Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15312 del 25/07/2016


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Cassazione civile sez. lav., 25/07/2016, (ud. 08/03/2016, dep. 25/07/2016), n.15312

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. DORONZO Adriano – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13773-2010 proposto da:

EQUITALIA SARDEGNA S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del suo

amministratore delegato e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio

dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende unitamente

agli avvocati ARTURO MARESCA, GERMANO DONDI, MATTIA PERSIANI,

GIAMPIERO PROIA, SALVATORE TRIFIRO’, RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in

proprio e quale mandatario della S.C.C.I. SPA CARTOLARIZZAZIONE

CREDITI INPS, in persona del Presidente legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29,

presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso

dagli Avvocati LUIGI CALIULO, LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 168/2009 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI –

SEZ. DIST. DI SASSARI, depositata il 11/06/2009 R.G.N. 223/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/03/2016 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito l’Avvocato RIGI LUPERTI MARCO per delega Avvocato PESSI

ROBERTO;

udito l’Avvocato MARITATO LELIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO del PROCESSO

Con sentenza del 18.3 – 11 giugno 2009 la Corte d’Appello di Cagliari, Sezione distaccata di – Sassari, accogliendo il gravame proposto dall’Inps, rigettò l’opposizione proposta con atto del sei agosto 2007 da EQUITALIA Sardegna S.p.a. (già BIPIESSE Riscossioni S.p.a.), avverso la cartella esattoriale di 76.745,59 Euro, notificata il 18 luglio 2007, emessa nei suoi confronti ed avente ad oggetto il recupero delle agevolazioni contributive fruite, per il periodo novembre 1995 – gennaio 1996 – maggio 2001 (dalla nota di messa in mora pervenuta alla società il 29 giugno 2005, si faceva riferimento agli anni 1995/1999) in relazione agli sgravi riconosciuti dalle leggi italiane per i contratti di formazione e lavoro e, secondo la decisione della Commissione Europea resa in data 11.5.1999, costituenti aiuti di stato non compatibili con il mercato comune.

A sostegno del decisum la Corte territoriale, per ciò che ancora qui specificamente rileva, ritenne fra l’altro quanto segue:

l’onere probatorio sull’applicazione del diritto agli sgravi incombeva sulla parte beneficiaria degli stessi;

il recupero doveva avvenire secondo quanto previsto dalle norme di diritto interno, in maniera da assicurarne l’effettività, con conseguente irrilevanza degli argomenti addotti per bloccare tale recupero;

anche l’impresa esercitante attività economica solo all’interno della Regione era soggetta alla regola del libero mercato, potendo gli aiuti falsare la concorrenza; la pretesa del pagamento integrale della contribuzione, per gli anni di riferimento e per il numero dei lavoratori risultanti dalla documentazione inviata dall’impresa, era da ritenersi legittima fino a prova contraria e nessun obbligo di accertamento preliminare all’emissione del titolo esecutivo incombeva sull’Istituto;

non poteva, pertanto, tenersi conto delle norme riguardanti la riscossione tramite ruoli ed i termini da rispettare, come di eventuali decadenze e della necessità della motivazione, trattandosi di disposizioni che, per quanto non idonee a consentire il recupero, dovrebbero essere disapplicate dal giudice nazionale;

peraltro, la decadenza non avrebbe potuto trovare applicazione trattandosi di contributi dovuti prima del 2004;

nella fattispecie non poteva trovare applicazione, quale ragione ostativa al recupero, il principio dell’affidamento, non essendo stata provata la sussistenza di situazioni eccezionali;

l’eccezione di prescrizione era infondata, poichè al pari di altre norme puramente interne, avrebbe rappresentato un ostacolo formale alla inderogabile applicazione delle decisioni della Commissione ed al principio di effettività; nel caso di specie, la prescrizione non poteva comunque decorrere prima che il diritto potesse essere fatto valere e, perciò, prima del 2002, quando si era pronunciata la Corte di Giustizia; doveva trovare applicazione la regolamentazione comunitaria, prevedente un termine di dieci anni dalla erogazione del contributo illegittimo; il decennio operava nei confronti dei soli beneficiari e non si riferiva allo Stato; la prescrizione era stata interrotta nel giugno 2005, con l’invio da parte dell’I.N.P.S. di apposita richiesta e nel luglio 2007 con la notificazione della cartella esattoriale; a tale data non erano quindi decorsi neppure i cinque anni rilevanti ai sensi della L. n. 335 del 1995.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, EQUITALIA Sardegna S.p.a. (già BIPIESSE Riscossioni S.p.a.) ricorreva per cassazione mediante atto fondato su undici motivi.

L’Inps, anche quale mandatario della S.C.C.I. S.p.a., ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo (A) la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 189, comma 4 Trattato CE; della L. n. 1203 del 1957, art. 2; dell’art. 11 Cost. e degli artt. 3 e 5 della decisione della Commissione Europea dell’11.5.1999, in ordine alla ritenuta legittimazione dell’Inps, piuttosto che dello Stato italiano, per il recupero degli aiuti di Stato per cui è causa. Con il secondo motivo (B) la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., dell’art. 189, comma 4, e art. 191, comma 3, del Trattato CE, della L. n. 1203 del 1957, art. 2, dell’art. 11 Cost. e degli artt. 3 e 4 della decisione della Commissione Europea dell’11 maggio 1999, con riferimento all’individuazione del dies a quo del termine di prescrizione, avendo la Corte territoriale violato la legge nel momento in cui aveva escluso che la prescrizione di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, poteva essere utilmente invocata dalla Società per contrastare le pretese dell’I.N.P.S.. In particolare, si censurava la motivazione della Corte di appello, secondo cui il termine quinquennale di prescrizione decorreva dalla sentenza della Corte di Giustizia in data due marzo 2002, con la quale era stato respinto il ricorso dello Stato italiano avverso la decisione della Commissione UE in data 11 maggio 1999, termine che non era decorso, nonostante l’avvenuta notifica della cartella eseguita il 18 luglio 2007, relativamente a contributi dovuti per il periodo dal 1995 al 2000, laddove si era ritenuta comunque interrotta la prescrizione per effetto della nota del 29 giugno 2005, con la quale I’I.N.P.S. aveva preteso il pagamento della contribuzione per l’intero. Erroneamente era stato ritenuto che il termine quinquennale di prescrizione decorresse dalla sentenza della Corte di Giustizia CE del 7.3.2002, anzichè dal momento in cui i contributi previdenziali de quibus erano dovuti, ovvero dalla data di notifica (4.6.1999) della decisione della Commissione. In ogni caso, anche nell’ipotesi in cui il termine quinquennale decorresse dal sette marzo 2002, il diritto dell’I.N.P.S. al pagamento integrale dei contributi si sarebbe comunque prescritto, avendone chiesto l’I.N.P.S. il pagamento, per il periodo novembre 19995 – dicembre 1999, con lettera ricevuta dalla società il 29 giugno 2005, con riferimento a “recupero agevolazioni contributive per CFL”.

Con il terzo motivo (C) la ricorrente denuncia vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto idonea a interrompere la prescrizione la nota dell’Istituto, ricevuta dalla società il 29 giugno 2005.

Con il quarto motivo (D) la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 1, e degli artt. 24 e 97 Cost., deducendo la violazione, da parte dell’Inps, dell’obbligo di motivazione della richiesta di recupero dell’Inps e della successiva cartella esattoriale opposta.

Con il quinto (E) motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione (anche ai sensi dell’art. 12 preleggi, comma 2) del principio generale del legittimo affidamento nella certezza del diritto.

Con il sesto (F) la ricorrente denuncia insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, avendo negato che ricorrevano nella specie circostanze eccezionali sulle quali fondare il legittimo affidamento – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Con il settimo (G) motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – dell’art. 2697 c.c., dell’art. 189, comma 4, del Trattato CE, della L. n. 1203 del 1957, art. 2, dell’art. 11 Cost. e degli artt. 1, 2 e 3 della decisione della Commissione Europea dell’11 maggio 1999, dolendosi che la Corte territoriale abbia ritenuto che l’onere della prova sulla sussistenza dei presupposti stabiliti dalla Commissione incombe sulla parte beneficiaria degli aiuti di Stato, già usufruiti, anzichè sull’Inps.

Con l’ottavo motivo (H) la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 189, comma 4, del Trattato CE, della L. n. 1203 del 1957, art. 2, dell’art. 11 Cost. e dei punti 115 e 199 della decisione della Commissione Europea dell’11.5.1999, deducendo che erroneamente la Corte territoriale, applicando la regola de minimis, non aveva detratto, ogni tre anni, la somma di Euro 100.000,00 (punto 115) dal credito rivendicato dall’Inps con la cartella esattoriale opposta. Ed era altresì evidente che entro il suddetto limite non potevano computarsi le agevolazioni fruite dalle imprese legittimamente, per effetto della riduzione base del 25% (che non costituiva affatto aiuto di Stato, trattandosi di misura generale applicabile in modo uniforme a tutte le imprese), ovvero per effetto di altre misure dichiarate compatibili con il mercato comune. Pertanto, l’impugnata sentenza aveva violato i punti 115 e 119 della decisione della Commissione in data 11 maggio 19999, allorchè non aveva applicato la regola de minimis.

