Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15320 del 25/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 25/07/2016, (ud. 13/04/2016, dep. 25/07/2016), n.15320

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1207-2015 proposto da:

L.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ 10, presso lo studio dell’avvocato GEMMA

PATERNOSTRO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO APREA,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA PO 25-B, presso Lo studio degli avvocati ROBERTO PESSI e

FRANCESCO GIAMMARIA, che la rappresentano e difendono giusta procura

speciale notarile in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3740/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 28/07/2014, r.g.n. 1866/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/04/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito l’Avvocato APREA ANTONIO;

udito l’Avvocato SERRANI TIZIANA per delega verbale Avvocato PESSI

ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marrcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con sentenza 28 luglio 2014, la Corte d’appello di Napoli rigettava l’appello di L.G. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto l’impugnazione del licenziamento per giusta causa intimatogli dalla datrice BNL s.p.a. con lettera del 25 maggio 2010 e le conseguenti domande di condanna reintegratoria e risarcitoria.

A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva, in ordine alla censura di omessa pronuncia del Tribunale sulla prova dei fatti addebitati, la loro sostanziale non contestazione dal lavoratore, per genericità delle difese nel merito; essa apprezzava poi la sufficiente specificità delle tre lettere di contestazione del 21 dicembre 2009, 5 marzo 2010 e 10 maggio 2010, criticamente disaminate e la tempestività delle contestazioni, in relazione ai tempi di accertamento dei fatti di rilevanza anche penale (irregolari operazioni bancarie compiute da L.G., quale direttore dell’agenzia di (OMISSIS), in particolare aventi ad oggetto numerosi cambi di assegni circolari non trasferibili di altri istituti bancari, specialmente del Banco di Napoli, in favore di soggetti diversi dai destinatari) più che congrui in riferimento alla loro complessità ed alla sequenza procedimentale osservata dalla banca (pure comminante, con la prima lettera di contestazione, la sospensione cautelare dal servizio del dipendente) e pertanto rispettosi del principio di immediatezza relativa.

La Corte capitolina riteneva, infine, provati i fatti scrutinati, escludendo la violazione del principio di immutabilità della contestazione, sempre relativa, nella sua evoluzione poi culminata nel licenziamento, agli stessi fatti via via chiariti dagli accertamenti ispettivi. Con atto notificato il 22 dicembre 2014 – 16 gennaio 2015, L.G. ricorre per cassazione con quattro motivi, cui resiste BNL s.p.a. con controricorso; entrambe le parti hanno comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 2697 c.c., in riferimento alla L. n. 604 del 1966, art. 5 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per difetto di prova dei fatti addebitati a fondamento della giusta causa di licenziamento, per l’inefficacia probatoria di documenti (quale in particolare la relazione accertativa del 26 aprile 2010) non formati nel contraddittorio delle parti nè confermati da testi in giudizio e sempre contestati, nonostante il contrario erroneo avviso della corte territoriale, che ne aveva invece inteso la sostanziale non contestazione.

Con il secondo, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 115, 116, 132 n. 4, 156 e 161 c.p.c. e violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 2697 c.c., in riferimento alla L. n. 300 del 1970, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 3, per deficienza del criterio logico seguito e motivazione meramente apparente con specifico riguardo alle tre lettere di contestazione generiche, pure non correttamente valutate nel loro contenuto, più analitico nell’ultima del 10 maggio 2010, peraltro con modificazione e integrazione non consentite delle prime contestazioni.

Con il terzo, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 156 e 161 c.p.c. e violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 2697 c.c., in riferimento L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7 e agli artt. 37 – 40 CCNL 8 dicembre 2007, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 3, per motivazione apparente e difetto di adeguata prova in ordine alle concrete circostanze determinanti l’eccessiva durata del procedimento disciplinare e la violazione del principio di immediatezza della contestazione di addebito (ad oltre otto anni dalla verificazione dei primi fatti): anche per mancata valorizzazione, in riferimento agli addebiti acritti, di procura speciale rilasciata dall’ospedale (OMISSIS) a soggetto cui erano stati pagati assegni circolari intestati all’ospedale e per erronea valutazione delle dichiarazioni di teste inattendibile.

