Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15310 del 17/07/2020

Cassazione civile sez. II, 17/07/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 17/07/2020), n.15310

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 9748/16) proposto da:

L.P., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in

virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Cosimo

Covito ed elettivamente domiciliato presso l’Avv. Pietro Messina

(studio avv. Cutellè Andrea), in Roma, viale G. Cesare, n. 95;

– ricorrente –

contro

LI.VI., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in virtù di

procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Arcangelo

Procopio ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

Andrea Recchia, in Roma, v. Tevere, n. 44;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bari n. 110/2016,

depositata il 4 febbraio 2016;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 12

dicembre 2019 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso, in via principale,

per l’inammissibilità del ricorso e, in via subordinata, per il suo

rigetto;

uditi gli Avv.ti Cosimo Covito, per il ricorrente, e Arcangelo

Procopio, per il controricorrente.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto di citazione del 26 luglio 2001 il sig. Li.Vi. proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 206/2001 emesso dal giudice designato del Tribunale di Bari – sez. dist. di Rutigliano, con il quale gli era stato ingiunto il pagamento della somma di Lire 32.371.244, oltre interessi e spese, in favore dell’arch. L.P., a titolo di corrispettivo per prestazioni professionali, contestando il debito che trovava fondamento in una scrittura privata del 30 luglio 1999, la cui sottoscrizione veniva, tuttavia, disconosciuta dallo stesso opponente.

L’ingiunto si costituiva in giudizio e, oltre ad instare per il rigetto della formulata opposizione, spiegava domanda riconvenzionale diretta ad ottenere la risoluzione di diritto dell’accordo transattivo stipulato il 5 aprile 2001, adducendo l’inadempimento del Li., di cui chiedeva, perciò, la condanna al pagamento dell’importo di Lire 23.698.964, oltre interessi e spese processuali.

Con sentenza non definitiva n. 31/2011 il Tribunale accertava la non autenticità della sottoscrizione apparentemente attribuita al Li. così come riportata nella predetta scrittura privata del 30 luglio 1999, disponendo, con separata ordinanza, la prosecuzione del giudizio.

2. Il L. proponeva appello immediato avverso la suddetta sentenza non definitiva, chiedendo in via principale dichiararsi la nullità degli atti del giudizio di primo grado.

Si costituiva l’appellato resistendo al gravame.

Con sentenza n. 110/2016 (depositata il 4 febbraio 2016), la Corte di appello di Bari rigettava l’appello e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado.

A fondamento dell’adottata pronuncia la Corte barese, pur ritenendo fondato il preliminare motivo riguardante la nullità dell’impugnata sentenza per omessa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., rilevava che tale ragione di nullità non importava la rimessione della causa al giudice di primo grado e che, quindi, essa Corte era tenuta a provvedere sul merito della controversia.

A tal proposito il giudice di secondo grado considerava infondata la censura circa la prospettata violazione del principio del contraddittorio nella ricostruzione del fascicolo d’ufficio di primo grado andato smarrito, disattendeva le doglianze riguardanti lo svolgimento della c.t.u. e riteneva che non sussistevano le condizioni per disporre la rinnovazione della perizia d’ufficio.

3. Avverso la menzionata sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, il L.P., resistito con controricorso dall’intimato Li.Vi..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – la nullità del procedimento e dell’impugnata sentenza per mancata comunicazione dell’ordinanza di fissazione dell’udienza di ricostruzione del fascicolo d’ufficio, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., sul principio del contraddittorio, in uno alla nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 354 c.p.c., u.c. e all’illegittimità della mancata rinnovazione degli atti nulli del procedimento.

2. Con la seconda censura il ricorrente ha prospettato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., non avendo la Corte territoriale pronunciato sul merito dell’istanza di verificazione, mancando, perciò, al fine della decisione sul merito della causa, l’emissione di ogni statuizione sulla veridicità o meno della sottoscrizione apposta alla scrittura privata del 30 luglio 1999.

3. Con la terza doglianza il ricorrente ha dedotto – in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la nullità della sentenza di appello per invalidità della c.t.u. per effetto della violazione degli artt. 90 e 92 disp. att. c.p.c., nonchè la nullità della c.t.u. per violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., a causa della violazione del principio del contraddittorio.

4. Con il quarto ed ultimo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 – la nullità dell’impugnata sentenza per erronea e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonchè per violazione del principio della soccombenza, congiuntamente al vizio di contraddittoria motivazione in relazione alla liquidazione delle spese del giudizio.

5. Rileva il collegio che il primo motivo è infondato e deve, perciò, essere rigettato.

Va, infatti, osservato che – ove anche fosse rimasta accertata la mancata comunicazione al difensore del L. dell’ordinanza con la quale venne disposta la ricostruzione del fascicolo d’ufficio del giudizio di primo grado – il ricorrente non deduce, come imposto dalla giurisprudenza di questa Corte (tenuta presente dal giudice di appello), quali conseguenze lesive del principio del contraddittorio e del diritto di difesa si erano effettivamente venute a configurare in suo danno (cfr., ad es., in via generale, Cass. n. 1678/2016 e Cass. n. 9498/2019), essendosi limitato a dedurre una violazione generica a tali principi e delle modalità di ricostruzione del predetto fascicolo.

