Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15302 del 21/07/2015


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 15302 Anno 2015
Presidente: PICCININNI CARLO
Relatore: PERRINO ANGELINA MARIA

SENTENZA
sul ricorso iscritto al numero 20595 del ruolo generale
dell’anno 2010, proposto
da
Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro
tempore, rappresentato e difeso dall’avvocatura dello
Stato, presso gli uffici della quale in Roma, alla via dei
Portoghesi, n. 12, domicilia;
ricorrentecontro
s.r.l. Pioneer Hi-Bred Italia, in persona del legale
rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso,
giusta procura speciale a margine del controricorso,
dagli avvocati Alessandro Masciocchi e Alberto Bertora,
domiciliato presso lo studio del primo, in Roma, alla via
della Maercede, n. 11
RG n. 20595/2010

Data pubblicazione: 21/07/2015

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,

-controricorrente e ricorrente incidentale
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della
Lombardia, sede di Brescia, sezione 63, depositata in data 23 febbraio 2010, n.
40/63/2010;
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 25 maggio 2015
dal consigliere Angelina-Maria Penino;

uditi per l’Agenzia delle entrate l’avvocato dello Stato Sergio Fiorentino e per la
società l’avv. Alberto Bertora;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto procuratore generale Tommaso
Basile, che ha concluso per il rigetto sia del ricorso principale, sia di quello
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Fatto.
In relazione all’anno d’imposta 2003, l’Agenzia delle entrate, per quanto ancora
d’interesse, ha applicato alla società, commissionarla italiana in nome proprio e per
conto di Pioneer Hi-Bred Switzerland SA, sanzione pecuniaria per l’omessa
regolarizzazione di fatture di cessione per la vendita di partite di sementi emesse
dalla committente, delle quali assumeva l’irregolarità, perché esponevano
l’imponibile totale, pari al prezzo convenuto tra la commissionaria ed il terzo
acquirente, con l’applicazione dell’aliquota speciale del 4% previsto per le sementi,
dal quale imponibile era stato scorporato l’importo pari alla provvigione spettante
alla commissionaria, sul quale era stato calcolata l’iva, in base all’aliquota ordinaria
del 20%; nelle fatture, infine, era calcolata la differenza tra l’iva al 4% sul totale e
l’iva al 20% sulla percentuale corrispondente alla provvigione, con addebito alla
commissionarla della differenza fra i due valori. Secondo l’Agenzia, di contro,
poiché i passaggi di beni per la vendita dal committente al commissionario sono
cessioni imponibili, la base imponibile delle quali è pari al prezzo di vendita
convenuto tra il commissionario ed il terzo acquirente, al netto della provvigione
spettante al commissionario, il committente avrebbe dovuto addebitare al
commissionario soltanto l’iva prevista per la cessione, con l’aliquota pari al 4%, su
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un imponibile pari alla differenza tra il prezzo finale al terzo acquirente e la
provvigione.
Inoltre, l’Agenzia, con riferimento a partite di mais che la società aveva dovuto
riacquistare da agricoltori propri clienti, contestò, in base ai prezzi di riacquisto
fatturati dagli agricoltori che, sebbene le partite fossero state rivendute solo in
piccola parte, non risultavano tra le rimanenze finali e, per conseguenza, non erano

state trattate come componenti positivi di reddito, ai fini Irpeg ed Irap.
La Commissione tributaria provinciale accolse il ricorso proposto dalla società
con riguardo alla ripresa concernente l’iva, rigettando quella rilevante ai fini
dell’irpeg e dell’irap, là dove quella regionale ha respinto l’appello dell’ufficio,
facendo leva sulla mancanza di danno per l’erario, accogliendo, invece, il gravarne
incidentale della società, in ragione della mancanza di idonea documentazione della
rivendita della medesima merce nel corso dell’anno 2004 e, quindi, l’insussistenza
dell’obbligo di contabilizzarla fra le rimanenze finali.
Ricorre l’Agenzia delle entrate per ottenere la cassazione della sentenza,
affidando il ricorso a due motivi, cui la società reagisce con controricorso, spiegando
altresì ricorso incidentale, articolato in due mezzi, che illustra con memoria ex art.
378 c.p.c.

Diritto.
1.- Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità del ricorso incidentale, il
quale non verte su questioni preliminari in senso proprio, ma su argomenti
logicamente prodromici rispetto a quelli dedotti dal giudice d’appello, idonei, in
quanto tali, a modificare la motivazione, fermo restando il dispositivo. Un tale
ricorso è carente d’interesse, in quanto l’auspicata correzione si può ottenere
mediante la semplice riproposizione delle difese nel controricorso o attraverso
l’esercizio del potere correttivo attribuito alla corte di cassazione dall’art. 384 c.p.c.
(Cass. 24 marzo 2010, n. 7057; 16 gennaio 2015, n. 658).
2.- Ad ogni modo, gli argomenti dedotti col primo motivo di esso sono fondati
a contrastare il primo motivo del ricorso principale, col quale l’Agenzia lamenta, ex
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art. 360, 10 co., n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 10, comma 3,
primo periodo, seconda parte della 1. 27 luglio 2000, n. 212, dell’art. 6, comma 8,
prima parte e lett. b) del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, dell’art. 6, comma 5bis, del
d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 e degli artt. 17, comma 1, 28, comma I e 30 del
d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633, rimarcando che le violazioni della contribuente,
consistite nell’omessa regolarizzazione specificata in narrativa, hanno inciso sulla

