Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1530 del 20/01/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 20/01/2017, (ud. 09/01/2017, dep.20/01/2017),  n. 1530

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 8897/2013 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

COGEPI Srl;

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 48/302/12, depositata il 28 settembre 2012;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 9 gennaio 2017

dal Cons. Giuseppe Fuochi Tinarelli;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per l’accoglimento

del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, con due motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania indicata in epigrafe, di conferma della sentenza di primo grado che, in accoglimento del ricorso della COGEPI Srl, aveva annullato l’avviso di accertamento, adottato ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), con cui era stato accertato un maggior reddito d’impresa, con determinazione della maggiori imposte IRAP, per Euro 7.754, e IVA, per Euro 12.916, con applicazione di sanzioni pari ad Euro 73.111,50.

Riteneva il giudice d’appello che, a fronte della regolarità formale della contabilità e della congruità del reddito dichiarato agli studi di settore, i reiterati prelievi dai conti bancari in rosso e i continui movimenti (versamenti e restituzioni) sul conto cassa rispetto ai soci fossero inidonei a far ritenere inattendibile la contabilità.

Il contribuente non si è costituito.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Con il primo motivo l’Agenzia delle entrate censura la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, nonchè dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducendo che, contrariamente a quanto affermato dalla CTR, l’eccesso di scopertura dei conti bancari, l’esorbitanza del conto cassa, unitamente ai finanziamenti operati dai soci, costituiscono pesante indizio di occultamento di ricavi, si da legittimare il ricorso alla procedura induttiva, con inversione dell’onere della prova ed onere per il contribuente di fornire la prova contraria.

Rileva, in particolare, l’esistenza di numerose anomalie sia con riguardo alla gestione del conto cassa, con plurimi movimenti anche di rilevante importo ma generici, sia con contestuali prelievi dal conto bancario in rosso, sia con riguardo alla stipula di un mutuo passivo pur in presenza di una elevata (e superiore) liquidità.

3. Con il secondo motivo censura l’insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver statuito in termini del tutto apodittici escludendo la configurabilità di una condotta antieconomica della società nonostante la pluralità di indizi dell’esistenza di maggiori ricavi.

4. Le censure, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono fondate.

4.1. Secondo la condivisa e consolidata giurisprudenza “la prova presuntiva dei maggiori ricavi, idonea a fondare l’accertamento con il metodo analitico-induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), può essere desunta da una condotta commerciale anomala del contribuente” (Cass. n. 15038 del 2014, Rv. 631536; v. inoltre Cass. n. 26167 del 2011, Rv. 620820, Cass. n. 21536 del 2007, Rv. 600991 in ordine al comportamento antieconomico del contribuente).

La presenza di scritture contabili formalmente corrette, pertanto, non esclude la legittimità dell’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), (metodo di accertamento applicabile per estensione analogica anche in materia IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, commi 2 e 3: v. Cass. n. 3197 del 2013, in motivazione) qualora la contabilità stessa possa considerarsi complessivamente inattendibile in quanto confliggente con i criteri della ragionevolezza, anche sotto il profilo della antieconomicità del comportamento del contribuente.

In tali casi, è consentito all’ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e desumere, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, maggiori ricavi o minori costi, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente (cfr. Cass. n. 7871 del 2012) e ciò indipendentemente dalla riscontrata regolarità formale delle scritture contabili.

La grave incongruità o abnormità del dato economico esposto in dichiarazione priva le stesse scritture contabili di qualsiasi attendibilità (v. Cass. n. 20201 del 2010; v. la già citata Cass. n. 26167 del 2011 e, inoltre, Cass. n. 26036 del 2015).

