Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15298 del 25/07/2016


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Cassazione civile sez. II, 25/07/2016, (ud. 17/05/2016, dep. 25/07/2016), n.15298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi G. – rel. Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 544-2012 proposto da:

T.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

F. CESI 30, presso lo studio dell’avvocato PIERLUIGI MANCUSO,

rappresentata e difesa dall’avvocato RINALDO OCCHIPINTI;

– ricorrente –

contro

C.S., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

PRISCIANO 42, presso lo studio dell’avvocato SILVIO GALLUZZO,

rappresentato e difeso dall’avvocato RAFFAELE ROSSINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 686/2011 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 13/05/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/05/2016 dal Consigliere Dott. LOMBARDO LUIGI GIOVANNI;

udito l’Avvocato Silvio Galluzzo con delega depositata in udienza

dell’Avv. Raffaele Rossino difensore del controricorrente che si

riporta alle difese in atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. T.G. convenne in giudizio M.A., M.V. e C.S., chiedendo la condanna degli stessi ad arretrare fino alla distanza legale le costruzioni che avevano edificato sui rispettivi fondi – finitimi a quello attoreo – e a chiudere le vedute aperte a distanza inferiore a quella legale.

Nella contumacia dei convenuti, il Tribunale di Modica condannò i medesimi ad arretrare le loro costruzioni fino ad una distanza non inferiore a m. 40 dal confine col fondo attoreo, ritenendo assorbita la domanda di eliminazione delle vedute.

2. – Sul gravame proposto da C.S., la Corte di Appello di Catania, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, rigettò la domanda proposta nei confronti dell’appellante. Ritenne la Corte catanese che, poichè lo strumento urbanistico prevedeva solo l’osservanza di una distanza tra costruzioni (maggiore di quella prevista dal codice civile) ma non una determinata distanza dal confine, essendo il fondo dell’attrice inedificato, operava il principio della prevenzione, in forza del quale il C. aveva facoltà di costruire sul confine e a distanza inferiore alla metà di quella stabilita dal regolamento locale, salva in tal caso la facoltà del vicino – ai sensi dell’art. 875 c.c., la metà del valore del muro del vicino (divenendo così il muro comune) e il valore del suolo occupato per effetto dell’avanzamento della fabbrica.

3. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre T.G. sulla base di tre motivi.

Resiste con controricorso C.S..

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Col primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 871, 873 e 875 c.c., del Dec.Ass. del 31 dicembre 1977, n. 398, art. 27, comma 5, del Dec.Ass. del 31 dicembre 1977, n. 398, art. 35. E6 sottozona E6 del Decreto 12 aprile 2002, n. 168, del dipartimento urbanistica della Regione siciliana. Si deduce che le norme di attuazione del P.R.G. del Comune di Scicli, applicate dalla sentenza impugnata, sarebbero state superate dalla variante al P.R.G. approvata il 12.04.2002, che prevede, per le zone su cui ricadono i manufatti, una distanza tra fabbricati di m. 10, inferiore rispetto a quella di m. 80 prevista dalle norme previgenti e una determinata distanza dal confine di m. 5. Si lamenta, pertanto, che la Corte territoriale non abbia applicato tale disciplina sopravvenuta meno restrittiva, che però, prevedendo una distanza dal confine, avrebbe escluso l’operatività del principio della prevenzione, ritenuto invece operante dai giudici di appello.

La censura non è fondata.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, in caso di successione nel tempo di norme edilizie, la nuova disciplina, se meno restrittiva, è applicabile anche alle costruzioni realizzate prima della sua entrata in vigore, con l’unico limite dell’eventuale giudicato formatosi nella controversia sulla legittimità della costruzione stessa, onde la illegittimità dell’eventuale ordine di demolizione degli edifici originariamente illeciti alla stregua delle precedenti norme, nei limiti in cui siano consentiti dalla normativa sopravvenuta (Sez. 2, Sentenza n. 4980 del 02/03/2007, Rv. 598322); se, invece, la nuova disciplina è più restrittiva, essa non è applicabile alle nuove costruzionè, che al momento della sua entrata in vigore possono considerarsi già “sorte”, valendo in tal caso il limite dei cosiddetti “diritti quesiti” (Sez. 2, Sentenza n. 11146 del 15/06/2010, Rv. 613403; Sez. 2, Sentenza n. 1047 del 03/02/1998, Rv. 512154; Sez. 2, Sentenza n. 4267 del 13/04/1995, Rv. 491815).

