Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15308 del 17/07/2020

Cassazione civile sez. II, 17/07/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 17/07/2020), n.15308

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 2180/14) proposto da:

V.R., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, in

virtù di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Nicolina

Muccio ed elettivamente domiciliata presso il suo studio, in Roma,

p.zza di San Salvatore in Campo, 33;

– ricorrente –

contro

P.A., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, in

virtù di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv.

Antonio Carlo La Sala ed elettivamente domiciliata presso lo studio

dell’Avv. Maria Assunta Laviensi, in Roma, p.zza della Libertà, 20;

– controricorrente –

e

VE.BR., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in virtù

di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Giuseppe

Argenio ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv.

Maria Assunta Laviensi, in Roma, p.zza della Libertà, 20;

– altro controricorrente –

nonchè

D.L.M., P.S., P.D.,

P.M., VE.GI., VE.MA., VE.FE.,

VE.AN., MU.FA. e MU.NI.;

– intimati –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli n. 3507/2013,

depositata il 9 ottobre 2013;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 12

dicembre 2019 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso: – in via

principale, per la dichiarazione di estinzione del giudizio di

cassazione ovvero per la concessione di nuovo termine alla

ricorrente per integrazione del contraddittorio; – in via

subordinata, nel merito, per l’accoglimento del primo motivo del

ricorso, con assorbimento del secondo;

uditi gli Avv.ti Muccio Nicolina Giuseppina, per la ricorrente, e

Laviensi Maria Assunta (per delega), nell’interesse dei

controricorrenti.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

1. Con atto di citazione notificato nel gennaio 1983 la sig.ra V.R. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Avellino, il sig. P.F. affinchè venisse condannato al pagamento della somma, da determinarsi in corso di causa, per l’occupazione illegittima di un suolo di sua proprietà sito in (OMISSIS), dell’estensione di circa 430 centiare, asseritamente detenuto dal predetto convenuto fin dal 1974 senza alcun titolo, chiedendo, altresì, il rilascio di detto immobile in suo favore.

Nel costituirsi in giudizio il convenuto resisteva alla domanda e, in via riconvenzionale, chiedeva accertarsi che l’immobile dedotto in causa era stato già a lui legittimamente trasferito.

L’adito Tribunale, con sentenza n. 631/2005, rigettava la domanda principale ed accoglieva, invece, quella riconvenzionale.

2. Interposto appello da parte della V., la Corte di appello di Napoli, con sentenza n. 3507/2013 (depositata il 9 ottobre 2013), nella costituzione dell’appellato P.F. (che formulava appello incidentale condizionato per il riconoscimento della ripetizione di interessi sulla somma corrisposta per l’acquisto del bene e per la corresponsione di indennità ex art. 936 c.c., oltre che per il risarcimento del danno) e nella contumacia delle altre parti appellate, dichiarava l’estinzione del giudizio, condannando la V. alla rifusione delle spese del grado in favore degli eredi dell’appellato P.A. e Ve.Br..

A fondamento dell’adottata decisione la Corte partenopea – per quanto rileva direttamente nella presente sede – dava atto che, nel corso del giudizio, il difensore del P.F. aveva attestato il decesso di quest’ultimo, ragion per cui il processo veniva dichiarato interrotto. Pertanto l’appellante V. formulava ricorso in riassunzione nei confronti degli eredi dell’appellato, nelle persone di D.L.M., P.A., P.S., Ve.Br. e Ve.Fe., che veniva accolta con fissazione della prosecuzione del giudizio per l’udienza del 19 febbraio 2009, con assegnazione di apposito termine fino al 18 gennaio 2009 per le conseguenti notifiche. Senonchè, la citata udienza del 19 febbraio non veniva tenuta per “ruolo congelato” e, su istanza della difesa della V. (la quale dichiarava di non aver avuto conoscenza del pregresso decreto di fissazione dell’udienza di prosieguo, onde non aveva potuto procedere alle relative notifiche), il Presidente fissava altra udienza per il 24 settembre 2009, con termine per procedere alle prescritte notificazioni entro il 1 luglio 2009. L’appellante provvedeva alle notificazioni nei confronti degli eredi del P.F. ma due di esse – ovvero quelle eseguite nei riguardi di Ve.Br. e Ve.Fe. – non andavano a buon fine. In data 24 settembre 2009 (data nella quale, peraltro, l’udienza di prosieguo non veniva celebrata per ulteriore “congelamento del ruolo”) la P.A. si costituiva in cancelleria eccependo l’estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 305 c.p.c., per non aver la V. notificato il ricorso in riassunzione a tutti gli eredi del P.F., ivi inclusi quelli succeduti per rappresentazione.

