Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1532 del 25/01/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/01/2021, (ud. 27/10/2020, dep. 25/01/2021), n.1532

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE X

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19123-2019 proposto da:

F.P.C., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL

VIMINALE 43, presso lo studio dell’avvocato ALSAZIO ALESSANDRO,

rappresentato e difeso dall’avvocato DI NUNNO PATRIZIA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 879/26/2019 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA SEZIONE DISTACCATA di BRESCIA, depositata

il 27/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. CROLLA

COSMO.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

1. F.P.C. impugnava davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Brescia l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate richiedeva il pagamento della somma di Euro 106.882,20 a titolo di imposta determinata sulla base della plusvalenza di Euro 251.155 (successivamente rideterminata in autotutela in Euro 153.824,24 per l’anno in contestazione) della vendita, avvenuta in data 5.3.2008, da parte della ricorrente in favore di O. Costruzioni di un appezzamento di terreno edificabile.

2.La Commissione Tributaria Provinciale rigettava il ricorso.

3.La sentenza veniva impugnata dal contribuente e la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava l’appello osservando: a) che l’eccezione relativa alla carenza del potere dirigenziale del sottoscrittore dell’avviso era inammissibile in quanto proposta con successiva memoria senza seguire la procedura di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24; b) che l’Ufficio aveva correttamente applicato per la determinazione dei valori i criteri di cui all’art. 67 TUIR, comma 1, lett. a); c) che l’eccezione di decadenza del potere impositivo andava rigettata in quanto il termine decorreva dall’atto di compravendita e non dal preliminare.

4. Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per Cassazione la contribuente articolando due motivi. L’Agenzia delle Entrate si è costituita depositando controricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.Con il primo motivo di impugnazione denuncia il ricorrente violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 commi 1 e 3, in relazione agli artt. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5; si sostiene che, diversamente da quanto statuito dai giudici di secondo grado, la nullità assoluta dell’avviso di accertamento, non sottoscritto dal funzionario legittimato, è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, ancorchè il contribuente non lo abbia dedotto nel ricorso di primo grado in applicazione di quanto previsto dalla L. n. 241 del 1990, art. 21-septies.

1.2 Con il secondo motivo si deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 e del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 67 be 68 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 per avere la CTR erroneamente fatto decorrere il termine per la notifica dell’avviso di accertamento dalla stipula del contratto di compravendita (intervenuta nel 2008) anzichè dal preliminare di vendita (concluso nel 2004). Si argomenta che il giudice di secondo grado non abbia tenuto conto che il momento rilevante ai fini dell’imputazione al periodo d’imposta delle plusvalenze è quello in cui i corrispettivi siano percepiti (il c.d. principio di cassa) e che il contribuente aveva sostenuto altre spese riguardanti la lottizzazione dei terreni, destinate ad incidere sull’imponibile, non prese in considerazione dall’impugnata sentenza.

2. Il primo motivo è infondato

2.1 Ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, comma 2 l’integrazione dei motivi di ricorso, resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione, è ammessa entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla data in cui l’interessato ha notizia di tale deposito”. 2.2 Nel processo tributario, caratterizzato dall’introduzione della domanda nella forma dell’impugnazione dell’atto fiscale, l’indagine sul rapporto sostanziale è limitata ai motivi di contestazione dei presupposti di fatto e di diritto della pretesa dell’Amministrazione che il contribuente deve specificamente dedurre nel ricorso introduttivo di primo grado, per cui il giudice deve attenersi all’esame dei vizi di invalidità dedotti in ricorso, il cui ambito di indagine può essere modificato solo con la presentazione di motivi aggiunti nei limiti previsti dal D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 24, e quindi esclusivamente in caso di “deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione” (cfr. Cass. 15051/2014, n. 23326/2013,24305/2018).

2.3 II divieto della proposizione di motivi aggiunti, se non a seguito del (e in replica al) deposito di documenti non conosciuti, comporta che non possono essere introdotte domande di nullità dell’atto impugnato fondate su fatti diversi da quelli che il contribuente ha fatto valere con il ricorso introduttivo, in quanto idonei a determinare un ampliamento dell’indagine giudiziale, in relazione all’introduzione di una causa petendi differente da quella dedotta nell’originario ricorso dal contribuente (cfr Cass. n. 22662/2014) Un siffatto divieto trova giustificazione nell’esigenza di evitare che l’istituto dei motivi aggiunti si trasformi in uno strumento elusivo della disciplina dei termini decadenziali previsti dalla legge entro cui bisogna agire.