Con il nono motivo (I) la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 189, comma 4, del Trattato CE, della L. n. 1203 del 1957, art. 2, dell’art. 11 Cost. e degli artt. 1 e 2 e del punto 87 della decisione della Commissione Europea dell’11.5.1999, nonchè dell’art. 432 c.p.c., assumendo che la Corte territoriale, in ordine alla quantificazione delle somme pretese, avrebbe dovuto determinare in via equitativa i costi per la formazione e gli oneri fiscali sostenuti da essa ricorrente a fronte della stipulazione dei contratti di formazione lavoro e avrebbe dovuto quindi detrarli dal credito rivendicato con la cartella opposta.

Con il decimo motivo (J) la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, artt. 24 e 25, deducendo che erroneamente la sentenza impugnata aveva respinto le svolte eccezioni di decadenza e di illegittimità dell’iscrizione a ruolo in pendenza di ricorso amministrativo.

Con l’undicesimo motivo (L), infine, la società denunziava violazione o falsa applicazione dell’art. 86 Tratto U.E., nonchè insufficiente motivazione circa il fatto controverso e decisivo, relativo alla circostanza per cui la ricorrente non aveva mai svolto attività in regime di concorrenza, poichè le agevolazioni godute ai sensi delle L. n. 407 del 1990, L. n. 169 del 1991, L. n. 451 del 1994 e L. n. 196 del 1997 non avevano inciso sigli scambi comunitari e sulla concorrenza, essendo pacifico che la stessa aveva operato in un settore nel quale non vigevano le regole della concorrenza, trattandosi della gestione di servizi d’interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale, cosa che non era stata mai posta in discussione dall’I.N.P.S.: nel caso in esame mancava, dunque, uno dei requisiti essenziali, individuati dalla Commissione, per poter operare il recupero dei presunti aiuti di stato.

Quindi, l’impugnata sentenza non aveva considerato che le agevolazioni fruite da EQUITALIA SARDEGNA non potevano incidere sugli scambi comunitari e sulla concorrenza, in quanto tale azienda aveva sempre operato in regime di esclusiva, perseguendo un fine di pubblico interesse.

Orbene, le anzidette doglianze, che per la loro evidente connessione possono esaminarsi congiuntamente, non meritano pregio, ritenendo il collegio di dover dare continuità alla precedente giurisprudenza di questa corte affermatasi nella materia in questione (cfr. in part. Cass. lav. n. 6158 del 6/2 – 12/03/2013, con il rigetto del ricorso della S.p.a. BANCO DI SARDEGNA contro I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE della PREVIDENZA SOCIALE, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. – Società di Cartolarizzazione dei Crediti dell’Istituto, avverso la sentenza n. 164/2009 della CORTE d’APPELLO DI CAGLIARI – sezione distaccata di Sassari).

Per una miglior comprensione della presente controversia, giova ricordare che il 7 maggio 1997 le Autorità italiane notificarono alla Commissione, ai sensi dell’art. 93, n. 3, del Trattato, un progetto di legge relativo ad aiuti di Stato, che, successivamente approvato dal Parlamento, divenne la L. n. 196 del 1997; tale progetto di legge fu iscritto nel registro degli aiuti notificati, sotto il numero N. 338/97. Sulla base di informazioni trasmesse dalle Autorità italiane, la Commissione esaminò altri regimi di aiuti relativi a tale settore, cioè le L. n. 863 del 1984, L. n. 407 del 1990, L. n. 169 del 1991 e L. n. 451 del 1994; queste leggi, poichè erano già in vigore, vennero iscritte nell’elenco degli aiuti non notificati sotto il numero 164/97.

Con lettera 17 agosto 1998, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee (G.U. C 284, pag. 11), la Commissione informò il Governo italiano della sua decisione di avviare il procedimento previsto dall’art. 93, n. 2, del Trattato nei confronti degli aiuti per l’assunzione mediante contratti formazioni e lavoro a tempo determinato previsti dalla L. n. 863 del 1984, L. n. 407 del 1990, L. n. 169 del 1991 e L n. 451 del 1994 e concessi dal novembre 1995; con la stessa lettera la Commissione informò, altresì, il Governo italiano della sua decisione di dare corso al medesimo procedimento nei confronti degli aiuti alla trasformazione dei contratti di formazione e lavoro in contratti a tempo indeterminato L. n. 196 del 1997, ex art. 15.

Acquisite le osservazioni del Governo italiano e le ulteriori precisazioni e informazioni richieste, la Commissione, al termine del procedimento, adottò la propria decisione in data 11.5.1999, notificata alla Repubblica Italiana con nota 4 giugno 1999, n. SG(99) D/4068.

Con la suddetta decisione la Commissione stabilì quanto segue: “Art. 1.

1. Gli aiuti illegittimamente concessi dall’Italia, a decorrere dal novembre 1975, per l’assunzione di lavoratori mediante i contratti di formazione e lavoro previsti dalla L. n. 863 del 1984, L. n. 407 del 1990, L. n. 169 del 1991 e L. n. 451 del 1994, sono compatibili con il mercato comune e con l’accordo SEE a condizione che riguardino: la creazione di nuovi posti di lavoro nell’impresa beneficiaria a favore di lavoratori che non hanno ancora trovato un impiego o che hanno perso l’impiego precedente, nel senso definito dagli orientamenti in materia di aiuti all’occupazione; l’assunzione di lavoratori che incontrano difficoltà specifiche ad inserirsi o a reinserirsi nel mercato del lavoro. Ai fini della presente decisione, per lavoratori che incontrano difficoltà specifiche ad inserirsi o a reinserirsi nel mercato del lavoro s’intendono i giovani con meno di 25 anni, i laureati fino a 29 anni compresi, i disoccupati di lunga durata, vale a dire le persone disoccupate da almeno un anno.

2. Gli aiuti concessi per mezzo di contratti di formazione e lavoro che non soddisfano alle condizioni menzionate al paragrafo 1 sono incompatibili con il mercato comune.

Art. 2.

1. Gli aiuti concessi dall’Italia in virtù della L. n. 196 del 1997, ad. 15 per la trasformazione di contratti di formazione e lavoro in contratti a tempo indeterminato sono compatibili con il mercato comune e con l’accordo SEE purchè rispettino la condizione della creazione netta di posti di lavoro come definita dagli orientamenti comunitari in materia di aiuti all’occupazione.

Il numero dei dipendenti delle imprese è calcolato al netto dei posti che beneficiano della trasformazione e dei posti creati per mezzo di contratti a tempo determinato o che non garantiscono una certa stabilità dell’impiego.

2. Gli aiuti per la trasformazione di contratti di formazione e lavoro in contratti a tempo indeterminato che non soddisfano la condizione di cui al paragrafo 1 sono incompatibili con il mercato comune.

Art. 3.

L’Italia prende tutti i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti che non soddisfano alle condizioni di cui agli artt. 1 e 2 già illegittimamente concessi. Il recupero ha luogo conformemente alle procedure di diritto interno. Le somme da recuperare producono interessi dalla data in cui sono state messe a disposizione dei beneficiari fino a quella del loro recupero effettivo. Gli interessi sono calcolati sulla base del tasso di riferimento utilizzato per il calcolo dell’equivalente sovvenzione nel quadro degli aiuti a finalità regionale.

Art 4.

Entro due mesi a decorrere dalla data di notificazione della presente decisione, l’Italia informa la Commissione delle misure adottate per conformarvisi.

Ad. 5.

La Repubblica Italiana è destinataria della presente decisione”.

Con sentenza del 7.3.2002 in causa C-310/99, la Code di Giustizia CE rigettò il ricorso della Repubblica italiana, depositato il 13.8.1999, diretto a far annullare la decisione della Commissione 11 maggio 1999, 2000/128/CE, relativa al regime di aiuti concessi dall’Italia per interventi a favore dell’occupazione, e, in subordine, a far annullare tale decisione nella misura in cui aveva previsto recupero delle somme che costituivano un aiuto incompatibile con il mercato comune.

Con sentenza del 1.4.2004, in causa C-99/02, la Corte di Giustizia CE, sul presupposto che “la Commissione aveva fissato un termine di due mesi a decorrere dalla data di notifica di detta – decisione” (punto 24) e che “…allo scadere di tale termine, il governo italiano non aveva adottato le misure necessarie per recuperare gli aiuti in questione” (punto 25), stabilì che “la – Repubblica italiana, non avendo adottato entro i termini prescritti tutte le misure necessarie per i recuperare presso i beneficiari gli aiuti che, ai sensi della decisione della Commissione 11 maggio 1999, 2000/128/CE, relativa al regime di aiuti concessi dall’Italia per interventi a favore dell’occupazione, sono stati giudicati illegittimi ed incompatibili con il mercato comune, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli artt. 3 e 4 della detta decisione”.