Sulla base dello sviluppo di questa fase del giudizio di appello la Corte territoriale riteneva fondata l’eccezione di estinzione formulata dalla P.A. all’atto della sua costituzione in giudizio, sul presupposto che il decreto di fissazione per la prosecuzione del giudizio a seguito dell’intervenuta interruzione con il quale era stata stabilita la nuova udienza del 19 febbraio 2009 (con concessione del termine per le notifiche fino al 18 gennaio 2009) non doveva essere comunicato dalla cancelleria ma avrebbe dovuto essere la parte riassumente ad attivarsi per conoscere i provvedimenti adottati a seguito della sua richiesta di prosecuzione del processo. Di conseguenza, ad avviso della Corte di appello, essendo scaduto il concesso termine ex art. 305 c.p.c. (qualificato come perentorio) non avendo la V. dimostrato di essersi diligentemente attivata – ancorchè infruttuosamente – per acquisire conoscenza del decreto presidenziale, il giudizio, per effetto della tempestiva eccezione formulata, non avrebbe potuto che essere dichiarato estinto.

3. Avverso la suddetta sentenza della Corte di appello di Napoli V.R. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, al quale hanno resistito con controricorso i soli intimati Ve.Br. e P.A..

La difese della controricorrente P.A. ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 305 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 307 c.p.c., comma 3, prospettando l’illegittimità dell’impugnata sentenza che, pur avendo preso atto della tempestività del deposito del ricorso in riassunzione (in data 31 ottobre 2008) a seguito della dichiarata interruzione (avvenuta il 5 giugno 2008), aveva erroneamente dichiarato l’estinzione del giudizio per mancata osservanza del termine per la notificazione.

2. Con la seconda censura la ricorrente ha dedotto – con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 350 e 352 c.p.c., con la conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’art. 158 c.p.c., per asserito vizio di costituzione del giudice, dovendosi applicare, nel caso di specie, al giudizio in questione (incardinato nel gennaio 1983 e pendente al 30 aprile 1995) il rito in appello nella disciplina previgente alla modifiche introdotte con la L. 26 novembre 1990, n. 363.

3. Rileva il collegio che il ricorso deve essere dichiarato improcedibile che per le ragioni che seguono.

Sul piano dello svolgimento processuale relativo alla presente fase di legittimità, occorre dare conto che, all’esito dell’adunanza camerale del 16 febbraio 2018 ed a seguito di riconvocazione della relativa Camera di consiglio per il 12 dicembre 2018, con ordinanza interlocutoria in pari data fu disposta ai sensi dell’art. 371-bis c.p.c. – l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli eredi di D.L.M., con la concessione del termine di 60 giorni (a decorrere alla comunicazione della stessa ordinanza) per provvedervi ed il conseguente rinvio del ricorso a nuovo ruolo, rifissato per l’udienza pubblica del 12 dicembre 2019.

Il difensore della ricorrente ha depositato solo in data 6 settembre 2019 i documenti relativi all’adempimento delle ordinate notifiche, dichiarando, peraltro, che quelle eseguite nei riguardi di P.A., S., D. (a sua volta, nelle more, deceduto) e M. (altri eredi di D.L.M.) non erano andate a buon fine per attestata irreperibilità dei destinatari. Il suddetto difensore si è, poi, riservato, all’esito della restituzione dei relativi plichi (di cui ha affermato il momentaneo smarrimento), di procedere alla notificazione nei confronti dei predetti nelle forme di cui all’art. 143 c.p.c..

