Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15316 del 25/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 25/07/2016, (ud. 12/04/2016, dep. 25/07/2016), n.15316

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – rel. Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1183-2015 proposto da:

S.R., C.F. (OMISSIS), domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR,

presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE MASSARI, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

FERROVIE APPULO LUCANE S.R.L., P.I. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 73 SC. B INT. 2, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO

AUGUSTO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2606/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 29/10/2014 R.G.N. 1830/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/04/2016 dal Consigliere Dott. ADRIANO PIERGIOVANNI PATTI;

udito l’Avvocato COLEINE LORENZO per delega Avvocato MASSARI

GIUSEPPE;

udito l’Avvocato AUGUSTO VINCENZO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

La Corte d’appello di Bari, in riforma della sentenza di primo grado (che, in accoglimento dell’opposizione proposta da S.R. avverso l’ordinanza di rigetto dell’impugnazione del licenziamento disciplinare intimatogli dalla datrice Ferrovie Apulo Lucane s.r.l. con lettera del 28 febbraio 2013, pure esclusa la natura discriminatoria nè ritorsiva del recesso ed anzi ritenutane la giusta causa, tuttavia ne aveva accertato l’inefficacia e dichiarato la risoluzione del rapporto di lavoro dalla data del licenziamento, con la condanna della società datrice al pagamento, in favore del lavoratore a titolo risarcitorio, di somma commisurata a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre rivalutazione, interessi e spese di giudizio), con sentenza 29 ottobre 2014, rigettava, in accoglimento del reclamo della prima, l’opposizione di S.R. e quindi la sua domanda, pure respingendone il distinto reclamo principale e dichiarando assorbito l’incidentale, con la sua condanna alla rifusione delle spese di ogni fase e grado. A motivo della decisione, la Corte territoriale riteneva l’infondatezza del reclamo di S.R.: ribadendo l’inesistenza di natura nè discriminatoria nè ritorsiva del licenziamento disciplinare intimatogli, in assenza di sua idonea confutazione del ragionamento argomentativo del Tribunale, anche per il richiamo a note di giustificazione di oltre venti contestazioni (relative a periodo dal 5 marzo 2007 al 9 luglio 2012) estranee a quelle oggetto della formale contestazione 8 gennaio 2013 (riguardanti assenze ingiustificate dal 10 luglio 2012 al 4 gennaio 2013), alla base del suddetto licenziamento, non riscontrate affatto dal lavoratore; escludendo la qualificabilità del suo comportamento alla stregua di eccezione di inadempimento, a norma dell’art. 1460 c.c., in difetto di prova di inadempimento datoriale nè totale nè di gravità tale da incidere irrimediabilmente sulle condizioni di vita del lavoratore e comunque non integrabile da un comportamento truffaldino ed elusivo dei suoi obblighi (per allontanamento dal posto di lavoro dopo attestazione di presenza tramite badge); per inammissibilità, per novità di deduzione, e comunque ininfluenza probatoria delle note/incongruenze conclusive, in fase di opposizione ad ordinanza, di confutazione per la prima volta delle contestazioni (per assenza dall’ufficio assegnato) a base del licenziamento disciplinare (per assenza dal posto di lavoro).

Ravvisata poi l’ammissibilità della deduzione di vizio del procedimento disciplinare ai sensi dell’art. 66 CCNL di categoria, per la prima volta in sede di opposizione in quanto eccezione ben proponibile (per la limitazione del divieto in tale fase alle sole “domande diverse” da quelle proposte ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 47), la Corte territoriale riteneva quindi la fondatezza del reclamo datoriale, per l’erronea interpretazione del novellato L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 6 (esclusivamente sanzionante con inefficacia la violazione delle previsioni dell’art. 7 I. cit., non integrate dalla contrattazione collettiva) e la non corretta applicazione della rigida scansione temporale del procedimento disciplinare, a norma dell’art. 66 CCNL cit., in riferimento alla sua concreta modulazione nel caso di specie.

Con atto notificato il 30 dicembre 2014 (5 gennaio 2015), S.R. ricorre per cassazione con quattro motivi, cui resiste Ferrovie Apulo Lucane s.r.l. con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 156 c.p.c., comma 2, art. 111 Cost. ed omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in riferimento all’erronea esclusione del licenziamento discriminatorio o ritorsivo, invece sussistente alla luce della ribadita evidenza delle circostanze di fatto allegate.

Con il secondo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (sub rubrica di “illogicità su un punto decisivo della controversia. Erronea qualificazione giuridica”), per sottrazione totale di mansioni dalla società datrice, non rifiutabili per loro inesistenza dal lavoratore (vertendo infatti le contestazioni ed il licenziamento sull’assenza dal posto di lavoro e non sul mancato espletamento dell’attività lavorativa).

Con il terzo, il ricorrente deduce illogicità di motivazione su punto decisivo della controversia ed errata valutazione delle prove, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per l’erroneamente supposto confezionamento di falsi per creare un’apparenza di esecuzione di prestazioni lavorative in realtà non rese e la ritenuta inammissibilità, per novità, di note di contestazione nuovamente sottoposte a scrutinio.