Va, quindi, ricordato che l’efficacia diretta delle norme comunitarie nell’ordinamento interno, prevista dall’art. 93 (ora 88) del Trattato CEE, si estende anche alle decisioni con cui la Commissione, nell’esercizio del controllo sulla compatibilità degli aiuti di stato con il mercato comune, disponga la sospensione di una misura di aiuto, ne dichiari l’incompatibilità o ne ordini la restituzione, e comporta l’invalidità e/o l’inefficacia delle norme di legge e degli atti amministrativi o negoziali in forza dei quali la misura di aiuto è stata erogata (Cass. 1 civ. n. 15980 del 06/07/2010. Conforme Cass. n. 24065 del 2006.

5. altresì in senso analogo Cass. 5 civ. n. 22318 del 03/11/2010, secondo cui l’efficacia diretta delle norme comunitarie nell’ordinamento interno, prevista dal Trattato CEE, si estende anche alle decisioni con cui la Commissione, nell’esercizio del controllo sulla compatibilità degli aiuti di Stato con il mercato comune, disponga la sospensione di una misura di aiuto, ne dichiari l’incompatibilità o ne ordini la restituzione, e comporta l’invalidità e/o l’inefficacia delle norme di legge e degli atti amministrativi o negoziali in forza dei quali la misura di aiuto è stata erogata, nonchè il divieto, espressamente previsto dall’art. 93 cit., di dare esecuzione alla misura fino a quando la procedura di verifica non abbia condotto ad una decisione finale della Commissione. Tale vincolo, avendo come destinatario non solo lo Stato membro, ma anche i soggetti dell’ordinamento interno, ivi comprese le autorità nazionali, amministrative e giurisdizionali, e traducendosi nell’obbligo di dare attuazione al diritto comunitario, se necessario attraverso la disapplicazione delle norme interne che siano in contrasto con esso, rende viziata da errore di diritto la sentenza del giudice interno, che abbia ritenuto irrilevante la decisione con cui la Commissione abbia disposto la sospensione di una misura di aiuto fino all’esito della procedura di verifica).

Inoltre, occorre rammentare (cfr. Cass. lav. n. 21898 del 26/10/2010) che in tema di sgravi contributivi, anche laddove detti benefici trovino fondamento nell’avvenuta conclusione di contratti di formazione e lavoro, grava sull’impresa che vanti il relativo diritto l’onere di provare la sussistenza dei necessari requisiti in relazione alla fattispecie normativa di volta in volta invocata (conforme Cass. lav. n. 6671 del 03/05/2012).

5. in senso analogo anche Cass. lav. n. 16639 del 22/07/2014, secondo cui spetta al datore di lavoro, che pretenda di usufruire dei benefici contributivi – previsti in caso di trasferta dei dipendenti o di rimborso per spese di viaggio – dimostrare la causa dell’esonero dall’assoggettamento a contribuzione.

Id. n. 5137 del 09/03/2006: in tema di sgravi contributivi e di fiscalizzazione degli oneri sociali, grava sull’impresa che vanti il diritto al beneficio l’onere di provare la sussistenza dei necessari requisiti in relazione alla fattispecie normativa di volta in volta invocata. Conforme Cass. lav. n. 19373 del 28/09/2004.

Parimenti, secondo Cass. lav. n. 16351 del 24/07/2007, nella controversia avente ad oggetto opposizione a decreto ingiuntivo emesso per il recupero di contributi non corrisposti per applicazione di sgravi contributivi, compete al datore di lavoro opponente l’onere di provare il possesso dei requisiti richiesti dalla legge per poter beneficiare della detrazione.

Cfr. ancora, peraltro, Cass. lav. n. 6807 del 5/5/2003, secondo cui il datore di lavoro che, presentando il modello “DM 10/M”, deduca, nell’ambito di un conguaglio, lo sgravio contributivo relativo ad un pregresso periodo del rapporto di lavoro, riconosce, attraverso la deduzione dello sgravio, l’esistenza del debito contributivo che dello sgravio è necessario presupposto; e tale riconoscimento è idoneo ad interrompere il corso della prescrizione del credito stesso).

Tanto premesso, la Corte territoriale ha escluso la fondatezza dell’eccezione di prescrizione, ritenendo che il relativo termine non fosse decorso, sia che dovesse ritenersi di durata quinquennale, sia, evidentemente a fortiori, che lo si dovesse ritenere di durata decennale.

L’art. 15 del regolamento (CE) n. 659/1999 il quale, sotto il titolo “Periodo limite”, prevede che: “1. I poteri della Commissione per quanto riguarda il recupero degli aiuti sono soggetti ad un periodo limite di 10 anni. 2. Il periodo limite inizia il giorno in cui l’aiuto illegittimo viene concesso al beneficiario come aiuto individuale o come aiuto rientrante in un regime di aiuti. Qualsiasi azione intrapresa dalla Commissione o da uno Stato membro, che agisca su richiesta della Commissione, nei confronti dell’aiuto illegittimo interrompe il periodo limite. Ogni interruzione fa ripartire il periodo da zero. Il periodo limite viene sospeso per il tempo in cui la decisione della Commissione è oggetto di un procedimento dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità Europee.

3. Ogni aiuto per il quale è scaduto il periodo limite è considerato un aiuto esistente”.

La sentenza del Tribunale CE del 10.4.2003 in causa T-360/00 ha ritenuto (prg. 83) che “Riguardo all’argomento della Scott trattasi della parte privata beneficiaria dell’aiuto secondo il quale le misure adottate dalla Commissione tra il gennaio e l’agosto del 1997 non potevano avere l’effetto d’interrompere il termine di prescrizione in applicazione dell’art. 15 del regolamento n. 659/1999, per il motivo che essa non aveva all’epoca conoscenza di tali misure, si deve osservare che l’art. 15 ha introdotto un termine di prescrizione unico per il recupero di un aiuto che si applica allo stesso modo allo Stato membro interessato, al beneficiario dell’aiuto e ai terzi”. Il successivo prg. 85 ha precisa, tra l’altro, che “…il solo fatto che la Scott ignorasse l’esistenza delle richieste di informazioni effettuate dalla Commissione alle autorità francesi a partire dal 17 gennaio 1997 non ha come conseguenza di privare le stesse di efficacia giuridica nel confronti della Scott. Pertanto la lettera 17 gennaio 1997, inviata dalla Commissione prima dell’avvio del procedimento amministrativo, con la quale erano richieste informazioni complementari alle autorità francesi, costituisce, in applicazione dell’art. 15 del regolamento n. – 659/1999, una misura che interrompe il termine di prescrizione decennale, che nel caso di specie è iniziato a decorrere il 31 agosto 1987, prima della sua scadenza, anche se il ricorrente e la S. ignoravano all’epoca l’esistenza di una tale corrispondenza”. Il suddetto riferimento non appare decisivo, poichè, come del resto evidenziato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 125 del 22.4.2009, il precedente art. 14 del medesimo Regolamento, sotto il titolo “Recupero degli aiuti”, si riferisce alle iniziative della Commissione e, al comma 3, dispone che “…il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione. A tal fine e in caso di procedimento dinanzi ai Tribunali nazionali, gli Stati membri interessati adottano tutte le misure necessarie disponibili nei rispettivi ordinamenti giuridici, comprese le misure provvisorie, fatto salvo il diritto comunitario”, cosicchè deve convenirsi che il principio secondo cui le procedure dirette al recupero dell’aiuto incompatibile sono disciplinate dal solo diritto nazionale è espresso in forma molto chiara; il surricordato art. 15 è parimenti riferito ai poteri della Commissione e, con il richiamo a “qualsiasi azione intrapresa dalla Commissione o da uno Stato membro, che agisca su richiesta della Commissione, nei confronti dell’aiuto illegale”, non ha inteso riferirsi alle azioni di recupero avviate nell’ambito degli ordinamenti nazionali, bensì alle iniziative intraprese sempre dalla medesima Commissione, che ben può chiedere informazioni, chiarimenti, indagini agli Stati membri per pervenire alle proprie determinazioni.

Anche la giurisprudenza comunitaria (cfr. in particolare Corte di Giustizia CE del 22.4.2008 in causa C-408/04), nel prendere in esame il “Periodo limite” ed il termine di prescrizione stabilito dall’art. 15 del Regolamento n. 659/1999, ne tratta a proposito del tempo di cui dispone la Commissione per esercitare la sua funzione di controllo della compatibilità dell’aiuto e per la conseguente ingiunzione di recupero allo Stato membro, come chiaramente si evince nei paragrafi 98, 101 e 103.