Con il quarto, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione degli artt. 115, 116, 132 n. 4, 156 e 161 c.p.c. e violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 2697 c.c., in riferimento alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 3, per motivazione apparente ed inosservanza del principio di immutabilità della contestazione di addebito, in particolare non riscontrato nella seconda lettera (5 marzo 2010), contenente riferimento all’acquisita conoscenza dell’esecuzione (il giorno precedente) di misura cautelare in carcere, inammissibilmente immutativo dell’originaria contestazione.

Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 2697 c.c., in riferimento alla L. n. 604 del 1966, art. 5 per difetto di prova dei fatti addebitati a fondamento della giusta causa di licenziamento, è infondato.

La Corte territoriale ha correttamente ritenuto la sostanziale non contestazione dei fatti per la genericità delle deduzioni difensive di L. (al quarto capoverso di pg. 5 della sentenza e come all’evidenza risultante dal loro richiamo in note sub 1 e 2 di pg. 9 del ricorso), peraltro caratterizzante anche il mezzo in esame, ben integrante il principio di “non contestazione”: per il quale, anche anteriormente alla sua formale introduzione a seguito della modifica dell’art. 115 c.p.c., il convenuto è tenuto a prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall’attore a fondamento della propria domanda, i quali debbono ritenersi ammessi, senza necessità di prova, ove la parte, nella comparsa di costituzione e risposta, si sia limitata a negare genericamente la “sussistenza dei presupposti di legge” per raccoglimento della domanda attorea, senza elevare alcuna contestazione chiara e specifica (Cass. 6 ottobre 2015, n. 19896; Cass. 15 ottobre 2014, n. 21847; Cass. 4 aprile 2013, n. 8213).

Ma con essa vi è pure il riscontro probatorio della relazione accertativa del 26 aprile 2010, debitamente valorizzata dalla Corte partenopea (al secondo e terzo capoverso di pg. 4 della sentenza), confermata dalle risultanze della prova orale (apprezzata all’ultimo capoverso di pg. 7 della sentenza), integralmente riportate nella trascrizione delle dichiarazioni del teste Enrico Alfieri (in nota sub 5 a pgg. 20 e 21 del controricorso), puntuali ed inequivocabili, infondatamente contestate da L.G. (in particolare, a pgg. da 24 a 28 del ricorso).

Il secondo motivo, relativo a nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 156 e 161 c.p.c. e violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 2697 c.c., in riferimento alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, per motivazione apparente e non corretta valutazione delle tre lettere di contestazione generiche, è infondato.

Sotto il profilo di nullità della sentenza per mancanza di motivazione, in quanto apparente, lungi dall’essere tale, essa offre esauriente ed argomentato conto (per le ragioni illustrate a pgg. 5 e 6 della sentenza) della specificità delle lettere di contestazione: tutte puntualmente individuate, anche con sintetico riferimento al loro contenuto (del 21 dicembre 2009, al primo periodo di pg. 3 della sentenza; del 5 marzo 2010, al secondo capoverso di pg. 3 della sentenza; del 25 maggio 2010, al quinto capoverso di pg. 4 della sentenza). E pertanto con una chiara illustrazione delle ragioni e dell’iter logico seguito per pervenire al risultato decisionale e conseguente inesistenza del vizio motivo denunciato (Cass. 25 febbraio 2014, n. 4448; Cass. 6 giugno 2012, n. 9113).

Sotto il profilo della violazione di legge, esso è addirittura inammissibile, in difetto della ricorrenza dei requisiti propri del vizio denunciato (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984), senza neppure specifica indicazione dei canoni ermeneutici violati, nè tanto meno di come il giudice del merito se ne sia discostato o li abbia applicati in base ad argomentazioni illogiche o insufficienti (Cass. 31 maggio 2010, n. 13242; Cass. 30 settembre 2011, n. 19982).

Sicchè, la doglianza consiste piuttosto in una diversa interpretazione del contenuto delle tre lettere di contestazione e quindi del risultato interpretativo in sè, di esclusiva spettanza del giudice di merito e pertanto insindacabile in sede di legittimità, qualora, come nel caso di specie (per le ragioni appunto illustrate a pgg. 5 e 6 della sentenza), sorretto da congrua motivazione, esente da vizi logici pd giuridici (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694).

Neppure potendosi accedere, in presenza di un’interpretazione ben plausibile del giudice di merito nè essendo necessario che essa sia l’unica possibile o la migliore in astratto (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178), ad una sostanziale sollecitazione a revisione del merito, discendente dalla contrapposizione di una interpretazione dei fatti propria della parte a quella della Corte territoriale (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694).