4.2. Venendo alla concreta vicenda, l’avviso di accertamento esattamente riprodotto insieme al pvc dall’Agenzia delle entrate in conformità al principio di autosufficienza – ha portato in evidenza:

1) il conto cassa era caratterizzato da un elevato numero di operazioni, tutte generiche, che portavano ad un saldo periodico positivo anche particolarmente elevato (oltre 200 mila Euro);

2) parallelamente il conto bancario presentava rilevanti saldi negativi e, ciononostante, venivano ugualmente effettuati prelevamenti, circostanza incongruente con l’ampia disponibilità di cassa, senza che, per contro, sussistessero impegni tali da giustificare il movimento;

3) nello stesso arco temporale la società da un lato restituiva per cassa ai soci quasi 400 mila Euro per rimborso finanziamenti (infruttiferi), mentre, dall’altra parte, gli stessi soci erogavano altre cospicue somme (quasi 100 mila Euro) per nuovi finanziamenti, incrementando, al contempo di oltre 50 mila Euro il capitale sociale;

4) pur in presenza di una così elevata liquidità derivante dal finanziamento dei soci, la società contraeva un mutuo per oltre 300 mila euro, senza che, anche in questo caso, l’operazione trovasse giustificazione economica nelle attività intraprese.

4.2. In termini sintetici, dunque, emergeva un’ampia e cospicua movimentazione del conto cassa la cui origine è asseritamente derivante dal finanziamento dei soci, i quali, peraltro, mentre ricevevano rimborsi continuavano, contestualmente, ad effettuare nuovi versamenti; la società, inoltre, pur a fronte della elevata liquidità disponibile (ed infruttifera, dunque senza costi aggiuntivi), aggravava l’esposizione bancaria, accollandosi anche un nuovo mutuo, in sè fonte di oneri ed interessi passivi.

4.3. Attese le particolarità del caso in esame, occorre considerare la natura, le caratteristiche e la rilevanza del conto cassa per l’impresa.

Il conto cassa rileva il denaro costituito dall’impresa per far fronte alle uscite immediate di denaro o per incamerare liquidità: accoglie, dunque, i movimenti inerenti alle entrate e uscite di denaro contante e, fisiologicamente, presenta sempre eccedenza in dare atteso che non possono esistere, secondo le regole ragionieristiche e di contabilità, quantità negative in cassa.

Specificamente con riguardo alle risultanze del conto cassa, infatti, la Corte (Cass. n. 27585 del 2008, Rv. 605673 e Cass. n. 11988 del 2011, Rv. 617300), ha affermato che “la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo”.

L’esistenza di un conto cassa con saldo positivo, pertanto, costituisce una evenienza fisiologica, ma, assolvendo alla finalità di assicurare (e ricevere) pagamenti immediati di limitato importo, non è altrettanto fisiologico che il suo ammontare sia elevato e che, anzi, costituisca il vettore di flusso per rilevanti operazioni dell’impresa.

Nella normalità dei casi e per la generalità delle attività con clienti e fornitori, difatti, sono più tipicamente impiegate nell’attività d’impresa le operazioni bancarie poichè queste, per le loro proprie caratteristiche e per la potenziale utilità nelle transazioni economiche, permettono di ricostruire la rete dei rapporti commerciali.

Sembra dunque incongruente la coesistenza di un conto cassa con ingente saldo positivo e di una contemporanea elevata negativa esposizione bancaria: l’impresa, difatti, vanta una grande liquidità ma, al contempo, non la usa e, per soddisfare i rapporti commerciali, ricorre al credito bancario (od ancor più, ad un mutuo passivo), fonte di costi ed oneri passivi; il quadro appare ancora più opaco, infine, se i movimenti sul conto cassa siano generici e acausali.

4.4. Orbene, a fronte di questo complesso di anomalie, tra loro concordanti, ed indici di condotta antieconomica da parte del contribuente, la CTR non rende conto delle ragioni addotte dal fisco limitandosi ad annotare che la pretesa si fonda “solo sui continui versamenti dei soci, peraltro quasi tutti rientrati nell’esercizio, e da prelevamenti dal c/ banca talvolta in rosso”, senza ulteriori specificazioni, addossando sull’Ufficio l’onere probatorio di giustificare la peculiare conduzione e movimentazione del conto cassa in presenza di una esposizione verso le banche, in assenza di attività e impegni idonei a spiegare le scelte operate.

5. Per le ragioni esposte, in accoglimento del ricorso e previa cassazione della sentenza impugnata, la causa deve essere rinviata ad altra sezione della commissione tributaria regionale competente, che rinnoverà il giudizio uniformandosi ai principi sopra esposti.

6. Il giudice di rinvio provvederà anche alla regolazione tra le parti delle spese di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata; rinvia a diversa sezione della Commissione tributaria regionale della Campania, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2017

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