Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 15298 del 17/07/2020

Cassazione civile sez. II, 17/07/2020, (ud. 18/09/2019, dep. 17/07/2020), n.15298

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3318/2017 proposto da:

P.V., P.G., P.D.,

P.P., elettivamente domiciliati in Roma, P.zza S. Andrea Della

Valle, 3, presso lo studio dell’avvocato Massimo Mellaro che li

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

Alimentari e Dolciumi 1 s.a.s. di C.G. & C., in persona

del legale rappresentate p.t. C.G., elettivamente

domiciliato in Roma Via E. Filiberto 166, presso lo studio degli

avvocati Antonio Corvasce e Sofia Pasquino che la rappresentano e

difendono;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4097/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 24/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/09/2019 del Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

Fatto

RAGIONI IN FATTO E DIRITTO DELLA DECISIONE

La società Alimentari e Dolciumi s.a.s. adiva il Tribunale di Roma con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., per sentir pronunciare la risoluzione del contratto preliminare con cui i sig.ri P.V., G., D. e P. si erano impegnati ad acquistare da tale società un immobile sito in (OMISSIS), nonchè del contratto di comodato con cui, nelle more della stipula del rogito, gli stessi promissari acquirenti avevano ricevuto la detenzione dell’immobile.

La domanda della società Alimentari e Dolciumi s.a.s., fondata sull’allegazione di plurimi adempimenti dei sig.ri P., veniva resistita da costoro, ma accolta dal Tribunale.

Avverso la sentenza del Tribunale i sigg.ri P. proponevano appello e la Corte di appello di Roma dichiarava il gravame inammissibile sul rilievo che esso era stato depositato solo il 23 marzo 2015, dopo l’esaurimento del termine, fissato dall’art. 702 quater c.p.c. (di giorni trenta dalla comunicazione dell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 702 ter c.p.c.). La Corte capitolina ha ancorato la decorrenza di detto termine alla data del 17 novembre 2014, nella quale l’ordinanza del Tribunale era stata comunicata a mezzo fax all’avvocato Iaculli, difensore costituito dei sig.ri P., a seguito del fallimento del tentativo di effettuare la medesima comunicazione a mezzo PEC per il malfunzionamento della casella di posta certificata di costui.

La sentenza della Corte d’appello di Roma è stata impugnata per cassazione dai sig.ri P. sulla scorta di tre motivi.

Preliminarmente i ricorrenti sottolineano che l’impugnata sentenza non è mai stata loro notificata (donde la tempestività del ricorso, notificato nel rispetto del termine lungo ex art. 327 c.p.c.) in quanto il tentativo di notifica di tale sentenza a mezzo PEC, all’indirizzo di posta elettronica certificata di uno dei due difensori dei sig.ri P., l’avvocato Iaculli, asseritamente effettuato dalla controparte in data 1 luglio 2016, aveva avuto l’esito di “mancata consegna” e non era stato seguito nè dalla notifica a mezzo PEC all’altro difensore dei medesimi sig.ri P., avvocato Coscarella, nè dalla notifica a mezzo ufficiale giudiziario nella cancelleria del giudice a quo.

Con il primo motivo di ricorso – rubricato “error in procedendo nell’applicazione delle norme processuali in punto di decorrenza del termine breve per impugnare il provvedimento giudiziale; conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4” i ricorrenti assumono che la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere applicabile nella fattispecie il termine breve per l’appello fissato dall’art. 702 quater c.p.c., con decorrenza dalla comunicazione dell’impugnata ordinanza, senza considerare che tale comunicazione non può considerarsi idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione per effetto del disposto dell’ultimo periodo dell’art. 133 c.p.c., comma 2 (“la comunicazione non è idonea a far decorrere il termine per l’impugnazione di cui all’art. 325”), come modificato dal D.L. n. 90 del 2014, art. 45, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. n. 14 del 2014.

Con il secondo motivo di impugnazione – rubricato “error in procedendo nella valutazione di avvenuta comunicazione dell’ordinanza che ha definito il primo grado di giudizio; conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4” – i ricorrenti deducono l’erroneità dell’impugnata sentenza laddove essa ritiene dimostrata la trasmissione dell’ordinanza di primo grado, a mezzo fax, presso lo studio del difensore dei P.. In realtà, sostengono i ricorrenti, nel fascicolo di ufficio sarebbe conservata solo la copia della prima pagina del fax, nella quale è indicato come oggetto, unicamente, “scioglimento della riserva”. Conseguentemente, l’unica circostanza che potrebbe ritenersi provata, secondo i P., non sarebbe quella dell’avvenuta trasmissione del provvedimento, ma solo dell’avviso di scioglimento di riserva ad esso connessa.

Con il terzo motivo di ricorso – rubricato “error in procedendo per aver valutato il fax come mezzo idoneo ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare; conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4” – i ricorrenti deducono che la Corte territoriale avrebbe errato nel considerare il fax mezzo idoneo ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare, in quanto tale mezzo non assicurerebbe la certezza della trasmissione integrale del documento inviato.

La società Alimentari e Dolciumi s.a.s. ha presentato controricorso, eccependo preliminarmente l’inammissibilità del ricorso per essere stato il medesimo notificato dopo il decorso del termine breve per l’impugnazione decorrente dalla data del 1 luglio 2017, in cui la sentenza qui gravata sarebbe stata notificata a mezzo PEC all’indirizzo dell’avv. Iaculli, difensore degli odierni ricorrenti, estratto del pubblici elenchi.