Con il quarto, il ricorrente deduce violazione dell’art. 66 CCNL di categoria, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per il mancato rispetto dalla società datrice dei termini prescritti di adozione del provvedimento disciplinare (licenziamento intimato con lettera 28 febbraio 2013) dal ricevimento delle contestazioni (effettuate in data 9 ottobre 2012, 30 ottobre 2012, 8 gennaio 2013).

Il primo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, art. 156 c.p.c., comma 2, art. 111 Cost. ed omessa motivazione, in riferimento all’erronea esclusione del licenziamento discriminatorio o ritorsivo, invece sussistente, è inammissibile.

Con esso il ricorrente non deduce la violazione di norme di diritto in senso proprio, per la mancanza dei requisiti peculiari, di sussunzione del fatto, accertato dal giudice di merito, nell’ipotesi normativa (Cass. 28 novembre 2007, n. 24756), neppure mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina: così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della violazione denunziata (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984). Sicchè esso si esaurisce nella sostanza nel vizio di motivazione denunciato: inconfigurabile, alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, esclusivamente deducibile per omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), avendo invece il ricorrente piuttosto censurato la valutazione negativa della Corte territoriale in ordine all’insussistenza di una natura discriminatoria o ritorsiva del licenziamento (per le ragioni illustrate al p.to 12 di pgg. da 6 a 8 della sentenza impugnata).

Il secondo motivo, relativo a violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 c.c., per sottrazione totale di mansioni dalla società datrice, non rifiutabili per loro inesistenza dal lavoratore, è inammissibile.

Esso difetta infatti del requisito di specificità, in violazione della prescrizione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, che esige l’illustrazione del motivo, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202). E ciò per omessa confutazione del critico ed argomentato ragionamento della Corte territoriale, in ordine all’esclusione della circostanza “che il Somma fosse stato deprivato delle proprie mansioni (che invece gli erano state assegnate) ma solo che l’allocazione fisica presso la “portineria di Bari Scalo” non fosse adeguata alla tutela della sua integrità fisica: circostanza quest’ultima che il S…. non risulta aver mai contestato e fatto valere in sede giudiziaria” (così al primo capoverso di pg. 9 della sentenza).

Sicchè, anche qui la doglianza si risolve sostanzialmente in un’inammissibile censura motivazionale, non più deducibile in sede di legittimità, alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per le ragioni sopra illustrate.

Anche il terzo motivo, relativo ad illogicità di motivazione ed errata valutazione delle prove, per erroneamente supposto confezionamento di falsi per l’apparente esecuzione di prestazioni lavorative in realtà non rese e ritenuta inammissibilità per novità di note di contestazione, è inammissibile.

Si deve ribadire che il ragionamento motivo del giudice di merito non è sindacabile, alla luce del novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (secondo cui, come detto, è esclusivamente denunciabile l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”), applicabile ratione temporis per la pubblicazione della sentenza impugnata in data posteriore (29 ottobre 2014) al trentesimo giorno successivo a quella di entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83 (12 settembre 2012), secondo la previsione dell’art. 54, comma 3 D.L. citato.

Ed infatti, esso ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (nel senso che, qualora esaminato, sia idoneo a determinare un esito diverso della controversia). Da ciò discende che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”; fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie: con la conseguente preclusione nel giudizio di cassazione dell’accertamento dei fatti ovvero della loro valutazione a fini istruttori. Sicchè, detta riformulazione deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Ed è pertanto denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439). Il quarto motivo, relativo a violazione dell’art. 66 CCNL di categoria per il mancato rispetto dalla società datrice dei termini prescritti di adozione del licenziamento disciplinare dal ricevimento dal lavoratore delle contestazioni, è infine infondato.

Come noto, questa Corte è investita dell’interpretazione diretta della disposizione denunciata, per l’equiparazione della violazione dei contratti collettivi di lavoro, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 sul piano processuale a quella delle norme di diritto, comportante, in sede di legittimità, l’interpretazione delle loro clausole in base alle norme codicistiche di ermeneutica negoziale (artt. 1362 c.c. e ss.) come criterio interpretativo diretto e non come canone esterno di commisurazione dell’esattezza e della congruità della motivazione: senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, nè del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati o di una loro applicazione sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti (Cass. 19 marzo 2014, n. 6335; Cass. 16 settembre 2014, n. 19507).

Ebbene, nell’esercizio di una tale interpretazione diretta, si reputa di assumere come propria, in quanto condivisa per la sua correttezza, quella operata (sulla base delle argomentazioni illustrate al p.to 20 di pg. 16 della sentenza) dalla Corte territoriale, che ha altresì accertato la mancanza di prova del momento di perfezionamento della conoscenza della società datrice ai fini della decorrenza del termine (entro dieci giorni dalla scadenza del termine assegnato al dipendente per la presentazione delle sue giustificazioni) per la notificazione del provvedimento disciplinare, a norma dell’art. 66, comma 7 CCNL (p.to 21.2 di pg. 17 della sentenza), senza alcuna confutazione dalle argomentazioni del ricorrente, meramente ripetitive e generiche.

Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso, con la regolazione delle spese del giudizio, secondo il regime di soccombenza.

PQM

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna Raffaele Somma alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in Euro 100,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15 % e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 2 bis.

Così deciso in Roma, il 12 aprile 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2016

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