Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15320 del 17/07/2020

Cassazione civile sez. II, 17/07/2020, (ud. 06/02/2020, dep. 17/07/2020), n.15320

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21330-2019 proposto da:

N.H., rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANBATTISTA

SCORDAMAGLIA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

e contro

PROCURA DELLA REPUBBLICA DI CATANZARO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 47/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 14/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

06/02/2020 dal Consigliere Dott. ROSSANA GIANNACCARI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

N.H. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro, che ha confermato la sentenza del medesimo Tribunale di rigetto dell’opposizione avverso il diniego, da parte della Commissione Territoriale di Crotone della protezione internazionale nella forma dello status di rifugiato, e, in subordine della protezione sussidiaria e del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Il ricorrente, cittadino (OMISSIS) proveniente dalla regione del (OMISSIS), aveva dichiarato di essere fuggito dal proprio Paese per il timore di persecuzioni a causa del proprio orientamento sessuale e perchè, a seguito di una relazione omosessuale con il figlio dell’Imam, dopo l’uccisione del suo compagno, era sfuggito per due volte all’aggressione dei suoi familiari.

La Corte d’appello ha ritenuto intrinsecamente inattendibili le dichiarazioni fornite dal ricorrente, di cui era stato disposto l’ascolto in Tribunale, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b; in particolare ha ritenuto inverosimile la circostanza che fosse stata tenuta segreta una relazione omosessuale durata undici anni, che il ricorrente non conoscesse l’identità del compagno e non fornisse di lui ulteriori notizie. Ha rilevato che, nel corso dell’audizione, il ricorrente non aveva esternato alcuna forma di problematicità nell’avere intrattenuto una relazione omosessuale in un contesto caratterizzato da grave ostilità e che non vi fossero riscontri in ordine ai gravi fatti accaduti. La corte di merito ha rigettato anche la richiesta di protezione umanitaria in relazione alla natura transitoria delle patologie attestate dalla documentazione medica prodotta.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso N.H. sulla base di quattro motivi.

Il Ministero dell’Interno ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alla violazione dei criteri previsti per la valutazione della credibilità, con particolare riferimento alla condizione di omosessualità. A tal fine, viene richiamata la sentenza della Corte di Giustizia del 2.12.2014 n. 2406, in relazione all’esame del richiedente asilo omosessuale, che non deve essere condotto secondo nozioni stereotipate.

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 6, 7 e 8 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto la corte di merito non avrebbe considerato, ai fini del rigetto del riconoscimento dello status di rifugiato, che in (OMISSIS) l’omosessualità costituisce reato ed è contraria ai principi della religione islamica, motivo per il quale il richiedente asilo avrebbe dimostrato difficoltà nel raccontare il proprio vissuto.

Con il terzo motivo di ricorso, deducendo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3 e 14 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto insussistente i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria nonostante il rischio di subire persecuzioni e maltrattamenti per il proprio orientamento sessuale ed il concreto pericolo di subire un procedimento penale e la detenzione carceraria.

I motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione, non sono fondati;

La valutazione della credibilità del richiedente asilo, per ragioni legate all’omosessualità, deve avvenire secondo i criteri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3. La norma, testualmente riproduttiva della corrispondente disposizione contenuta nell’art. 4 della Direttiva 2004/83/CE, costituisce, unitamente al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 relativo al dovere di cooperazione istruttoria incombente sul giudice in ordine all’accertamento delle condizioni aggiornate del paese d’origine del richiedente asilo, il cardine del sistema di attenuazione dell’onere della prova, posto a base dell’esame e dell’accertamento giudiziale delle domande di protezione internazionale.

Nè la direttiva qualifiche nè la direttiva procedure contengono specifiche disposizioni relative alla modalità con cui vengono raccolte le dichiarazioni del richiedente asilo per ragioni legate al proprio orientamento sessuale, nè in ordine alla valutazione della sua credibilità; è previsto soltanto che esse siano raccolte in modo da rispettare i diritti fondamentali dei richiedenti asilo e non vengano utilizzati metodi degradanti o non conformi alla dignità umana, come analisi pseudo-mediche o valutazioni compiute tramite il riferimento a stereotipi.

La Corte di Giustizia, con la sentenza del 2 dicembre 2014 n. 2406 ha individuato i limiti per la raccolta e la valutazione delle dichiarazioni, ai fini della compatibilità con il diritto dell’Unione. Nella sentenza citata, la Corte di Lussemburgo ha escluso detta compatibilità, laddove si abbia riguardo, quanto alla raccolta della prova ad interrogatori dettagliati relativi alle pratiche sessuali del richiedente incompatibili con il rispetto della vita privata e familiare o a test idonei a dimostrare l’omosessualità o registrazioni video di atti intimi. Infine, la Corte di Giustizia ha affermato che l’art. 4, par. 3 direttiva 2004/83 nonchè l’art. 13, par. 3, lett. a) direttiva 2005/85 devono essere interpretati nel senso che l’assenza di credibilità non può essere desunta dalla circostanza che l’orientamento sessuale non sia stato fatto valere dal richiedente alla prima occasione concessagli per esporre i motivi di persecuzione, proprio in ragione della difficoltà di condividere con soggetti estranei particolari relativi alla sfera intima della persona.

Occorre rilevare a tal riguardo che, conformemente all’art. 4, par. 3, lett. c) direttiva 2004/83, tale valutazione deve tener conto della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare l’estrazione, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave.