La causa è stata chiamata all’adunanza in Camera di consiglio del 18 settembre 2019, per la quale entrambe le parti hanno depositato memorie difensive.

Preliminarmente va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione, perchè la notifica dell’impugnata sentenza effettuata via PEC deve giudicarsi inesistente, non risultando essere stata generata la ricevuta di consegna. Al riguardo soccorre il principio che “in caso di notifica telematica effettuata dall’avvocato, il mancato perfezionamento della stessa per non avere il destinatario reso possibile la ricezione dei messaggi sulla propria casella PEC, pur chiaramente imputabile al destinatario, impone alla parte di provvedere tempestivamente al suo rinnovo secondo le regole generali dettate dagli artt. 137 c.p.c. e segg., e non mediante deposito dell’atto in cancelleria, non trovando applicazione la disciplina di cui al D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 6, u.p., come conv. e mod., prevista per il caso in cui la ricevuta di mancata consegna venga generata a seguito di notifica (o comunicazione) effettuata dalla Cancelleria, atteso che la notifica trasmessa a mezzo PEC dal difensore si perfeziona unicamente al momento della generazione della ricevuta di avvenuta consegna (RAC)” (Cass. n. 19397/18 Cass. n. 29851/19).

Passando all’esame dei motivi di ricorso, il Collegio osserva quanto segue.

Il primo motivo deve essere rigettato. Questa Corte ha già chiarito che la novella dell’art. 133 c.p.c., comma 2, operata con il D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 45, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni in L. 11 agosto 2014, n. 114, secondo cui la comunicazione, da parte della cancelleria, del testo integrale del provvedimento depositato non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c., è finalizzata a neutralizzare gli effetti della generalizzazione della modalità telematica della comunicazione, se integrale, di qualunque tipo di provvedimento, ai fini della normale decorrenza del termine breve per le impugnazioni, solo nel caso di atto di impulso di controparte, ma non incide sulle norme processuali, derogatorie e speciali, che ancorino la decorrenza del termine breve di impugnazione alla mera comunicazione di un provvedimento da parte della cancelleria.

Detto orientamento, introdotto da Cass. 23526/14 con riferimento all’art. 348 ter, è stato seguito da Cass. 7154/18 (in materia di reclamo alla corte di appello L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 58, contro la sentenza di primo grado nel rito Fornero), da Cass. 7154/18 (a contrario, in materia di ricorso per cassazione contro l’ordinanza emessa dalla corte di appello ex art. 702 quater), da Cass. 134/19 (in materia di ricorso per cassazione L. n. 92 del 2012, ex art. 1, comma 62, contro la sentenza di secondo grado nel rito Fornero) e costituisce indirizzo ormai consolidato che le ragioni dedotte dai ricorrenti non inducono a modificare.

Il secondo motivo è anch’esso da rigettare. Premesso che, ai fini della decorrenza del termine breve, la comunicazione deve essere integrale (Cass. n. 7401/17), nel caso di specie tale condizione risulta rispettata, in quanto nella prima pagina del fax conservata nel fascicolo di ufficio, esaminato da questa Corte in ragione delle natura processuale del vizio denunciato, risulta attestato che al biglietto di cancelleria, avente ad oggetto “scioglimento della riserva”, era unito un allegato e che le pagine complessivamente trasmessa a mezzo fax erano in numero di cinque.

Anche il terzo motivo di ricorso va disatteso. La comunicazione via fax, infatti, è prevista dell’art. 136 c.p.c., comma 3; D.L. n. 179 del 2012, art. 16, comma 8 (biglietti di cancelleria, comunicazioni e notificazioni per via telematica) dispone che il cancelliere proceda ai sensi dell’art. 136 c.p.c., detto comma 3, quando la notifica via PEC risulti impossibile per cause non imputabili al destinatario (se invece le cause sono imputabili al destinatario, il cancelliere procede alla comunicazione mediante deposito in cancelleria, ai sensi dello stesso art. 16, comma 6, cfr. Cass. 33547/18). Procedendo via fax il cancelliere ha dunque scelto la soluzione di maggior tutela del destinatario, applicando la disciplina relativa alla ipotesi di impossibilità della notifica via PEC dipendente da cause non al medesimo imputabili. Il destinatario non ha dunque ragione di dolersi dalla comunicazione via fax, che, peraltro, la giurisprudenza di questa Corte ha già affermato essere idonea allo scopo di effettuare comunicazioni di cancelleria (cfr. Cass. n. 8013/13, ove si legge: “inapprezzabili, quindi, si mostrano le considerazioni contenute nel ricorso con le quali si pone in discussione, in generale, l’idoneità allo scopo dell’uso del telefax: una volta dimostrato l’inoltro del documento a mezzo telefax al numero corrispondente a quello del destinatario (corrispondenza che nella specie non è in discussione), è perfettamente logico presumere che detta trasmissione sia effettivamente avvenuta e che il destinatario abbia perciò avuto modo di acquisire piena conoscenza di quanto comunicatogli, incombendo quindi sul medesimo dedurre e dimostrare l’esistenza di elementi idonei a confutare l’avvenuta ricezione”).

In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.

Deve darsi atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 5.800, oltre Euro 200 per

esborsi e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2020

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