Il terzo motivo, relativo a nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 156 e 161 c.p.c. e violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 2697 c.c., in riferimento alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7 e agli artt. 34 – 40 CCNL 8 dicembre 2007, per motivazione apparente e difetto di adeguata prova in ordine ad eccessiva durata del procedimento disciplinare e violazione del principio di immediatezza della contestazione di addebito, è infondato.

Anche qui, sotto il profilo di nullità della sentenza per mancanza di motivazione, in quanto apparente, lungi dall’essere tale, essa offre esauriente ed argomentato conto (per le ragioni illustrate a pgg. 6 e 7 della sentenza) delle ragioni e dell’iter logico seguito per pervenire al risultato decisionale di ravvisato rispetto del principio di immediatezza della contestazione, che esclude il vizio motivo denunciato (Cass. 25 febbraio 2014, n. 4448; Cass. 6 giugno 2012, n. 9113).

Quanto al denunciato vizio di violazione di legge, esso si risolve in un’inammissibile confutazione della valutazione probatoria operata dal giudice di merito (e congruamente e logicamente giustificata per le ragioni illustrate alle citate pgg. 6 e 7 della sentenza), con una sottesa sollecitazione ad un nuovo esame del merito cognitorio, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694). In ogni caso, la Corte territoriale ha fatto buon governo (sulla base dell’accertamento in fatto congruamente giustificato) dei principi di diritto in materia di calibrata ponderazione del principio di immediatezza della contestazione in relazione alla complessità dell’accertamento del fatto addebitato (Cass. 12 gennaio 2016, n. 281; Cass. 20 giugno 2014, n. 14103; Cass. 10 settembre 2013, n. 20719), tenuto conto del momento di effettiva conoscenza datoriale dell’inadempimento contestato al dipendente (Cass. 15 luglio 2014, n. 16138), nel caso di specie accertato dalla Corte territoriale nel marzo 2009, a circa nove mesi dalla prima lettera di contestazione (21 dicembre 2009).

Il quarto motivo, relativo a nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 156 e 161 c.p.c. e violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 2697 c.c., in riferimento alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7, per motivazione apparente ed inosservanza del principio di immutabilità della contestazione di addebito, è parimenti infondato.

Anche qui, sotto il profilo di nullità della sentenza per mancanza di motivazione, in quanto apparente, si ribadisce che essa, lungi dall’essere tale, offre adeguato conto (per le ragioni illustrate a pg. 8 della sentenza) delle ragioni e dell’iter logico seguito per pervenire al risultato decisionale di ravvisato rispetto del principio di immutabilità della contestazione, che rende inesistente il denunciato vizio motivo (Cass. 25 febbraio 2014, n. 4448; Cass. 6 giugno 2012, n. 9113).

Quanto alla denuncia di violazione delle norme di diritto, esso è inammissibile, per difetto di rilevanza decisoria, posto che il principio di immutabilità della contestazione preclude al datore di lavoro di far valere, a sostegno delle sue determinazioni disciplinari (nella specie, licenziamento), circostanze nuove rispetto a quelle contestate, tali da implicare una diversa valutazione dell’infrazione anche diversamente tipizzata dal codice disciplinare apprestato dalla contrattazione collettiva: dovendosi garantire l’effettivo diritto di difesa assicurato al lavoratore incolpato dalla normativa sul procedimento disciplinare stabilita dal L. n. 300 del 1970, art. 7 (Cass. 22 marzo 2011, n. 6499; Cass. 10 marzo 2010, n. 6091; Cass. 10 agosto 2007, n. 17604).

Ma tale principio non è violato quando, a fronte della contestazione datoriale (nel caso in esame coerentemente specificatasi in relazione al progressivo accertamento dei fatti), il lavoratore abbia potuto pienamente esplicare il proprio diritto di difesa, come avvenuto nel caso di specie secondo l’accertamento operato dalla Corte territoriale, essendo stato L. posto nella condizione di essere sentito a sua difesa nel termine di almeno cinque giorni prescritto dalla L. n. 300 del 1970, art. 7, comma 5 decorso tra la data di ricevimento dell’ultima (e più analitica) contestazione (12 maggio 2010) e di assunzione del provvedimento disciplinare espulsivo (25 maggio 2010).

Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio, secondo il regime di soccombenza.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna L.G. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 5.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 3, comma 1bis.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2016

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