Orbene, la valutazione del carattere più restrittivo e meno restrittivo dello ius superveniens non può essere operata in astratto, mediante un mero confronto tra la disciplina precedente e quella sopravvenuta, ma va operata “in concreto”, verificando le conseguenze favorevoli o sfavorevoli che, dall’applicazione della disciplina sopravvenuta, derivano per la parte che ha edificato.

Nella specie, poichè la nuova disciplina sopravvenuta prevede una distanza dal confine che rende inapplicabile il principio della prevenzione, essa risulta più restrittiva in concreto per il convenuto, perchè la mancata applicazione del principio della prevenzione comporterebbe la necessità di arretrare il fabbricato fino alla distanza legale.

Va dunque applicato il regolamento precedente alla variante approvata nell’anno 2002, il quale non prevedeva l’osservanza di una distanza dal confine, con conseguente applicabilità – come esattamente ha fatto la Corte territoriale – del principio della prevenzione.

Sul punto, le Sezioni unite di questa Corte hanno recentemente ribadito che un regolamento locale che si limiti a stabilire una distanza tra le costruzioni superiore a quella prevista dal codice civile, senza imporre un distacco minimo delle costruzioni dal confine, non incide sul principio della prevenzione, come disciplinato dal codice civile, e non preclude, quindi, al preveniente la possibilità di costruire sul confine o a istanza dal confine inferiore alla metà di quella prescritta tra le costruzioni, nè al prevenuto la corrispondente facoltà di costruire in appoggio o in aderenza, in presenza dei presupposti previsti dagli artt. 874, 875 e 877 c.c. (Sez. U, Sentenza n. 10318 del 19/5/2016).

2. Col secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 905 c.c., in relazione all’art. 873 c.c., per non avere la Corte territoriale pronunciato sulla domanda di eliminazione della veduta, omettendo di porre in relazione l’art. 905, che detta la distanza delle vedute dirette verso il fondo altrui, con l’art. 873, che detta la distanza minima tra costruzioni.

Unitamente a tale motivo, va esaminato il terzo motivo di ricorso, col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c., per avere la Corte di Appello omesso di pronunciarsi sulla domanda dell’appellato di condanna del C. all’eliminazione della veduta posta a distanza non legale, erroneamente ritenendo che non fosse stata riproposta in appello e non considerando che l’appellata in sede di precisazione delle conclusioni si era riportata a “tutte le difese svolte nei precedenti scritti difensivi”.

Anche queste doglianze sono infondate.

La Corte di Appello ha ritenuto di non doversi pronunciare sulla domanda di condanna a eliminare le vedute poste a distanza non legale, perchè tale domanda non è stata riproposta in appello, come era onere dell’odierna ricorrente ai sensi dell’art. 346 c.p.c..

Secondo l’insegnamento di questa Corte, l’appellato che ha visto accogliere nel giudizio di primo grado la sua domanda principale è tenuto, per non incorrere nella presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c., a riproporre espressamente, in qualsiasi forma indicativa della volontà di sottoporre la relativa questione al giudice d’appello, la domanda subordinata non esaminata dal primo giudice, non potendo quest’ultima rivivere per il solo fatto che la domanda principale sia stata respinta dal giudice dell’impugnazione (Sez. 2, Sentenza n. 7457 del 14/04/2015, Rv. 635000; Sez. 3, Sentenza n. 8854 del 13/04/2007, Rv. 596086); la riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice, al fine di evitare che la domanda o l’eccezione si intenda rinunciata (Sez. 2, Sentenza n. 10796 del 11/05/2009, Rv. 608106; Sez. L, Sentenza n. 23925 del 25/11/2010, Rv. 615645).

Nella specie, non vi è stata riproposizione specifica della domanda di eliminazione delle vedute, essendosi la T. limitata a richiamare genericamente, in sede di precisazione delle conclusioni, “tutte le difese svolte nei precedenti scritti difensivi”.

Bene ha fatto, pertanto, la Corte territoriale a non pronunciarsi su tale domanda, da ritenersi non riproposta in appello.

Risultando per quanto detto infondato il terzo motivo di ricorso, ne deriva l’assorbimento del secondo motivo.

3. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 2.200,00 (duemiladuecento), di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 17 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2016

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