Orbene, sulla scorta dell’evidenziato percorso processuale, emerge che – a fronte dell’avvenuta comunicazione in data 9 aprile 2019 della richiamata ordinanza interlocutoria – il difensore della ricorrente non ha provveduto a depositare l’atto di integrazione del contraddittorio entro il termine di venti giorni (dalla suddetta comunicazione) prescritto dal citato art. 371-bis c.p.c.. Pertanto, sulla scorta di tale rappresentazione, deve trovare applicazione il principio sancito dalle Sezioni unite di questa Corte (con ordinanza n. 3820 del 2005, preceduta già da Cass. n. 1583/1999 e Cass. n. 5825/1999), secondo cui, qualora la Corte di cassazione abbia ordinato l’integrazione del contraddittorio ai sensi dell’art. 371-bis c.p.c., il deposito del relativo atto di integrazione del contraddittorio oltre il termine di venti giorni dalla scadenza del termine concesso dalla Corte per provvedere alla disposta integrazione, comporta l’improcedibilità, rilevabile d’ufficio, del ricorso in cassazione, restando del tutto irrilevante un tardivo deposito dell’atto integrativo (in senso conforme v. anche la successiva Cass. SU n. 11003/2006, nonchè Cass. n. 4747/2012).

Nell’interpretazione della portata del citato art. 371-bis c.p.c., deve, infatti, essere messo in rilievo che – sul presupposto che tale norma, nel prevedere il necessario rispetto di un termine perentorio, è finalizzata a realizzare la regolarità e la pienezza del contraddittorio (sia mediante l’integrazione del contraddittorio instaurato in modo incompleto, sia attraverso la rinnovazione di una o più notifiche invalidamente eseguite) – il previsto termine per il deposito dell’atto di integrazione non va correlato alla data di notifica, bensì alla scadenza del termine assegnato dalla Corte di cassazione per provvedere all’inerente incombente (e, quindi, indipendentemente dalla già avvenuta notificazione, la prova della cui rituale esecuzione o della relativa impossibilità per ragioni non imputabili al notificante – del raggiungimento del suo buon fine andrà fornita ai sensi e nei modi previsti dall’art. 372 c.p.c.).

In altri termini, il termine – qualificato espressamente come perentorio e previsto a pena di improcedibilità dall’art. 371-bis c.p.c. – è da ritenersi del tutto svincolato dal momento di perfezionamento della notificazione dell’atto di integrazione, poichè, ai fini del suo computo, va posto riferimento unicamente al termine fissato dalla Corte con l’emessa ordinanza di integrazione del contraddittorio per procedere al deposito del conseguente atto processuale, a nulla rilevando le vicende successive inerenti la notifica dell’atto stesso.

Di conseguenza, nel caso di specie, non essendo stato osservato il prescritto termine di cui all’art. 371-bis c.p.c., nei sensi appena illustrati (rimanendo, perciò, privo di efficacia a tal fine, l’eseguito deposito dell’atto di integrazione del contraddittorio con i riscontri documentali relativi alle effettuate notificazioni nei confronti dei litisconsorti, siccome effettuato solo in data 6 dicembre 2019), non può che essere dichiarata l’improcedibilità del ricorso, rimanendo, quindi, precluso l’esame di ogni altra questione.

4. Per effetto del suddetto esito del ricorso, la ricorrente deve essere condannata al pagamento, in favore di ciascuna parte controricorrente (tenendo conto anche della circostanza che la difesa della P.A. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.), delle spese del presente giudizio, liquidate come in dispositivo, nel mentre non occorre adottare alcuna pronuncia al riguardo con riferimento alle altre parti intimate, che non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Infine, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara il ricorso improcedibile.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, in favore della controricorrente P.A., liquidate in Euro 4.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge, nonchè in favore del controricorrente Ve.Br., quantificate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario, iva e cap nella misura e sulle voci come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2020

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