Deve invece trovare applicazione la regola, più volte enunciata dalla giurisprudenza comunitaria (cfr., ex plurimis, Corte di Giustizia CE 21.5.1990, C-142/87; Corte di Giustizia CE 20.9.1990, C5/89; Corte di Giustizia CE 9.2.1999, C-343/96; Corte di Giustizia CE 20.9.2001, C-390/98; Corte di Giustizia CE 5.10.2006, C-368/04), secondo cui il recupero dell’aiuto deve essere attuato attraverso i mezzi e le procedure vigenti negli Stati membri, con il rispetto dei principi:

di equivalenza, tra quanto è previsto dal diritto comunitario e quanto è previsto per le violazioni del diritto interno;

di effettività del rimedio, nel senso che non deve essere reso impossibile o eccessivamente difficoltoso l’esercizio dei diritti garantiti dall’ordinamento comunitario.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, sebbene da un punto di vista funzionale gli sgravi contributivi concessi alle aziende concretizzino una sovvenzione pubblica, da un punto di vista giuridico lo strumento adottato è quello della riduzione dell’entità dell’obbligazione contributiva, cosicchè, laddove l’ente previdenziale agisca per il pagamento degli importi corrispondenti agli sgravi illegittimamente applicati, non si versa in tema di ripetizione di indebito oggettivo, – dovendosi invece accertare la sussistenza o meno del diritto agli sgravi (cfr., Cass., n. 1756/2001); al contrario, di indebito oggettivo può parlarsi nell’ipotesi speculare – ma affatto insussistente nel caso di specie – di mancata fruizione del beneficio concretizzatosi nel pagamento dell’intero importo del debito contributivo e che, come tale, da appunto luogo ad un pagamento indebito per la cifra corrispondente al mancato sgravio (cfr., Cass., n. 7772/1996). Deve, quindi, escludersi che il termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di recupero dell’aiuto di Stato illegittimo possa essere ricavato nell’ambito previsionale dell’indebito oggettivo di cui all’art. 2033 c.c..

Va, tuttavia, parimenti escluso che nella specie sia applicabile il termine prescrizionale quinquennale di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, siccome espressamente previsto per il pagamento delle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale, laddove gli aiuti di Stato costituiscono una categoria giuridica dotata di una propria autonomia, tale da determinare, in ipotesi di loro ritenuta contrarietà alla normativa europea, la doverosa reazione recuperatoria da parte degli Stati membri. Va infatti osservato che, a mente dell’art. 87 (ex 92), comma 1, del Trattato CE “…sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”.

L’incompatibilità può, dunque, riguardare qualsiasi tipo di aiuto, non necessariamente quindi quelli costituiti da sgravi contributivi; la conseguente azione di recupero degli aiuti incompatibili, anche in relazione al principio di effettività del rimedio, non può ritenersi assoggettata a termini di prescrizione variabili, siccome specificamente previsti dall’ordinamento interno per taluni tipi di diritti, in base alla natura dell’aiuto che debba essere recuperato.

Più in particolare, va osservato che la diversità tra l’azione diretta al pagamento dei contributi omessi od evasi e l’azione di recupero degli aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune trova riscontro:

nella differenza della fonte normativa che l’impone, rispettivamente nazionale e comunitaria; nella differenza delle finalità, per essere la prima diretta all’acquisizione della provvista contributiva necessaria per l’assolvimento delle obbligazioni previdenziali e la seconda diretta al ripristino dello status quo ante, dovendosi ritenere raggiunto tale obiettivo quando l’aiuto in parola sia stato restituito dal beneficiario e, per conseguenza, il medesimo resti privato del vantaggio di cui aveva fruito sul mercato rispetto ai suoi concorrenti (dr., Corte di Giustizia CE 4.4.1995, C-348/93; Corte di Giustizia CE 4.4.1995, C-350/93);

nella differenza della disciplina sostanziale, essendo previste dalla legislazione nazionale, in ipotesi di pagamenti contributivi omessi od evasi, conseguenze sanzionatorie specifiche, nel mentre sugli aiuti già illegittimamente concessi sono dovuti gli interessi nei termini stabiliti dalla stessa Commissione.

L’utilizzazione della procedura di iscrizione a ruolo e della successiva formazione della cartella esattoriale, secondo le previsioni della L. n. 46 del 1999, art. 24, discende poi dal fatto che – l’attività di recupero ha ad oggetto sgravi di natura contributiva, e non incide quindi sulla qualificazione giuridica dell’azione.

La diversità tra azione di recupero dello sgravio (da aiuto di Stato illegittimo) già applicato e azione di pagamento di contribuzione non versata impedisce, dunque, di ricondurre direttamente la prima delle due fattispecie alla specifica previsione dettata, in tema di termine prescrizionale, per la seconda, ma, al contempo, neppure consente l’applicazione analogica di quest’ultima, poichè il ricorso all’analogia può ritenersi consentito soltanto se una controversia non può essere decisa con precisa disposizione, in ipotesi cioè di un vuoto normativo (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 2404/1965; 4754/1995; 9852/2002), che, come tale, impone il ricorso alle disposizioni che regolano casi simili o materia analoghe; tale ipotesi è nella specie da ritenersi tuttavia insussistente, stante l’applicabilità – in difetto, appunto, di differenti peculiari disposizioni – della disciplina generale di cui all’art. 2946 c.c. (estinzione dei diritti per prescrizione, salvi i casi di diversa disposizione di legge, con il decorso di dieci anni); l’inosservanza di tale disciplina generale, oltre che non consentita dall’ordinamento interno, comporterebbe altresì, nei suoi riflessi sull’attività di recupero, la violazione del principio di equivalenza.

L’identità del suddetto termine temporale con quello stabilito dal ricordato art. 15 del regolamento (CE) n. 659/1999 (regolamento a cui la L. n. 234 del 2012, art. 51, in vigore dal 19.1.2013, rimanda in tema di estinzione del diritto alla restituzione dell’aiuto di Stato oggetto di una decisione di recupero per decorso del tempo: indipendentemente dalla forma di concessione dell’aiuto di Stato, il diritto alla restituzione dell’aiuto oggetto di una decisione di recupero sussiste fino a che vige l’obbligo di recupero ai sensi del regolamento CE n. 659/1999 del Consiglio, del 22 marzo 1999) esclude in radice, in relazione alla fattispecie per cui è causa, eventuali dubbi di compatibilità della legislazione nazionale con la disciplina comunitaria. Al contempo deve escludersi la necessità di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia CE, ai sensi dell’art. 267, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, con riferimento al rispetto del principio di equivalenza; posto infatti che, come già osservato, il recupero dell’aiuto deve essere attuato attraverso i mezzi e le procedure vigenti negli Stati membri, con il rispetto, appunto, del principio di equivalenza (come già reiteratamente affermato dalla Corte di Giustizia CE nelle sentenze più sopra ricordate), compete all’Autorità giudiziaria dello Stato che deve procedere al recupero individuare, sulla base della legislazione interna, la disciplina applicabile alla fattispecie, tenendo conto, fra l’altro, della normativa nazionale regolante i casi in cui è possibile fare ricorso all’analogia, e non potendo quindi ravvisarsi una violazione del suddetto principio di equivalenza nell’applicazione della disciplina generale prevista in tema di prescrizione, ove, come nella specie, non ricorrano, ratione temporis, disposizioni di diritto interno specificamente dettate per l’azione di che trattasi (come già evidenziato essendo in vigore solo dal 19.1.2013 la L. n. 234 del 2012).

La rilevata differenziazione tra l’azione diretta al pagamento dei contributi, omessi o evasi, e quella diretta al recupero degli aiuti di Stato, illegittimamente concessi, comporta la manifesta infondatezza dei dubbi di legittimità costituzionale in ordine alla corrispondente diversa durata del termine prescrizionale, dovendosi peraltro rilevare, anche con riferimento ai correlati diritti dei lavoratori interessati, che la stessa disciplina di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, non è legislativamente prevista come di esclusiva applicazione in tema di pagamento di contributi omessi od evasi, residuando l’ordinario termine decennale per i contributi relativi a….- periodi precedenti la data di entrata in vigore della legge, in caso di atti interruttivi già compiuti o di procedure iniziate nel rispetto della normativa preesistente.

Ne discende l’infondatezza del secondo motivo alla stregua delle considerazioni che precedono.