determinazione della base imponibile, sull’iimposta e sul versdamento di questa,
risultando per conseguenza sanzionabili.
Sostiene, di contro, la società che l’obbligo di regolarizzazione
dall’inadempimento del quale è scaturita l’irrogazione della sanzione, riguarda
soltanto i vizi evidenti, non potendosi estendere, invece, a casi, come quello in
esame, in cui l’erronea fatturazione dipende dall’erronea interpretazione del rapporto
sottostante.
Il controllo sulla irregolarità della fattura richiesto al cessionario o al
committente dall’8° comma dell’art. 6 del d.lgs. n. 471 del 1997 è difatti intrinseco al
documento, in quanto limitato alla regolarità formale della fattura, e, dunque, alla
verifica dei requisiti essenziali individuati dall’art. 21 del d.p.r. 633/72, tra i quali
rilevano, tra gli altri, i dati relativi alla natura, qualità, quantità dei beni e dei servizi,
all’ammontare del corrispettivo, all’aliquota ed all’ammontare dell’imposta e
dell’imponibile. La regolarizzazione richiesta al cessionario o committente consiste
nel fornire le indicazioni dell’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, il quale appunto
elenca gli elementi da inserirsi nella fattura. L’inclusione, fra i compiti del
cessionario o committente, di un apprezzamento critico, su quanto l’emittente di
fattura completa dichiari in ordine alla individuazione della base imponibile e
dell’aliquota applicabile, in esito ad una ricognizione critica del rapporto giuridico
sottostante, trasformerebbe l’obbligato in rivalsa in un collaboratore con supplenza
in funzioni di esclusiva pertinenza dell’ufficio finanziario, e, dunque, andrebbe oltre
la ratio di assicurare all’ufficio medesimo la conoscenza piena dei fatti rilevanti ai

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fini impositivi, introducendo una sorta di accertamento privato in rettifica della
dichiarazione del debitore d’imposta.
Una dilatazione delle incombenze in discorso, nel senso voluto
dall’amministrazione, non sarebbe del resto coerente con il contestuale obbligo del
soggetto tenuto alla regolarizzazione della fattura altrui di pagare l’imposta non
versata o versata in misura insufficiente.

La tesi porterebbe ad esigere quel versamento prima che l’ufficio abbia
controllato ed eventualmente rettificato la suddetta dichiarazione in ordine a misura
ed estensione della soggezione ad imposta, e quindi ad imporre il soddisfacimento di
un credito non ancora accertato e fatto valere nel rapporto con il soggetto passivo,
sulla mera base della prefigurabilità di una successiva iniziativa dell’ufficio stesso; il
risultato sarebbe anomalo, e non scevro da dubbi di compatibilità con i precetti di
cui agli artt. 3, 24 e 53 della Costituzione, in quanto si richiederebbe al cessionario o
committente, solo perché debitore finale in esito alla rivalsa, una so/utio di tipo
anticipatorio e cautelativo rispetto a credito d’imposta non ancora esercitato (in
termini, Cass. 12 dicembre 2014, n. 26183; 18 agosto 2013,n. 18743).
Né è esportabile in materia il diverso indirizzo sugli oneri di diligenza con
riguardo all’applicabilità del regime del margine, giacché, essendo questo un regime
speciale, implica un vaglio critico della sussistenza dei relativi presupposti,
pienamente compatibile con la diligenza qualificata prevista dal 2° comma dell’art.
1176, del codice civile. Le fatture ricevute dalla commissionaria italiana, di contro,
risultando complete di tutti i dati prescritti, vanno qualificate, ai fini sanzionatori,
come regolari.
3.- Col secondo motivo di ricorso, l’Agenzia lamenta, ex art. 360, 1° co., n. 3 e
4, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli alt 115 e 166 c.p.c., dell’art. 59, l’
co., e 75, 5° co., del d.p.r. 917186, nel testo vigente fino all’i gennaio 2004 nonché, ex
art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., l’omessa valutazione di documenti decisivi.
Il motivo, benché accorpi più censure, è ammissibile, contrariamente a quanto
eccepito in controricorso, giacché, evidenzia specificamente la trattazione delle
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doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto
appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. 23
aprile 2013, n. 9793).
La complessiva censura, peraltro, non è fondata.
Non è fondata sotto il profilo della violazione del principio di non

accertamento, al fine di ricostruire le rimanenze di magazzino delle quali si discute,
non già su precisi fatti storici, bensì sulla deduzione ritraibile dall’obbligo di
riacquisto, dalla modesta entità della somma ottenuta dalla rivendita e dalla
circostanza che il 29 dicembre 2004 il mais <<...era stato in parte ...riaddebitato alla propria committente svizzera...e in parte venduto a terzi>>, senza ulteriori
specificazioni.
Là dove il principio della non contestazione può condurre ad affermare
pacifico il solo fatto significante, non mai anche il fatto che si sostenga da quello
direttamente desumibile -il cd. significato (Cass. 6 febbraio 2015, n. 2196).
Parimenti infondata è la censura concernente il vizio di motivazione per
omesso esame di documenti decisivi, in quanto il documento in questione, ossia un
punto dell’avviso di accertamento, non assurge al rango di documento decisivo,
essendo privo di efficacia probatoria, poiché è l’oggetto immediato del processo
introdotto dal ricorso del contribuente.
Le spese seguono la soccombenza.
per questi motivi
La Corte:
rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile quello incidentale e condanna
l’Agenzia a pagare le spese sostenute dalla società, liquidate in euro 10000,00 per
compensi, oltre ad curo 200,00 per esborsi ed al rimborso delle spese forfetarie,
nella misura del 15%.
Cosi deciso in Roma, il 25 maggio 2015.

contestazione, in quanto la stessa Agenzia riconosce di aver fatto leva con l’avviso di

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