2.4 L’assunto del ricorrente secondo il quale l’eccezione nullità dell’avviso impositivo per carenza dei poteri del firmatario può essere sollevata in ogni grado e stato del giudizio anche d’ufficio non è in linea con il consolidato orientamento giurisprudenziale cui va data continuità secondo il quale ” Nelle nullità del diritto tributario, di qualsiasi natura esse siano, compresa quella, ad es. concernente gli elementi essenziali dell’atto, opera il principio generale della “cristallizzazione” (c.d. consolidamento) della pretesa del titolare del potere impositivo: in sostanza, anche l’atto astrattamente nullo se non oggetto di specifica censura ed impugnativa giurisdizionale da parte del contribuente, si evolve e si trasforma in un atto sano e, conseguentemente, creatore di effetti giuridici. Le forme di invalidità dell’atto tributario, ove anche dal legislatore indicate sotto il nomen di nullità, si riferiscono ad annullabilità, ciò in quanto l’atto normativamente nullo produce effetti nel mondo giuridico fiscale come se fosse valido, tanto che costituisce titolo per la riscossione ed è suscettibile di divenire definitivo, rendendo irrilevanti gli eventuali vizi, se l’interessato non ricorre al giudice tributario. In materia tributaria, alla sanzione di nullità non si applica il regime di diritto amministrativo di cui alla L. n. 241 del 1990, art. 21-septies e al D.Lgs. n. 104 del 2010, art. 31, comma 4, che risulta incompatibile con le specificità degli atti tributari relativamente ai quali il legislatore, nella sua discrezionalità, ha configurato una categoria unitaria di invalidità – annullabilità, sicchè il contribuente ha l’onere della tempestiva impugnazione nel termine decadenziale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 onde evitare il definitivo consolidarsi della pretesa tributaria, senza che alcun vizio possa, poi, essere invocato nel giudizio avverso l’atto consequenziale, o, emergendo dagli atti processuali, possa essere rilevato d’ufficio dal giudice”.

2.5 Tale principio è stato esteso anche sanzione della “nullità” comminata dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 3, all’avviso di accertamento privo di sottoscrizione (cfr. Cass. 381/2016, 13126/2016, 661/2016, 706/2017).

2.6 Correttamente, quindi, la CTR ha dichiarato l’inammissibilità del motivo di impugnazione non sollevato nel ricorso introduttivo e irritualmente introdotto con la memoria illustrativa e successivamente fatto oggetto di motivo di appello.

3. Il secondo motivo è infondato.

3.1 Da quanto è dato comprendere dalla esposizione dei fatti contenuta nel ricorso nel caso in esame si è verificato quanto peraltro usuale nella prassi, ovvero la conclusione di un contratto preliminare (nel 2004) ad effetti anticipati e percezione da parte dell’acquirente di anticipi sul prezzo, cui ha fatto seguito, nel 2008, la stipula del definitivo rogito notarile. 3.2 Orbene l’obbligazione tributaria di cui qui si tratta sorge quando alla plusvalenza realizzata mediante lottizzazione del terreno si accompagna la ” successiva vendita anche parziale dei terreni e degli edifici” che si identifica con il trasferimento della proprietà del bene immobile. E l’effetto traslativo può ritenersi prodotto solo con l’atto notarile trascritto e non in forza di altri atti negoziali preparatori di natura obbligatoria, quali il preliminare, e di fatti quali il versamento di acconti sul prezzo finale. (cfr. da ultimo Cass. n.1420/2020).

3.3 Ne consegue che è conforme ai suindicati principi l’operato della CTR che ha respinto l’eccezione di decadenza del potere impositivo facendolo decorrere dal 2008 con il perfezionamento dell’atto di compravendita che produce il trasferimento del diritto e non con il preliminare che ha meri effetti obbligatori. 3.4 Quanto ai profili della censura che investono la corretta determinazione dell’imponibile va innanzitutto rilevato che è lo stesso ricorrente (cfr. pag. 21 del ricorso) a dare atto che l’Ufficio con proprio atto di autotutela, applicando il principio di cassa limitato all’anno di imposta 2008, ha stralciato dall’imponibile la somma di Euro 160.560,77 incassata dal contribuente, quale residuo del corrispettivo della vendita nel 2009.

3.5 La CTR ha, inoltre, affermato che “l’Ufficio … in sede di autotutela ha riconosciuto i costi sostenuti per la perizia di stima, e le competenze professionali versate al Notaio per la stipula della convenzione di lottizzazione, documentate correttamente dal contribuente, che invece non è stato in grado di provare di aver sostenuto spese per gli oneri di urbanizzazione indicati nella convenzione, Peraltro nel preliminare di vendita si specifica che le spese relative alla urbanizzazione e agli allacci sono a carico dell’acquirente ” 3.6 Si tratta di accertamenti svolti in punto di fatto insindacabili in questa sede.

4. Il ricorso va, quindi, rigettato.

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso,

– condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 5.600 oltre spese prenotate a debito.

– Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 gennaio 2021

 

 

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