Il dies a quo della decorrenza della prescrizione non può essere collocato in data anteriore a quella di notifica alla Repubblica Italiana (4.6.1999) della decisione della Commissione dell’11.5.1999 che, sancendo l’incompatibilità con il mercato comune – nei limiti indicati – degli sgravi configuranti aiuti di Stato ha imposto l’azione diretta al loro recupero (V. altresì Cass. V tribut. n. 15207 del 12/09/2012, secondo cui in tema di recupero di aiuti di Stato, l’azione di recupero è soggetta al termine ordinario di prescrizione stabilito dall’artt. 2946 c.c., in quanto idoneo a garantire sia l’interesse pubblico di assicurare l’effettività del diritto comunitario mediante il ripristino dello “status quo ante” alla violazione della concorrenza, sia l’interesse privato ad evitare l’esposizione ad iniziative senza limiti di tempo, non essendo invece applicabile il termine di cui all’art. 15 del Regolamento CEE del Consiglio del 22 marzo 1999, n. 659, il quale si riferisce esclusivamente ai rapporti tra Commissione e Stato membro. Ne consegue che il momento di inizio del termine di decorrenza della prescrizione va individuato non nella data della fruizione dell’aiuto, ma in quella della notifica della decisione della Commissione allo Stato membro, essendo solo da quel momento l’aiuto erogato qualificabile come illegale. Cfr. inoltre Cass. 5 n. 15414 del 22/07/2015, secondo cui in tema di recupero di aiuti di Stato, il relativo credito erariale è soggetto al termine ordinario di prescrizione di cui all’art. 2946 c.c., idoneo a garantire sia l’interesse pubblico sotteso all’azione di recupero, sia l’interesse privato ad evitare l’esposizione ad iniziative senza limiti di tempo, non essendo invece applicabile il termine di decadenza quinquennale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43 sia perchè contrastante con il principio di effettività del diritto comunitario sia perchè l’azione di recupero di aiuti di Stato è vicenda giuridica diversa dal potere di accertamento in materia fiscale.). Ciò premesso, tenuto conto della rilevata durata decennale del termine di prescrizione e della data di notifica (18-07-07) della cartella esattoriale opposta, nonchè dell’indubbia costituzione in mora (v. in part. artt. 2943 e 1219 c.c.) di cui alla missiva I.N.P.S., datata 21 giugno e pervenuta a BIPIESSE RISCOSSIONI Spa in Sassari il 29 giugno 2005 (avente ad oggetto recupero agevolazioni contributive per CFL, il tutto come ivi precisato in ordine ad assunzione di personale con contratti di formazione e lavoro usufruendo agevolazioni contributive concesse a tal fine dalla legge italiana, i cui criteri erano stati ridefiniti dall’Unione Europea, la quale aveva ritenuto i benefici in larga parte aiuti di Stato non compatibili con gli standard di libera …,.. concorrenza… donde l’obbligo di provvedere tempestivamente a recuperare le somme elargite – secondo i vecchi parametri, a titolo di sgravio per la stipula di contratti di formazione e lavoro periodo da novembre 1995 al maggio 2001, al netto della riduzione contributiva del 25%, per cui la società era invitava a versare Euro 46.165,00 più 21.164,00 per interessi calcolati sino al 20-08-2005, così per un totale di 67329,00 Euro, con avvertenza altresì che in mancanza l’Istituto avrebbe provveduto ad iscrivere a ruolo le somme non versate) diviene inoltre irrilevante ai fini del decidere ogni ulteriore valutazione in merito all’incidenza che, sul decorso del termine, possa essere attribuita al maturare del giudicato sul ricorso proposto dalla Repubblica Italiana avverso la decisione della Commissione. Dunque, non si è verificata alcuna prescrizione, visto che dal 4 giugno 1999 al 18 luglio 2007 non erano trascorsi ancora dieci anni, decennio che, peraltro, diversamente opinando, neppure era decorso, considerando come momento iniziale il mese di novembre 1995, rispetto alla costituzione in mora di cui alla missiva I.N.P.S., pervenuta alla società il 29 giugno 2005, alla quale ha poi fatto seguito la cartella notificata il 18 luglio 2007. Ne deriva l’infondatezza delle inconferenti doglianze di cui al terzo e quarto motivo di ricorso, atteso che, d’altro canto, la legge non richiede alcuna specifica motivazione ai fini della validità della costituzione in mora – nè tanto meno l’intrinseca fondatezza delle relative pretese – e della conseguente interruzione della prescrizione in ordine alle somme di cui chi si afferma creditore intimi il pagamento, tanto più, come pure ben chiarito nella impugnata sentenza, che trattandosi di contributi previdenziali non pagati, sulla scorta di sgravi emergenti da denunzie ex DM 10 a cura della stessa parte datoriale, è quest’ultima che resta onerata di ogni conseguente prova liberatoria al riguardo, nella specie però sicuramente non fornita dall’obbligata debitrice. D’altro canto, secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, l’obbligo di sopprimere un aiuto incompatibile col mercato comune che una decisione della Commissione abbia posto a carico di uno Stato membro è inteso al ripristino dello status quo ante e tale obiettivo deve ritenersi raggiunto quando l’aiuto in parola, eventualmente maggiorato degli interessi di mora, sia stato restituito dal beneficiario e di conseguenza questi resti privato del vantaggio di cui aveva fruito sul mercato rispetto ai suoi concorrenti (cfr., Corte di Giustizia CE 4.4.1995, C348/93; Corte di Giustizia CE 4.4.1995, C- 350/93). Nel caso di specie va quindi a fortiori riconosciuta la legittimità della restituzione degli sgravi indebiti all’Inps, senza necessità di alcuna specifica disposizione normativa ad hoc, essendo proprio l’Inps il soggetto pubblico che, istituzionalmente, è deputato, salve specifiche diverse ipotesi che qui non ricorrono (l’art. 48 della L. n. 234 del 2012, cit., affida proprio alla società Equitalia Spa la riscossione degli importi dovuti per effetto delle decisioni di recupero, a prescindere dalla forma dell’aiuto e dal soggetto che l’ha concesso, adottate in data successiva alla data di entrata in vigore della legge stessa), alla riscossione della contribuzione previdenziale mediante gli strumenti giuridici ordinariamente previsti a tal fine. Il primo motivo di ricorso va quindi disatteso. Inoltre, va chiarito che oggetto dell’opposizione è in effetti la pretesa creditoria di cui alla contestata iscrizione a ruolo, della quale & cartella esattoriale non è che un estratto del ruolo stesso, notificato per intimare il pagamento di quanto preteso, devono ritenersi inconferenti le censure afferenti a quest’ultima, circa l’asserita violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, nonchè 24 e 97 Cost., evidentemente, sull’erroneo presupposto che la richiesta di pagamento, attuata a mezzo della cartella opposta, costituisca un atto amministrativo soggetto all’obbligo di motivazione. Al contrario, come già detto la cartella esattoriale costituisce un estratto del ruolo e deve contenere soltanto le indicazioni previste specificamente per tale tipo di atto. Ciò premesso, l’eccezione in parola, attenendo alla regolarità della cartella esattoriale opposta, configura un’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.; cfr., Cass., nn. 25757/2008; 18207/2003; 9912/2001), che va quindi fatta valere nel più breve termine, perentorio, di giorni venti. Secondo il condiviso orientamento interpretativo di questa Corte, nella disciplina della riscossione mediante iscrizione a ruolo, di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, l’opposizione agli atti esecutivi è prevista dall’art. 29, comma 2, che, per la relativa regolamentazione, rinvia alle “forme ordinarie”, e non dall’art. 24 dello stesso D.Lgs., che si riferisce, invece, all’opposizione sul merito della pretesa di riscossione, con la conseguenza che l’opposizione agli atti esecutivi prima dell’inizio dell’esecuzione deve proporsi nel termine perentorio (quale previsto dall’art. 617 c.p.c.) dalla notificazione del titolo esecutivo, che, ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49, si identifica nella cartella esattoriale; quest’ultima, infatti, essendo un estratto del ruolo, costituisce titolo esecutivo ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, suddetto art. 49, come modificato dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 16 (cfr., Cass., n. 21863/2004). La tempestività dell’opposizione agli atti esecutivi deve, inoltre, essere controllata pregiudizialmente d’ufficio, anche in sede di legittimità, in base alla lettura degli atti (cfr., Cass., nn. 25757/2008; 9912/2001; 11251/1996). Analoghe considerazioni vanno svolte in relazione alle eccezioni (su cui verte il decimo motivo) afferenti alla pretesa decadenza, in cui sarebbe incorso l’Inps e all’illegittimità dell’iscrizione a ruolo in pendenza del gravame amministrativo. Con riferimento alle norme che riguardano la riscossione tramite ruoli, i termini da rispettare, eventuali decadenze e la necessità di motivazione, gli eventuali relativi vizi possono rilevare esclusivamente soltanto nell’ambito dell’opposizione agli atti esecutivi, di modo che vanno fatti valere nei venti giorni successivi alla notifica della cartella (nel caso di specie la cartella venne notificata il 18.07.2007 ed il ricorso in opposizione fu depositato il sei agosto 2007). Orbene, quanto alle doglianze di cui al capo D del ricorso (pagine 36/38), va altresì rilevata la violazione del principio di autosufficienza del ricorso medesimo, non essendo stato ivi riportato nella sua completezza il contenuto della cartella esattoriale, cosicchè questa Corte non è stata posta in grado di valutare la ricorrenza nella specie dei requisiti minimi della cartella esattoriale ai sensi del D.M. 3 settembre n. 321, art. 6, comma 1 (Regolamento recante norme per la determinazione del contenuto del ruolo e dei tempi, procedure e modalità della sua formazione e consegna, da emanare ai sensi