Nel caso di specie, il giudice di merito si è uniformato ai principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza nazionale e sovranazionale in materia di valutazione della credibilità del richiedente asilo, con particolare riferimento alla situazione di chi dichiari di essere fuggito da proprio Paese per il timore di subire persecuzioni in ragione del proprio orientamento sessuale.

La Corte di merito ha valutato complessivamente le dichiarazioni del ricorrente sulla base dei criteri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 ed ha ritenuto inattendibile la sua narrazione con riferimento ad elementi essenziali che connotano il vissuto di un individuo, senza però fare ricorso a valutazioni stereotipate in ordine all’orientamento sessuale. Sulla base dell’esame unitario delle dichiarazioni del ricorrente, ha rilevato significativi elementi di inattendibilità: in particolare, era inverosimile che fosse stata tenuta segreta una relazione durata undici anni in un villaggio di un migliaio di abitanti, che non conoscesse l’identità del compagno e non fornisse di lui ulteriori informazioni, che non avesse esternato alcuna forma di problematicità nella relazione nonostante la grave ostilità nei confronti degli omosessuali in Pachistan, risultante dalle fonti qualificate.

La valutazione della credibilità è avvenuta, quindi, alla stregua dei criteri stabiliti nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, secondo le indicazioni fornite dalla Corte di Giustizia; le dichiarazioni rese dal ricorrente sono coerenti con un esame rispettoso dei diritti dell’individuo e della sua sfera privata, senza il ricorso a metodi invasivi o a domande basate su stereotipi.

Quanto, poi, alla censura concernente l’inadempimento del dovere di cooperazione istruttoria di cui si sarebbe reso responsabile l’organo di merito, in violazione del disposto di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, l’eventuale esito negativo della valutazione di credibilità, coerenza intrinseca e attendibilità della versione resa dal richiedente la protezione internazionale non rende operante l’attivazione del dovere di cooperazione istruttoria facente capo all’organo giudicante (Cassazione civile sez. I, 30/08/2019, n. 21889; Cassazione civile sez. I, 22/02/2019, n. 5354);

All’assenza di credibilità delle dichiarazioni rese dal richiedente la protezione internazionale consegue l’insussistenza di un danno grave ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria nelle ipotesi previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione del D.Lgs n. 286 del 1998, art. 5 del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in quanto la corte di merito non avrebbe ravvisato la sussistenza dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie nonostante i problemi di salute attestati dalle certificazioni mediche in atti, da cui risultava la diagnosi di febbre resistente a terapia, mucosi pruriginosa, frattura al dito, otite ed ipoacusia. Tali patologie sarebbero ostative all’espulsione nel paese di provenienza, dove non avrebbe la possibilità di accedere ad adeguate cure con compromissione dei diritti fondamentali. Infine, il ricorrente si duole dell’omessa considerazione del percorso di integrazione sociale, attestato dalle certificazioni relative allo svolgimento di attività lavorativa come bracciante agricolo.

Il motivo non è fondato.

Il rilascio del permesso di soggiorno per gravi ragioni umanitarie, nella disciplina di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, – applicabile ratione temporis, in conformità a quanto disposto da Cass., Sez. Un. 29459 del 13/11/2019, essendo stata la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno proposta prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 – rappresenta una misura atipica e residuale, volta a tutelare situazioni che, seppur non integranti i presupposti per il riconoscimento delle forme tipiche di tutela, si caratterizzino ugualmente per la condizione di vulnerabilità in cui versa il richiedente la protezione internazionale.

L’accertamento della summenzionata condizione di vulnerabilità avviene, in ossequio al consolidato orientamento di questa Corte (cfr. Cass. civ., sez. I, 15/05/2019 n. 13088; Cass. civ., sez. I, n. 4455 23/02/2018, Rv. 647298 – 01), alla stregua di una duplice valutazione, che tenga conto, da un lato, degli standards di tutela e rispetto dei diritti umani fondamentali nel Paese d’origine del richiedente e, dall’altro, del percorso di integrazione sociale da quest’ultimo intrapreso nel Paese di destinazione.

Le Sezioni Unite hanno consolidato l’indirizzo espresso dalle sezioni semplici, secondo cui occorre operare la valutazione comparativa della situazione soggettiva e oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine, in raffronto alla situazione d’integrazione raggiunta nel paese di accoglienza, senza che abbia rilievo l’esame del livello di integrazione raggiunto nel nostro Paese, isolatamente ed astrattamente considerato (Cassazione civile sez. un., 13/11/2019, n. 29459).

La corte distrettuale, nel rigettare la domanda volta al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari, non ha ravvisato la sussistenza, nel paese d’origine di una situazione di emergenza sanitaria, ambientale o alimentare, nè una grave violazione dei diritti umani fondamentali.

Con accertamento di fatto, insindacabile in sede di legittimità, ha accertato che la documentazione medica era risalente al 2014 e che le patologie riscontrate avevano natura transitoria, salvo l’ipoacusia, che, per la sua natura, non mette in pericolo i diritti fondamentali della persona.

Ne consegue che, in assenza di particolari situazioni di vulnerabilità, non assume rilevanza il percorso di integrazione, ove isolatamente considerato.

Il ricorso va pertanto rigettato.

6.2.La condanna al pagamento delle spese del giudizio in favore di un’amministrazione dello Stato deve essere limitata, riguardo alle spese vive, al rimborso delle somme prenotate a debito (Cassazione civile sez. II, 11/09/2018, n. 22014; Cass. Civ., n. 5859 del 2002).

6.3.Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

PQM

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di cassazione, il 6 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2020

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