Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15305 del 12/07/2011

Cassazione civile sez. II, 12/07/2011, (ud. 19/05/2011, dep. 12/07/2011), n.15305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.M.A., in proprio e quale procuratore speciale di De.

M.A., D.M.E. e De.Mi.En.,

rappresentato e difeso per procura a margine del ricorso

dall’Avvocato PERSICHETTI Ulderico, elettivamente domiciliato presso

lo studio dell’Avvocato Angelo Romano in Roma, Via Paolo Emilio n.

71;

– ricorrente –

contro

E.P., residente in (OMISSIS), rappresentata e difesa per

procura a pagina 2 del controricorso dall’Avvocato RAMPINI Massimo,

elettivamente domiciliata presso lo studio degli Avvocati Ferrara,

Santamaria e Pepe in Roma, via Simone de Saint Bon n. 42;

– controricorrente –

e

D.M.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 228 della Corte di appello dell’Aquila,

depositata il 7 aprile 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19

maggio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Mario Bertuzzi;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. LETTIERI Nicola, che ha chiesto il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 10 dicembre 1996, la Corte di appello dell’Aquila dichiarò E.P. proprietaria esclusiva di un immobile formato da un unico vano sito in (OMISSIS), e condannò l’occupante D.M.M. all’immediato rilascio dello stesso.

Con atto notificato il 16 luglio 1998, E.E. propose opposizione di terzo avverso tale decisione, assumendo che la decisione pregiudicava il suo diritto di proprietà sul bene, da lei acquistato in forza di usucapione.

All’esito del giudizio, in cui si costituirono sia E.P., chiedendo il rigetto della domanda, che D.M.M., la Corte di appello dell’Aquila, con sentenza n. 228 del 7 aprile 2005, rigettò l’opposizione, affermando che la parte istante non aveva dato prova del suo diritto di proprietà, dimostrando di avere maturato l’usucapione in forza del possesso ventennale del bene.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 14 novembre 2005 ricorrono, sulla base di tre motivi, D.M. A., De.Mi.Ad., D.M.E. e D.M. E., quali eredi di E.E..

Resiste con controricorso E.P..

D.M.M. non si è costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Vanno esaminati per primi, e congiuntamente, in ragione della loro connessione obiettiva, il secondo e terzo motivo del ricorso.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 354, 404 e 406 cod. proc. civ., e vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, lamentando che il giudice di appello, dopo avere ammesso la prova per testi ed essersi riservato sull’audizione degli ulteriori testimoni indicati dalla opponente, non abbia poi provveduto alla loro ammissione sul presupposto della irrilevanza della prova escussa, considerazione che, al contrario, avrebbe dovuto la ritenere ancor più necessaria l’audizione di altri testi. La Corte non avrebbe inoltre considerato che la porzione immobiliare oggetto di causa non era altro che una parte dell’abitazione della opponente.

Il terzo motivo di ricorso denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, assumendo che la sentenza impugnata ha completamente errato nella valutazione delle prove, dal momento che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, tutti i testi sentiti avevano confermato che la opponente abitava da oltre trent’anni l’appartamento di (OMISSIS), di cui l’immobile per cui è causa era stato sempre parte essenziale.

I motivi sono infondati.

La Corte territoriale ha rigettato l’opposizione di terzo sulla base della considerazione in fatto che la opponente non aveva provato l’acquisto per usucapione del bene oggetto di controversia, atteso che le prove testimoniali escusse, di cui richiama sinteticamente il contenuto, non avevano provato il possesso ventennale del bene occorrente per i perfezionarsi dell’usucapione. Tale conclusione è sostenuta dal rilievo che, dei due testi sentiti, il primo ( V.O.) aveva riferito soltanto di avere svolto, su incarico di E.E., lavori di manutenzione e di riparazione termoidraulica nell’immobile “da oltre vent’anni”, mentre il secondo ( D.P.A.) aveva dichiarato di avere aiutato il nipote della E., “non più tardi di una quindicina d’anni fa”, a spostare mobili o a imbiancare le pareti dello stesso.

Tanto premesso, la censura di vizio di motivazione, per non avere il giudice debitamente valutato le dichiarazioni dei testi escussi, non ha pregio.