del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, artt. 4 e 10). Al riguardo, per completezza di motivazione, deve comunque osservarsi che questa Corte ha già avuto modo di rilevare, in controversia di analogo contenuto, che, ai fini della regolarità della cartella esattoriale opposta, la stessa non deve contenere anche le indicazioni relative a quali fossero, i contratti di formazione e lavoro stipulati, quelli su cui era stato operato il recupero, perchè equivarrebbe ad una indicazione analitica, che la normativa applicabile però non richiede, (Cfr. Cass., n. 6672/2012). Nè invero il ricorso de quo enuncia sufficientemente il motivo di opposizione fatto valere al riguardo, visto tra l’altro d’altro canto non risultano essere specificamente confutate le argomentazioni, peraltro corrette in punto di diritto, svolte in proposito dalla Corte di Appello: “Neppure può ritenersi che la richiesta dell’I.N.P.S. sia immotivata. Sostiene l’appellata che I.N.P.S. avrebbe dovuto indicare quali e quanti contratti di formazione e lavoro la Società aveva effettivamente stipulato, quali agevolazioni erano state ricevute ed infine – sempre in relazione a ciascun contratto – quali somme erano pretese. Così non è perchè, si ripete, si versa in tema di benefici contributivi, in reazione ai quali compete sempre a chi li invoca dimostrare che sono dovuti: altrimenti è dovuta la contribuzione ordinaria. Era quindi specifico onere dell’opponente, tanto in fase precontenziosa, quanto nel presente giudizio di opposizione a cartella (ma rispetto a questo giudizio, con l’osservanza dei tempi processuali, incorrendosi, altrimenti, nelle decadenze anche circa le prove documentali) dimostrare che vi erano, in concreto, situazioni di compatibilità dei singoli contratti, cui erano stati applicati gli sgravi, con la disciplina comunitaria…. Ora, siamo qui in presenza di un meccanismo di azione amministrativa del tutto simile a quello previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis per i tributi, in quanto il recupero si fonda su un mero controllo formale della dichiarazione (L e. del mod. D/410), da cui risulta la contribuzione totale dovuta, quella sgravata (indebitamente salvo che la stessa parte non dimostri che lo sgravio era stato correttamente operato) e quella versata. L’I.N.P.S. non ha fatto altro che recuperare le differenze…”. Orbene, tale ratio decidendi, unitamente agli accertamenti in punto di fatto che la sottendono, non è stata specificamente censurata dalla società ricorrente, di guisa che le doglianze che in qualche modo riguardano la questione (motivi sub D, G, H e I del ricorso per cassazione in esame) vanno respinti. Deve poi rilevarsi che, nella specie, non avrebbero potuto trovare applicazione le disposizioni concernenti i termini di decadenza per poter procedere all’iscrizione a ruolo (D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 25). Infatti l’obbligo di versare i contributi corrispondenti agli sgravi indebitamente fruiti non deriva da un atto di accertamento dell’Inps, bensì direttamente dall’obbligo di pagamento dei contributi medesimi, nella misura intera, quale conseguenza della statuita incompatibilità con il mercato comune degli sgravi concessi. Pertanto, trattandosi di contributi afferenti a periodi (anni 1995/2001), anteriori al 1 gennaio 2004, le disposizioni del succitato art. 25 non si applicano in virtù della disposizione transitoria di cui all’art. 36 cit. D.Lgs., come modificato dalla L. n. 350 del 2003, art. 4. Inoltre, va considerato che, in ogni caso, l’applicazione di un termine di decadenza, nella presente fattispecie, nella quale l’obbligo del recupero degli aiuti incompatibili con il mercato comune è insorto contestualmente alla decisione della Commissione per tutti gli sgravi in precedenza illegittimamente concessi, si porrebbe in contrasto con il ricordato principio di effettività del rimedio, nel senso che tale termine di decadenza renderebbe eccessivamente difficoltoso l’esercizio dei diritti garantiti dall’ordinamento comunitario, onde la normativa nazionale relativa a tale termine di decadenza andrebbe comunque disapplicata (cfr. ex plurimis, Cass., n. 26286/2010). Quanto, poi, al profilo di doglianza, relativo all’avvenuta iscrizione a ruolo in pendenza di gravame amministrativo, va appena osservato – in base a quanto in proposito accennato nel ricorso de quo – che il ricorso amministrativo accolto con provvedimento assunto dal Comitato Amministratore del Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti nella seduta del 16 mano 2006 (asseritamente in base al principio di legittimo affidamento delle aziende beneficiarie e all’intervenuta prescrizione del credito). Successivamente, tuttavia, nella seduta del 29 marzo 2006 il C.d.A. dell’INPS annullava il provvedimento di sospensione adottato dal C.F.P.L.D., di guisa che sulla base dell’iscrizione a ruolo disposta dall’Istituto n. 2007/97 Ruolo reso esecutivo in data 28-02-2007) veniva notificata in data 18 luglio 2007 veniva notificata la cartella esattoriale per recupero di contributi – sgravi CFL. – dec. UE 11/5/1999 per i periodi distintamente indicati con relativi contributi ed interessi (novembre dicembre 1995, gennaio dicembre 1996, gennaio – dicembre 1997, gennaio – dicembre 1998, gennaio – dicembre 1999). Dalle anzidette allegazioni, pertanto, nemmeno può dirsi specificamente enunciata la pendenza del gravame amministrativo nel momento in cui, il 28.2.2007, il ruolo fu reso esecutivo. D’altro canto, il D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24 così recita ai commi 3 e 4: “3. Se l’accertamento effettuato dall’ufficio è impugnato davanti all’autorità giudiziaria, l’iscrizione a ruolo è eseguita in presenza di provvedimento esecutivo del giudice. 4. In caso di gravame amministrativo contro l’accertamento effettuato dall’ufficio, l’iscrizione a ruolo è eseguita dopo la decisione del competente organo amministrativo e comunque entro i termini di decadenza previsti dall’art. 25”. Da tale dettato normativo, pertanto, è agevole desumere che soltanto nell’ipotesi in cui l’accertamento venga impugnato davanti al giudice non è possibile far luogo all’iscrizione a ruolo finchè non intervenga apposito provvedimento da parte della competente a.g.. Per contro, la stessa regola non vale nel caso in cui l’accertamento sia impugnato in via amministrativa, allorchè comunque l’iscrizione a ruolo dovrà avvenire entro i termini di decadenza, sempre che ovviamente il ricorso amministrativo non sia prima accolto nel merito. Quanto, poi, ai motivi sub E ed F (pagg. da 39 a 48), relativi alla dedotta sussistenza di un legittimo affidamento, valgono le seguenti considerazioni. La Commissione ha ritenuto la solo parziale legittimità degli aiuti concessi dall’Italia per l’assunzione di lavoratori mediante i contratti di formazione e lavoro previsti dalla L. n. 863 del 1984, L. n. 407 del 1990, L. n. 169 del 1991 e L. n. 451 del 1994, nonchè in virtù della L. n. 196 del 1997, art. 15. Soltanto con riferimento alla L. n. 196 del 1997 l’Italia aveva previamente provveduto a notificare il relativo progetto alla Commissione, ai sensi dell’art. 93, n. 3 del Trattato; la commissione ha quindi esamiunato altri regimi di aiut6i relativi a tale settore, cioè la L. n. 863 del 1984, L. n. 407 del 1990, L. n. 169 del 1991, L. n. 451 del 1994, iscritte nell’elenco degli aiuti non notificati. Deve inoltre considerarsi che con comunicazione pubblicata sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità Europee, la Commissione (G.U. 1983 C 318, pag. 3) aveva informato i potenziali beneficiari di aiuti statali della precarietà degli aiuti che fossero stati loro illegittimamente concessi, nel senso che essi avrebbero potuto essere tenuti a restituirli. La Corte di Giustizia CE ha affermato che uno Stato membro, le cui autorità abbiano concesso un aiuto in violazione delle norme procedurali di cui all’art. 88 CE, non può invocare il legittimo affidamento dei beneficiari per sottrarsi all’obbligo di adottare i provvedimenti necessari ai fini dell’esecuzione di una decisione della Commissione con cui quest’ultima ordina la ripetizione dell’aiuto. Ammettere tale possibilità significherebbe, infatti, privare di effetto utile le norme di cui agli artt. 87 CE e 88 CE, in quanto le autorità nazionali potrebbero far valere in tal modo il proprio illegittimo comportamento, al fine di vanificare l’efficacia delle decisioni emanate dalla Commissione in virtù di tali disposizioni del Trattato (Corte di Giustizia CE 7 marzo 2002, C310/99). Già in precedenza era stato affermato (cfr. Corte di Giustizia CE, con sentenza del 20.9.1990, C-5/89) che “Non è in contrasto con il diritto comunitario una normativa nazionale che garantisca la tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto in materia di ripetizione di aiuti contrari al diritto comunitario. Tuttavia, in considerazione del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione a norma dell’art. 93 del Trattato, le imprese beneficiarie di un aiuto possono in linea di principio fare legittimo affidamento sulla regolarità di un aiuto solamente qualora quest’ultimo sia stato concesso nel rispetto della procedura prevista da tale articolo. Non può certamente escludersi la possibilità, per il beneficiario di un aiuto illegittimamente concesso, di invocare circostanze eccezionali sulle quali egli abbia potuto fondare il proprio affidamento nella natura regolare dell’aiuto e di opporsi, conseguentemente, alla sua ripetizione. In tale ipotesi spetta al giudice nazionale eventualmente adito valutare, se necessario dopo aver proposto alla Corte delle questioni pregiudiziali di interpretazione, le circostanze del caso di specie”. Ancora, secondo quanto affermato da Corte di Giustizia CE 20 marzo 1997, Causa C24/95 “(…) sebbene non contrasti con l’ordinamento giuridico comunitario una legislazione nazionale che garantisce la tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto