Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15314 del 25/07/2016

Cassazione civile sez. lav., 25/07/2016, (ud. 09/03/2016, dep. 25/07/2016), n.15314

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 29270-2014 proposto da:

S.E., C.f. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

C. MIRABELLO 17, presso lo studio dell’avvocato MARCO GREGORIS,

rappresentato e difeso dall’avvocato DOMENICO FORMICA, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

CENTRO AGRO- ALIMENTARE PICENO S. CONS. P.A., C.f. (OMISSIS), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII 108, presso lo studio

dell’avvocato BRUNO SCONOCCHIA, rappresentata e difesa dagli

avvocati LEONARDO CARBONE, MAURIZIO CINELLI, giusta delega in atti;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 429/2014 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositate il 06/06/2014 r.g.n. 175/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/03/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO;

udito l’Avvocato CARBONE LEONARDO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto dei ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza depositata il 6 giugno 2014 la Corte d’appello di Ancona ha confermato la,decisione del giudice di primo grado che aveva rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo con il quale il Centro Agroalimentare Piceno S.p.A. aveva intimato a Spinozzi Elio il pagamento della somma di Euro 434.706,02 a titolo di restituzione di parte delle somme corrisposte al predetto in esecuzione della sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno che aveva accertato l’illegittimità del licenziamento, sentenza parzialmente riformata in appello, con rideterminazione delle somme dovute al lavoratore.

2. A fondamento della decisione la Corte territoriale rilevava che la sentenza d’appello menzionata (n. 633/2011) non conteneva disposizione alcuna circa la prosecuzione del giudizio in funzione della determinazione del quantum dovuto in restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado; che, pertanto, la condanna alla restituzione, pur definitiva, era illiquida, e doveva essere interpretata come condanna generica, con riserva a separato giudizio della determinazione quantitativa; che la riforma della sentenza di primo grado aveva reso privo di titolo il pagamento fatto in esecuzione di quest’ultima; che, pertanto, il solvens aveva diritto all’immediata restituzione della parte di somma non dovuta, senza che fosse ravvisabile pregiudizialità ex art. 295 c.p.c. in relazione al processo pendente in cassazione a seguito di impugnazione della sentenza contenente la condanna generica; che, inoltre, alcun problema di conflitto potenziale di giudicati era ravvisabile, poichè ai sensi dell’art. 336 c.p.c., comma 2 la cassazione della sentenza avrebbe eventualmente posto nel nulla le statuizioni contenute nel decreto ingiuntivo.

3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione lo S. sulla base di due motivi. Ha resistito Centro Agroalimentare Piceno con controricorso, illustrato con memoria, e depositando sentenza Corte di Cassazione n. 5175/2015, resa tra le stesse parti a seguito di impugnazione della citata sentenza della Corte d’appello 633/2011.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente deduce nullità per contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 in relazione all’art. 132 c.p.c., comma 4. Il ricorrente, premessa la sussistenza della possibilità di ricorrere per cassazione ponendo a fondamento della doglianza l’esistenza di una motivazione contraddittoria anche in costanza di nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 evidenzia che la decisione da un lato afferma che l’ammontare dell’indebito in eccedenza deve essere quantificato solo alla stregua degli elementi acquisiti al giudizio, dall’altro ritiene che il rinvio al CCNL di settore non sia sufficiente per tale calcolo. Rileva che le due enunciazioni contenute nella motivazione adottata dalla Corte territoriale si pongono in una relazione di estremo e insanabile contrasto.

2. Il motivo è infondato e va rigettato. Va premesso che nella formulazione vigente ratione temporis, l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo novellato ex L. n. 134 del 2012, non consente la denuncia, come si legge nel ricorso, di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”, ma, piuttosto, di “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. In proposito, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831), il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5), introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Un siffatto vizio non è stato evidenziato in concreto, posto che è stato dedotto esclusivamente un profilo di contraddittorietà della motivazione, talchè difettano i presupposti perchè la censura, per come formulata, possa essere ricondotta nell’ambito della nozione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5. Vale richiamare in proposito l’enunciato di Cass. Sez. 6 3, Ordinanza n. 13928 del 06/07/2015, Rv. 636030 “Nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introdotto dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4.”.

3. Con il secondo motivo il ricorrente deduce nullità della sentenza impugnata ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per duplicazione del titolo esecutivo, quale effetto di fattispecie di abuso del processo e mala fede processuale, in violazione dei principi regolatori del giusto processo. Rileva che la descritta situazione è ravvisabile anche nell’ipotesi in cui il creditore abbia già ottenuto un provvedimento giudiziale munito di esecutorietà e azioni in mala fede la medesima pretesa avanti ad altro ufficio giudiziario “per lo stesso credito certo, liquido ed esigibile, già sancito e consacrato nel precedente provvedimento, munendosi in tal guisa di un ulteriore titolo esecutivo”.

4. Anche tale motivo è infondato. Ed invero la corte d’appello ha chiarito che la condanna alla restituzione contenuta nella sentenza d’appello n. 633/2011 era definitiva, sebbene illiquida ed emessa in termini di condanna generica con riserva. Sulla base di tale costruzione argomentativa non solo non è ravvisabile alcuna duplicazione di azioni o di abuso del diritto, ma deve ritenersi obbligato il percorso giudiziale intrapreso dallo Spinosi, non potendo egli – agire direttamente in esecuzione sulla base dei dati contenuti nella sentenza di condanna (cfr. Sez. L, Sentenza n. 24242 del 30/11/2010, Rv. 615583: “la sentenza che, dichiarando l’illegittimità del licenziamento, condanni il datore di lavoro a corrispondere al lavoratore le mensilità di retribuzione, secondo i criteri di cui all’art. 2121 c.c., per il periodo compreso fra la data del licenziamento stesso e quella dell’effettiva reintegra, va parificata, quando non sia indicativa di un importo determinato o determinabile in base a semplice calcolo aritmetico, ad una pronuncia di condanna generica, con conseguente eventuale necessità di un ulteriore giudizio per la liquidazione del “quantum”, quando insorga successivamente controversia in ordine alla individuazione della retribuzione globale di fatto assunta dalla L. n. 300 del 1970, dal art. 18, comma 4 quale parametro del risarcimento”; conforme Sez. L, Sentenza n. 8067 del 02/04/2009, Rv. 607764) Nel descritto contesto argomentativo nessun rilievo può assumere la sentenza di legittimità depositata in atti, essendo la stessa inidonea a mutare la qualificazione di condanna generica della pronuncia cui accede.

5. In base alle svolte argomentazioni il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore della controparte, liquidate in complessivi Euro 5.100,00, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2016

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