era addebitato di avere sottoscritto dichiarazione sostitutiva di certificazione ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 46, in cui aveva dichiarato di non essere destinataria di provvedimenti che riguardassero l’applicazione di misure di prevenzione e di decisioni civili ed amministrative iscritte nel casellario giudiziale, benche’ da successiva certificazione prodotta risultasse pendente a suo carico una serie di procedimenti penali per i reati di cui agli artt. 624 e 625 c.p., e L. n. 267 del 1942, art. 216. La Corte d’appello riteneva grave la condotta intenzionalmente e negligentemente posta in essere dalla lavoratrice, poiche’ idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro inter partes.

2. Per la cassazione della sentenza ricorre la lavoratrice sulla base di un unico motivo. Poste s.p.a. resiste con controricorso illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Con l’unico motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 8, dell’art. 2 Cost., dell’art. 1362, in relazione all’art. 19 CCNL per il personale non dirigente di POSTE ITALIANE S.p.A., dell’art. 483 c.p., degli artt. 2119 e 2106 c.c., (art. 360 c.p.c., n. 3), degli artt. 2119 e 2106 c.c., (art. 360 c.p.c., n. 3), nonche’ omesso, insufficiente esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 n. 5 c.p.c. Rileva che l’art. 19 del CCNL per il personale di Poste S.p.A. prevede che il dipendente al momento dell’assunzione presenti una serie di documenti, o, in alternativa, le dichiarazioni sostitutive ai sensi del D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, mentre nel caso in esame si verte in tema di ripristino “de jure” del rapporto di lavoro e della sua funzionalita’. Di conseguenza la mendace dichiarazione non poteva assumere alcun valore fondante rispetto al ripristino del rapporto. Osserva, inoltre, che la Corte contraddittoriamente aveva ritenuto determinante il documento ai fini dell’assunzione, successivamente ammettendo che in sede di ripristino lo stesso non sarebbe stato necessario. Rileva, inoltre, che la Corte territoriale non aveva complessivamente valutato la vicenda, ne’ aveva considerato che la dichiarazione mendace potesse costituire un falso innocuo ed ininfluente, atteso che la societa’ non lo avrebbe posto a base del ripristino del rapporto di lavoro, ne’ la dichiarazione poteva costituire elemento determinante del ripristino.

2. Il motivo e’ destituito di fondamento. La Corte muove il suo ragionamento dalla premessa che “l’ampia dizione del dettato contrattuale… consente di ritenere che la stessa si applichi anche alle ipotesi in cui l’assunzione nasca dall’ottemperanza all’ordine del giudice di ripristino di un rapporto al quale era stato apposto un termine di durata ritenuto illegittimo”. Tanto premesso evidenzia che il nucleo centrale delle ragioni sottese alla contestazione “va ravvisato nell’aver rilasciato dichiarazioni mendaci, volte a occultare circostanze che, pur non rivestendo di per se’ valore ostativo al ripristino del rapporto di lavoro, assumevano valenza significativa ai fini della rinnovata costituzione del rapporto di lavoro inter partes”. Nessuna contraddizione e’ ravvisabile, pertanto, nel ragionamento della Corte, dal momento che la stessa ha fondato la sua decisione non gia’ sulla rilevanza dell’autocertificazione ai fini del ripristino del rapporto di lavoro, bensi’ sulla incidenza del mendacio, anche in ragione dei fatti occultati, sul vincolo fiduciario sotteso al rapporto. La Corte, inoltre, ha correttamente evidenziate che la condotta della lavoratrice, oltre ad integrare una fattispecie penalistica di reato, e’ in contrasto con i principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.p.c., i quali devono presiedere all’esecuzione del contratto. Alla luce dei rilievi esposti e in ragione delle funzioni in concreto correlate alla dichiarazione perde ogni rilevanza la censura formulata con riguardo alla pretesa mancata considerazione circa la ricorrenza di un falso innocuo. Quanto, infine al rilevo concernente la presunta omessa valutazione circa la ricorrenza della proporzionalita’ rispetto alla sanzione espulsiva, si evidenzia che il tema e’ stato trattato adeguatamente dai giudici del merito, i quali hanno evidenziato la rilevanza del falso sotto il profilo soggettivo e in relazione alla valutazione dell’attitudine professionale della lavoratrice, anche con riferimento all’inserimento in un assetto aziendale che, specie con riferimento all’attivita’ di recapito cui la lavoratrice era destinata, implicava la gestione di un servizio per il quale e’ richiesto un elevato grado di affidabilita’ nei confronti della societa’ e dell’utenza.

3. In base alle argomentazioni svolte il ricorso va rigettato. Le spese di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore di Poste s.p.a. delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in complessivi Euro 3.100,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Cosi’ deciso in Roma, il 14 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2016

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