in materia di ripetizione, tuttavia, tenuto conto del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione ai sensi dell’art. 93 del Trattato, le imprese beneficiarie di un aiuto possono fare legittimo affidamento, in linea di principio, sulla regolarità dell’aiuto solamente qualora quest’ultimo sia stato concesso nel rispetto della procedura prevista dal menzionato art.. Un operatore economico diligente, infatti, deve normalmente essere in grado di accertarsi che tale procedura sia stata rispettata, anche quando l’illegittimità della decisione di concessione dell’aiuto sia imputabile allo Stato considerato in una misura tale che la sua revoca appare contraria al principio di buona fede”. Analogamente, secondo quanto affermato da Corte di Giustizia CE 28 gennaio 2003, C-334/99, “Per quanto riguarda le sovvenzioni già versate al momento della loro comunicazione alla Commissione ed il legittimo affidamento fatto valere dal governo tedesco, da un lato occorre ricordare che, tenuto conto del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione ai sensi dell’art. 88 CE, le imprese beneficiarie di un aiuto possono fare legittimo affidamento, in linea di principio, sulla regolarità dell’aiuto solamente qualora quest’ultimo sia stato concesso nel rispetto della procedura prevista dal menzionato art.. Un operatore economico diligente, infatti, deve normalmente essere in grado di accertarsi che tale procedura sia stata rispettata”. Con sentenza 23.2.2006, resa nei procedimenti riuniti C-346/03 e C- 529/03, la Corte di Giustizia Ce ha ribadito che “Quando un aiuto è stato versato senza previa notifica alla Commissione ed è pertanto illegittimo in forza dell’art. 93, n. 3, del Trattato, il beneficiario dell’aiuto non può riporre, a quel punto, alcun legittimo affidamento nella regolarità della concessione dello stesso (…). Di conseguenza, nella misura in cui la L. n. 44 del 1988 non era stata debitamente notificata alla Commissione, gli agricoltori sardi interessati non potevano fare alcun affidamento sulla legittimità degli aiuti loro concessi e l’asserita lentezza del procedimento non ha potuto far sorgere un siffatto affidamento”. Conforme a tale giurisprudenza della Corte di Giustizia è altresì la decisione del Tribunale di primo grado CE 12.9.2007, nelle cause riunite T-239/04 e T-323/04, secondo la quale “(…) tenuto conto del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione ai sensi dell’art. 88 CE, le imprese beneficiane di un aiuto possono fare legittimo affidamento, in linea di principio, sulla regolarità dell’aiuto solamente qualora quest’ultimo sia stato concesso nel rispetto della procedura (…). Infatti, un operatore economico diligente deve normalmente essere in grado di accertarsi che tale procedura sia stata rispettata anche quando l’illegittimità della decisione di concessione dell’aiuto sia imputabile allo Stato considerato in una misura tale che la sua revoca appare contraria al principio di buona fede”. Risultano, altresì, di rilievo i principi ribaditi dalla Corte di Giustizia CE (Grande Sezione) con la sentenza 18,7.2007, C-119/05, secondo cui, in ordine alle competenze dei giudici nazionali in materia di aiuti dì Stato, “51 (…) i giudici nazionali non sono competenti a pronunciarsi sulla compatibilità di un aiuto di Stato con il mercato comune. 52 Emerge infatti da una giurisprudenza costante che la valutazione della compatibilità con il mercato comune di misure di aiuto o di un regime di aiuti rientra nella competenza esclusiva della Commissione, che opera sotto il controllo del giudice comunitario”. Da tali principi, vincolanti per i giudici degli Stati membri, discende che: l’inosservanza delle norme procedurali in ordine ai provvedimenti legislativi non notificati e la non ancora avvenuta conclusione della procedura in ordine al progetto di legge, poi divenuto L. n. 196 del 1997 non potevano far insorgere nei beneficiari degli aiuti alcun legittimo affidamento sulla regolarità degli aiuti medesimi; l’eventuale non conoscenza delle conseguenze a cui poteva condurre la valutazione negativa in sede comunitaria della legittimità degli aiuti e, parimenti, eventuali incertezze sull’ambito degli orientamenti comunitari in materia di aiuti all’occupazione, non costituiscono elementi su cui potesse fondarsi il legittimo affidamento dei beneficiari; la mera esistenza di una o più disposizioni legislative disciplinanti gli aiuti (poi giudicati illegittimi), costituendo il necessario presupposto per la loro applicazione, non può essere riguardata alla stregua di una circostanza eccezionale tale da far insorgere un legittimo affidamento; nè tali circostanze eccezionali potrebbero essere ravvisate in pronunce dei giudici nazionali, ivi compresa la stessa Corte costituzionale, in ordine alla conformità degli aiuti de quibus alla normativa comunitaria, spettando alla competenza esclusiva della Commissione, e non ai giudici nazionali, la relativa valutazione di compatibilità con il mercato comune delle misure di aiuto. Non ricorre, peraltro, nella fattispecie l’Ipotesi di una decisione adottata dalla Commissione con eccessivo ritardo, nel qual caso secondo la sentenza della Corte di Giustizia CE 24.11.1987, C223/85, potrebbe insorgere nel beneficiario della sovvenzione un legittimo affidamento, atteso che, come detto, soltanto con riferimento alla L. n. 196 del 1997 l’Italia aveva previamente provveduto a notificare il relativo progetto alla Commissione, ai sensi dell’art. 93, n. 3 del Trattato. La derivazione dei surricordati principi dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, resa anche in epoca anteriore all’emanazione del regolamento del Consiglio n. 659 del 22 marzo 1999, esclude inoltre l’esigenza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia CE ai sensi dell’art. 267, comma 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea con riferimento al rispetto del principio di tutela del legittimo affidamento. D’altro canto, questa Corte ha già avuto modo di affermare (sez. lavoro, sentenza n. 6756 del 04/05/2012), che in tema di recupero di aiuti di Stato, in ragione del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione europea ai sensi dell’art. 88 TCE, le imprese beneficiarie di un aiuto non possono fare legittimo affidamento sulla regolarità dell’aiuto ove lo stesso sia stato concesso senza il rispetto della procedura o prima della sua regolare conclusione, nè possono invocare a sostegno di tale affidamento l’eventuale incertezza degli orientamenti comunitari in materia (nella specie, di aiuti all’occupazione), dovendosi altresì considerare irrilevanti sia l’esistenza di eventuali disposizioni legislative nazionali che disciplinato gli aiuti, poi giudicati illegittimi, sia eventuali pronunce dei giudici nazionali, ivi inclusa la Corte costituzionale, in quanto la valutazione di compatibilità degli aiuti con il mercato comune di portata comunitaria è di spettanza esclusiva della Commissione). Per completezza va rilevato, ancora, che il ricorso de quo appare carente nella sua parte espositiva laddove (v. pagg. 8/9) nel riportare le doglianze fatte valere con l’atto di opposizione avverso la cartella si limitava ad assumere, però del tutto genericamente, che nel caso di specie era certamente applicabile il principio del legittimo affidamento sulla regolarità delle a agevolazioni contributive a suo tempo previste dalla legge (lettera d, pag. 9, unitamente all’eccezione di prescrizione L. n. 335 del 1995, ex art. 3), sicchè neppure è possibile desumere il lamentato vizio di motivazione sub F) del ricorso, che presuppone un’autosufficiente e completa esposizione dei fatti di causa, al fine di poter verificare se ed in quali effettivi termini il giudice del gravame, successivamente adito, abbia omesso di provvedere con adeguata pronuncia in ordine alle questioni sottopostegli, nei limiti ovviamente di quanto inizialmente dedotto con l’atto introduttivo di opposizione. In ordine al settimo motivo (G) del ricorso, deve osservarsi che la Commissione ha fissato le condizioni in presenza delle quali può ritenersi che gli sgravi contributivi per contratti di formazione lavoro già fruiti sono da ritenersi compatibili con il mercato comune e con l’accordo SEE. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nelle controversie relative al recupero dei contributi non corrisposti per applicazione di sgravi contributivi, compete al datore di lavoro opponente l’onere e provare il possesso dei requisiti richiesti dalla legge per poter beneficiare della detrazione (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 5137/2006; 16351/2007; 499/2009; 21898/2010, quest’ultima specificamente in tema di benefici che trovano fondamento nell’avvenuta conclusione di contratti di formazione e lavoro). La circostanza che, nella specie, le condizioni legittimanti il beneficio (e la conseguente non recuperabilità del medesimo) siano state dettate (anche) da disposizioni comunitarie non altera i termini della questione, spettando pur sempre al beneficiario degli sgravi dimostrare la sussistenza delle condizioni – stabilite dalla Commissione o da quest’ultima presupposte siccome già fissate dalla normativa nazionale – per poter legittimamente usufruire degli sgravi medesimi. L’individuazione dell’incombenza dell’onere probatorio, nei termini testè indicati, discende dall’oggetto, nel caso specifico, dell’azione di recupero (ossia, come detto, degli sgravi contributivi illegittimamente fruiti) e prescinde quindi dalla diversa questione inerente alla qualificazione giuridica dell’azione stessa e al conseguente termine prescrizionale applicabile. La portata assorbente delle considerazioni testè svolte conduce all’inaccoglibilità del motivo. Parimenti va detto per quanto concerne la questione relativa alla regola c.d. de minimis (motivo sub H, di cui alle pagine 53 e 54 del ricorso), della quale la società assume di aver chiesto