Peraltro, lo stesso ricorrente afferma (v. pag. 6 del ricorso), contraddittoriamente, che, nonostante la suddetta omissione della comunicazione di cancelleria, l’allora suo difensore era comparso alla relativa udienza e legittimamente, quindi, la controparte provvide al deposito di copia degli atti processuali onde consentire al giudice di secondo grado di decidere (e senza che – si ribadisce – siano state addotte e riscontrate concrete lesioni dei due suddetti principi, avendo anzi la Corte di appello verificato che, malgrado la contestata allegazione dell’unilaterale iniziativa della controparte, il L. non aveva dedotto alcun omesso esame degli atti riprodotti, nè prospettato difformità, con la conseguente legittimità anche dell’acquisizione della relazione del c.t.u.).

6. Anche la seconda censura non coglie nel segno e va respinta.

Infatti, deve ritenersi come con la sentenza di appello sia stata correttamente rilevata – in linea con la giurisprudenza assolutamente prevalente (cfr., ad es., Cass. n. 20180/2015, Cass. n. 24636/2016 e, da ultimo, Cass. n. 26883/2019) di questa Corte (che si condivide) – la nullità della sentenza di primo grado per omessa concessione alle parti dei termini di cui all’art. 190 c.p.c., e come, altrettanto esattamente, sia stato ritenuto che tale invalidità (per effetto della tassatività dei motivi previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c. e non ricadendosi nell’ipotesi contemplata dall’art. 161 c.p.c., comma 2) non comportasse la rimessione della causa al Tribunale ma produceva l’effetto di provvedere alla decisione nel merito per essa Corte di appello nei limiti delle questioni riproposte.

Nè è esatta la deduzione del ricorrente secondo cui non vi sarebbe stata, da parte del giudice di appello, una pronuncia sull’autenticità o meno della disconosciuta sottoscrizione della scrittura privata del 30 luglio 1999, poichè essa era già stata adottata con la sentenza di primo grado e i motivi di appello si erano incentrati sulle contestazioni afferenti la c.t.u. circa l’accertamento della veridicità o meno di detta sottoscrizione, ragion per cui il rigetto di tali contestazioni ha logicamente implicato la conferma della statuizione di prime cure sulla verificata falsità della citata sottoscrizione del Li..

7. Pure la terza doglianza è priva di fondamento giuridico e va disattesa.

Occorre, infatti, osservare che, a sostegno delle possibili violazioni procedurali nel corso dell’espletamento della c.t.u., il ricorrente non ha dedotto alcuna specifica – e, soprattutto, concreta – lesione del suo diritto di difesa, dovendo, peraltro, essere necessariamente sollevati eventuali motivi di nullità (siccome relativa: cfr., tra le tante, Cass. n. 2589/2003, Cass. n. 13428/2007 e Cass. n. 15874/2010) nel primo atto difensivo susseguente alla formazione dell’atto stesso (circostanza della quale il ricorrente non dà atto nè risulta che abbia assolto all’onere di specificare quando e come avesse eccepito eventuali ragioni di invalidità delle operazioni del c.t.u.).

Oltretutto, nella sentenza qui impugnata, il giudice di appello ha attestato come fosse rimasto accertato che il c.t.u. era stato debitamente autorizzato a svolgere gli accertamenti grafologici prendendo in esame tutti gli scritti comparativi offerti in produzione dalle parti, ad eccezione del documento del 5 aprile 2001, evidenziando, poi, la ritualità e la completezza delle operazioni (in merito alle quali l’attività difensiva era stata svolta con apposite osservazioni riportate nel verbale di udienza del 4 aprile 2008) e della congruità dei risultati raggiunti dal c.t.u. in ordine all’accertata falsità della disconosciuta sottoscrizione apparentemente attribuibile al Li..

8. L’ultimo motivo è, per un verso, inammissibile e, per altro verso, infondato. Si prospetta come inammissibile quanto al dedotto vizio di contraddittorietà della motivazione alla stregua dell’art. 360 c.p.c., novellato n. 5 (applicabile “ratione temporis” nella specie), per come affermato dalla univoca giurisprudenza di questa Corte (cfr., per tutte, Cass. SU nn. 8053 e 8054 del 2014), e come manifestamente infondato con riferimento alla denunciata violazione di legge poichè la Corte di appello, con l’impugnata sentenza, ha correttamente applicato il principio della soccombenza alla stregua della pronuncia finale sul merito della causa e, quindi, dell’appello, confermando – al di là della nullità della sentenza di primo grado per omessa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c. – quest’ultima sentenza sul merito in senso proprio, avuto riguardo all’accertata falsità della sottoscrizione tempestivamente disconosciuta ed in ordine alla quale era stato esperito il procedimento di verificazione in via incidentale.

9. In definitiva, il ricorso va integralmente rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in Euro 2.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2020

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