Su punto occorre precisare che, per giurisprudenza costante di questa Corte, nel giudizio di legittimità non sono ammesse censure dirette a provocare un nuovo apprezzamento delle risultanze processuali, diverso da quella espresso dal giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, potendo il ricorrente sindacare tale valutazione solo sotto il profilo della congruità e sufficienza della motivazione, che, se dedotto, conferisce alla Corte di legittimità il potere di controllare, sotto il profilo logico-formale, l’esame e la valutazione dei fatti compiuta dal giudice del merito, non già quello di effettuare un nuovo esame ed una nuova valutazione degli stessi (Cass. n. 14972 del 2006; Cass. n. 4770 del 2006; Cass. n. 16034 del 2002). Con l’ulteriore precisazione che, ai sensi del disposto di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5, il vizio di motivazione può portare alla cassazione della sentenza di merito soltanto nei casi in cui investa un punto decisivo della controversia, requisito che, nel caso di omessa considerazione di risultanze probatorie, può ritenersi sussistente laddove l’elemento di fatto trascurato dal giudice di merito presenti una sua evidenza probatoria tale da far ritenere che, se esso fosse stato debitamente considerato, l’esito del giudizio avrebbe potuto essere diverso.

Posta in quest’ambito, la denunzia di vizio di motivazione della sentenza impugnata non sussiste, atteso che le dichiarazioni dei testi riportati nel ricorso non forniscono elementi ulteriori di giudizio il cui esame sia stato omesso da giudice di merito e che possano ritenersi decisivi ai fini dell’esito della lite. L’assunto dei ricorrenti secondo cui tali testimoni avrebbero dichiarato che E.E. possedeva da oltre vent’anni pubblicamente e pacificamente l’immobile conteso rappresenta soltanto una sintesi generica delle deposizioni, non sostenuta da alcun richiamo a circostanze obiettive che i testi avrebbero riferito. Manca quindi, l’indicazione di circostanze di fatto concrete riferite dal teste che sarebbero state colpevolmente ignorate dal giudice di merito. Nè tali elementi emergono direttamente e chiaramente da tali dichiarazioni. Una loro lettura, consentita a questa Corte soltanto nella prospettiva indicata del vizio di motivazione, non evidenzia in particolare alcun elemento decisivo che faccia emergere con evidenza la dimostrazione della sussistenza del possesso esclusivo del bene da parte della opponente per il tempo necessario per usucapire.

La denunzia di violazione di legge in relazione alla mancata ammissione degli altri testi indicati dalla parte attrice appare invece inammissibile, atteso che il ricorso non osserva, con riferimento a tale censura, il principio di autosufficienza, il quale impone al ricorrente per cassazione che deduca la mancata ammissione della prova testimoniale di riprodurre esattamente i capitoli di prova per i quali tale prova era stata dedotta, al fine di consentire alla Corte di valutare l’ammissibilità della prova e quindi la sussistenza e decisività del mezzo non ammesso (Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n. 18506 del 2006; Cass. n.3004 del 2004). Nel caso di specie, il ricorso non rispetta tale requisito, in quanto omette di trascrivere il testo dei capitoli di prova testimoniale su cui i testi non ammessi avrebbero dovuto essere sentiti; nè tale mancanza è superabile sulla base delle dichiarazioni dei testi escussi, che sono state riportate nel ricorso, non potendo da esse evincersi, con un sufficiente grado di precisione, quali esattamente fossero le circostanze su cui i testi indicati avrebbero dovuto deporre, non bastando a tal fine un richiamo generico ai presupposti richiesti dalla legge per l’usucapione.

Il primo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 354, 404 e 406 cod. proc. civ., lamenta che la sentenza impugnata non abbia debitamente considerato le dichiarazioni dei testi escussi, dalle quali risultava dimostrato il fatto che il bene conteso era stato posseduto per oltre vent’anni dall’istante. Sulla base di tale prova, si aggiunge, il giudice avrebbe dovuto, in accoglimento dell’opposizione, annullare la sentenza impugnata e rimettere la causa dinanzi al giudice di primo grado per la sua decisione.

Il motivo si dichiara assorbito alla luce delle considerazioni sopra svolte.

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 maggio 2011.

Depositato in Cancelleria il 12 luglio 2011

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