l’applicazione, senza peraltro che di ciò vi sia alcuna traccia nel testo integrale della sentenza qui impugnata, laddove pure venivano indicati i motivi di opposizione (v. punti da 1 a 8, riportati alle pagine due e tre; cfr. pag. 4 della sentenza, laddove tra l’altro si dava atto della costituzione della società appellata, Instando per il rigetto del gravame avversario, nonchè con declaratoria d’illegittimità della cartella opposta per tutti gli altri motivi opposti, mediante atto definito appello incidentale). Nè con il ricorso de quo la società ha precisato come, dove e quando avrebbe invocato la c.d. regola de minimis (cfr. punto 21 a pag. 9 del ricorso:… in ogni caso le agevolazioni fruite dalla Società erano compatibili e conformi con la disciplina comunitaria, anche perchè rientravano nella cosiddetta regola de minimis), allegazione pertanto assolutamente generica e insufficiente, donde la sua inammissibilità ex art. 366 (segnatamente comma 1, n. 3 e soprattutto n. 6) c.p.c. (ma v. anche l’improcedibilità ex art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4). Peraltro, in materia di divieti a tutela della concorrenza nell’ordinamento comunitario, l’esenzione degli aiuti di Stato d’importanza minore (“de minimis”), il cui importo complessivo er impresa non può superare la soglia di centomila euro su un periodo di tre anni ai sensi, dell’art. 2 del regolamento (CE) n. 69/2001, soglia raddoppiata dall’art. 2 del regolamento (CE) n. 1998/2006, costituisce un’eccezione al divieto generale degli aiuti di Stato, sicchè la sussistenza delle relative condizioni è elemento costitutivo del diritto alla deroga e deve essere provata dal beneficiario; in particolare, il beneficiario deve provare il rispetto del limite della categoria “de minimis” con riguardo non al singolo aiuto, ma al periodo di tre anni, decorrente dal momento del primo aiuto, comprendendo ogni altro aiuto pubblico accordato quale aiuto “de minimis”, atteso che la regola sugli aiuti d’importanza minore risponde, secondo la giurisprudenza comunitaria, ad esigenze di semplificazione amministrativa, che resterebbero insoddisfatte ove lo Stato membro dovesse notificare ogni singolo progetto di aiuto e la Commissione dovesse verificarne la compatibilità (Cass. lav. n. 6671 del 03/05/2012). Dalla ricognizione delle fonti normative comunitarie emerge con chiarezza che la regola de minimis viene a costituire un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, stabilendo “una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92, n. 1, del Trattato può considerarsi inapplicabile”; ne consegue che la sussistenza delle specifiche condizioni concretizzanti l’applicabilità della regola de minimis costituisce elemento costitutivo del diritto a beneficiare dello sgravio contributivo e, come tale, in conformità ai già ricordati principi in tema di onere probatorio, deve essere provato dal soggetto beneficiario. Inoltre, per la sussistenza di tali condizioni non basta che l’importo chiesto in recupero ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata dalla Commissione, dovendo invece la relativa prova riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo aiuto de minimis, comprendendovi qualsiasi aiuto pubblico accordato quale aiuto de minimis. La Corte di Giustizia CE, con la sentenza del 7.3.2002, C-310/99, ha infatti precisato (punti 94 e 95) “… che la regola de minimis risponde ad esigenze di semplificazione amministrativa sia per gli Stati membri sia per i servizi della Commissione, la quale deve poter concentrare le sue risorse sui casi di effettiva importanza a livello comunitario. Se, per applicare la regola de minimis, era necessario valutare di volta in volta se gli aiuti sono compatibili o no, l’onere di lavoro per gli Stati membri, tenuti a notificare i progetti di aiuto, e per la Commissione, tenuta a esaminarli, non verrebbe assolutamente ridotto. Pertanto, giustamente la Commissione, in applicazione della regola de minimis, non ha fatto distinzione tra la parte giudicata compatibile e la parte giudicata incompatibile del regime di aiuti di cui trattasi”. Tanto meno, dunque, può ritenersi che la regola de minimis possa essere considerata quale previsione del diritto ad una detrazione da quanto dovuto. Nei sensi anzidetti, pertanto, vanno disattese le doglianze di cui al motivo sub H. Similmente, il decimo motivo (sub I) investe una questione non trattata nella sentenza impugnata; nè, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, la ricorrente ha specificato se e in quali termini e modi detta questione sarebbe stata devoluta al giudice dell’appello (cfr. tra l’altro Cass., nn. 16303/2002; 2140/2006; 13958/2007; 4752/2011; 12138/2011). Il motivo risulta pertanto inammissibile. Per completezza di motivazione, va comunque appena osservato che la Commissione, al punto 87 della ridetta decisione dell’11.5.1999, ha, tra l’altro, rilevato che “Quanto alla contropartita rappresentata dall’attività di formazione effettuata dal datore di lavoro, occorre prenderla in considerazione nel valutare l’intensità dell’aiuto concesso al datore di lavoro”. Prosegue tuttavia la decisione osservando che: “La Commissione ritiene che, soltanto nel caso degli aiuti per l’assunzione mediante contratti di formazione e lavoro, di lavoratori che incontrano difficoltà specifiche ad inserirsi o a reinserirsi nel mercato del lavoro – vale a dire i giovani con meno di 25 anni, i giovani laureati fino a 29 anni ed i disoccupati di lunga durata (più di un anno di disoccupazione) – o che sono destinati alla creazione di nuovi posti di lavoro, l’entità dell’aiuto non superi quanto è necessario per incitare alla creazione di nuovi posti di lavoro, tenuto conto dell’attività di formazione resa obbligatoria dai contratti di formazione e lavoro e della situazione di disoccupazione particolarmente grave sul territorio italiano. Gli elementi che permettono alla Commissione di concludere che l’importo dell’aiuto non eccede quello necessario per incitare alla creazione di posti di lavoro consistono anche nella proporzionalità fra gli oneri sociali oggetto delle riduzioni e la retribuzione dei lavoratori e nella graduazione della misura secondo le specificità delle regioni interessate. Di conseguenza, la Commissione conclude (92) che soltanto i casi di aiuto per la creazione di nuovi posti di lavoro e quelli specificati al punto precedente sono conformi alle disposizioni degli orientamenti in materia e possono pertanto beneficiare della deroga prevista a favore di detto tipo di aiuto. Coerentemente, la considerazione dell’attività di formazione effettuata dal datore di lavoro non si è quindi tradotta in alcuna statuizione relativa ad un eventuale proporzionale riduzione dell’entità degli aiuti illegittimi già percepiti e destinati ad essere recuperati, posto che, come già ricordato, l’art. 3 della decisione si limita a disporre affinchè l’Italia prenda “tutti i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti che non soddisfano alle condizioni di cui agli artt. 1 e 2 già illegittimamente concessi”. Va, quindi, esclusa la pretesa detraibilità degli oneri di formazione sostenuti, siccome non affermata dalla Commissione e priva di una fonte normativa legittimante. Quanto, poi all’undicesimo motivo (sub L, pgg. 61/62 del ricorso, laddove per il decimo sub 1, circa l’eccezione di decadenza già si è detto), il collegio reputa del tutto corrette le argomentazioni svolte dalla pronuncia della Corte territoriale in ordine alla decorrenza. Infatti, deve escludersi che l’I.N.P.S. nel procedere al recupero degli aiuti de quibus possa valutare se ìn concreto il beneficio abbia apportato o meno una violazione del principio di libero scambio tra gli Stati membri, e dunque un vulnus alla tutela della concorrenza, trattandosi evidentemente di valutazione di competenza dei soli organi comunitari. Mai infatti lo Stato membro può stabilire quale provvedimento violi o non violi la concorrenza. Di conseguenza, erano giudicate prive di pregio le osservazioni dell’appellata circa l’ambito territoriale in cui era stata svolta l’attività, l’impossibilità di violare la concorrenza attesa l’attività esercitata ed in generale tutte le obiezioni tramite cui è stata prospettata la sussistenza di una sorta di discrezionalità in capo all’Inps, che avrebbe dovuto di volta in volta valutare rispetto a quali datori di lavoro potessero recuperarsi i contributi sgravati. D’altro canto, l’art. 86 del Trattato istitutivo della Comunità Europea (ex aart. 90) si limita a stabilire (al comma 1) che gli Stati membri non emanano nè mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme del presente trattato, specialmente a quelle contemplate dagli artt. 12 e da 81 a 89 inclusi. Al comma 2, inoltre, precisa che le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata. Lo sviluppo degli scambi non deve essere compromesso in misura contraria agli interessi della Comunità. Infine, il medesimo art. 86, comma 3 sancisce che la Commissione vigila sull’applicazione delle disposizioni dello stesso articolo rivolgendo, ove occorra, agli Stati membri, opportune direttive o decisioni. Dunque, il solo fatto che la società abbia operato in un ben determinato contesto territoriale, ed asseritamente in regime di monopolo, non integra di per sè circostanza utile ai fini dell’esenzione dal recupero, imposto dal deliberato della Commissione senza distinzioni circa la tipologia dell’attività svolta dall’impresa beneficiaria, ovvero in ordine alla esclusività o territorialità della stessa. Pertanto, il ricorso va respinto con la condanna della soccombente la pagamento delle spese.

PQM

la Corte RIGETTA il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle relative spese, che liquida in favore di parte controricorrente nella misura di 5100,00 Euro, di cui cinquemila/00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2016

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